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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Josephine W. Johnson

Il viaggiatore oscuro

Del Vecchio editore, Traduzione di Stella Sacchini, Pag. 224 Euro 15,00
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The Dark Travaler è un testo profondamente “diviso”. Intimamente “spaccato”. Che si muove senza posa dal buio alla luce, dal freddo al caldo, dal fuori al dentro. (Stella Sacchini)
   Non è pigrizia se cito le osservazioni di Stella Sacchini, espresse in quella fondamentale rubrichetta intitolata “La scatola nera del traduttore” che fa da corollario al romanzo. Una rubrica così dovrebbe accompagnare ogni libro tradotto, non solo da Del Vecchio che ci coccola con queste chicche (non male lo scioglilingua, eh?) ma da ogni buon editore. In genere il lettore dà per scontata la traduzione, senza pensare a tutto il lavoro che c’è dietro, alla fatica del dubbio, al dolore delle scelte e dei compromessi, allo sforzo di compenetrazione nel pensiero originale dell’autore. Soprattutto, ed è questo che più mi intriga, non si dovrebbe sottovalutare il legame profondo che unisce autore e traduttore, innescando un’esperienza dopo la quale il traduttore non sarà più lo stesso. Dunque il traduttore parla da un punto di vista privilegiato, ed è utile ascoltarlo.
   Il dualismo a cui la Sacchini si riferisce come a una cifra che caratterizza tutto il romanzo, e che permea le persone le cose e i sentimenti, trova il suo perno nella schizofrenia del protagonista Paul, un adolescente indifeso che gli zii ospitano in famiglia per sottrarlo al devastante rapporto con il padre.
   Rassicurato dalle affettuose presenze degli zii e dei cugini, Paul deve tuttavia fare i conti con un altro Sé che lo perseguita ricordandogli il suo lato oscuro e perdente. Quasi un emissario del padre, che con il suo atteggiamento di squalifica e di disprezzo rimane sullo sfondo come una minaccia mai scongiurata.
   La delicatezza dello sguardo con cui la Johnson (1910 – 1990) segue la vita quotidiana del ragazzo induce il lettore ad amarlo dal primo momento, con le sue fragilità e contraddizioni, e proprio in virtù di queste. Dal suo inconsueto punto di vista, Paul coglie del mondo quegli aspetti invisibili ma veri che sfuggono ai più, e nelle sue scoperte quotidiane raggiunge momenti di pura poesia. La presenza del cuginetto più piccolo lo conforta e lo rassicura, permettendogli di condividere gli entusiasmi e le ingenuità senza le barriere del mondo adulto. Come se fosse un Sé ancora intatto e pieno di promesse per il futuro.
   Paul si muoveva leggiadro tra i fiori, eccitato dal calore del sole e dai delicati fugaci aromi che salivano dalla terra e dai singoli fili d’erba appena spuntati. Annusava l’aria come un animale selvatico e tendeva l’orecchio facendo finta di sentire il rumore di una ghianda che si staccava dal baccello, sottoterra. Christopher era seduto sull’erba e sfiorava gli anemoni con le soffici manine, attento a non rovinarli. Sembravano troppo fragili persino per essere raccolti. – La senti la marmotta, Paul? Una marmotta fa più rumore di una ghianda che cade.
   Nel corso di tutto il romanzo è presente il desiderio simbolico delle ali. Partendo dalle ali del piccolo gufo impagliato che è l’unico tesoro di Paul (impagliato, immobile come lo è lui nelle sue ambasce paralizzanti) si arriva alla lettura di un manuale in cui il ragazzo scopre una bizzarra ipotesi sull’esistenza di una forma evolutiva umana provvista di ali. L’identificazione è immediata. Questa creatura, che lui immagina fragile e minuscola, potrebbe essere fortemente minacciata, e perciò egli tiene discorsi infervorati in sua difesa. Inconsciamente sta parlando di se stesso, della sua personale evoluzione verso una forma più libera, capace di staccarsi dal pesante fardello paterno per volare in autonomia. Un’impresa enorme e drammatica, dall’esito incerto. 
   La presenza di Paul funziona come uno spartiacque che divide le persone sensibili e solidali da quelle egoiste e ciniche. Come una cartina di tornasole rivela la reale qualità di coloro che lo circondano, e consente perciò anche agli altri di riconoscersi e di scegliersi con più consapevolezza. Perfino comprendere e condividere le deliranti battaglie di Paul è un modo di aprire gli occhi su aspetti meno ovvii della realtà, di far tacere la ragione per dare spazio a intuizioni più profonde. Chi è in grado di capire questo finisce per accettarlo come un dono.
   La Johnson si muove in punta di piedi, come è richiesto dalla delicatezza dell’argomento e dal rispetto verso il piccolo protagonista. Non spara sentenze, non azzarda nemmeno previsioni. Come dice la Sacchini:
   E’ compassionevole, ma non offre risposte.
   E, aggiungo io, coniuga magistralmente leggerezza e spessore.

di Giovanna Repetto


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