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Il Paradiso degli Orchi
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INTERVISTE

Emanuele Flandoli (Phl)

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L''indole indolente' che dà il titolo al tuo CD: la proclami quasi come uno status. Dobbiamo pensare che sia una tara congenita, o prenderla come un risposta a un mondo che ha esaurito i suoi stimoli?



Diciamo che sono irrimediabilmente pigro dalla nascita, quindi in parte è un fattore congenito.

Ma la pigrizia diventa indolenza quando i propri sogni, le proprie idee, i propri sforzi vanno a sbattere contro quel muro di gomma che è il mondo di oggi, dal campo artistico a quello sociale: ogni impulso oggi si perde in mezzo alla marea di voci che si sovrappongono. E' così che la pigrizia diventa indolenza: non m'impegno non tanto perché pigro, ma perché il mio impegno è vanificato dal contesto in cui vivo. Dichiararsi indolente è quindi un atto di critica sociale ed autocritica insieme, ovviamente filtrato attraverso la lente dell'ironia ed autoironia!



"Altro che Gaber. La MIA generazione ha perso". Così dici in 'My generazione'. E non perdi occasione per precisare che la tua è una generazione di merda. Perché tanto accanimento?



La mia generazione, intendendo più o meno quella dei ragazzi che oggi hanno fra i 20 e i 35 anni, è molto diversa da quelle che l'hanno preceduta: non sembra cercare alcun tipo di ribellione o di proposta, sembra disunita e offuscata. Non dico che quelle precedenti avessero le idee chiare, ma questa sembra non avere idee affatto, e anche la parte emozionale è schermata, forse per difenderci dal bombardamento mediatico a cui siamo stati sottoposti fin da piccoli. Per me la frase chiave della canzone è "con una patetica apatia, un'ipotetica utopia non trova spazio nella mia giovinezza sotto anestesia": sembriamo anestetizzati a qualsiasi sentimento intenso. In più siamo la prima generazione investita dall'era delle comunicazioni digitali, tendiamo a non incontrarci, preferendo la socialità online, che però è un surrogato: non può avvenire un vero scambio di opinioni un luogo dove ognuno è nascosto dietro la maschera del proprio avatar. Ognuno a casa sua, in contatto con decine di amici contemporaneamente, ma di fatto ognuno da solo. Ma ci tengo a precisare che la canzone è scritta in prima persona, quindi la critica riguarda prima di tutto me, e poi la mia generazione.



La tua visione disincantata non ti ha impedito di scrivere una canzone d'amore, anche molto tenera, che pudicamente intitoli 'Detesto ammetterlo'. Che posto ha l'amore in questo mondo: è un'ancora di salvezza, o una zattera alla deriva?



La canzone è molto sincera anche perché è stata concepita come un vero e proprio regalo per la mia ragazza, non intendevo farla sentire al pubblico. Poi lei l'ha fatta sentire ad alcuni amici e a tutti piaceva, così pian piano è entrata nel mio repertorio. Questo spiega anche la prospettiva diversa del pezzo. Rispondendo alla domanda, l'amore e la musica sono le uniche due cose per cui faccio veri sacrifici e sono disposto ad impegnarmi. Non li vedo come ancore di salvezza, non credo neanche che il problema sia salvarsi o meno, ma sono i soli due campi in cui mi sembra che abbia senso quel che faccio.



Nelle tue canzoni parli di rap e di funk, e non risparmi accenti polemici nei confronti dell'hip-hop. Se è lecito chiederlo a un artista... come ti collochi rispetto ai generi musicali?



Credo che qualunque artista degno di tale nome in effetti entri in difficoltà di fronte a domande come questa! Per quanto mi riguarda, si può dire che io sia nato artisticamente con il rap: prima di entrare in contatto con esso non ero più appassionato di musica di un qualsiasi teenager. Il rap invece mi ha appassionato da subito, e, cosa più importante, mi ha portato a fare musica in prima persona. Ciò che contesto alla cultura hip-hop (è bene specificare che l'hip-hop è una cultura, mentre il rap è la musica figlia della cultura hip-hop ), e in particolare alla nicchia hip-hop italiana, è una certa chiusura mentale: ho l'impressione che molti hip-hoppers italiani considerino l'hip-hop una religione, con dei dogmi immutabili ed eterni, piuttosto che una cultura in continua evoluzione. Per come la vedo io, la musica rap è principalmente espressione di creatività, chi vuole metterle delle regole uccide questa creatività. In America gli artisti hip-hop si sentono liberi di spaziare fra i generi, inglobando influenze esterne nel rap o applicando lo stile rap a generi diversi: penso che anche in Italia dovremmo iniziare ad aprire i nostri confini mentali.



Nei tuoi pezzi c'è molta musica. Non sono le solite basi da rap, che francamente trovo un po' monotone. Sembra che la musica abbia un ruolo importante nei tuoi pezzi. E' dovuto al fatto che sei anche un ottimo bassista (non so se anche questo detesti ammetterlo) o ci sono altre ragioni?



No, anzi, sono fiero di essere anche un musicista in senso più esteso! Come dicevo prima, sono nato col rap ed il rap è tuttora uno dei generi musicali che ascolto di più. Però crescendo ho iniziato ad ascoltare (e suonare) molta altra musica, dal rock più estremo ai cantautori italiani, ma soprattutto mi sono appassionato alla storia della black music, in particolare al soul e funk anni '70. Oggi come oggi, mi vedo più come un artista di black music (certo, col grande paradosso che non sono nero...) che come un rapper vero e proprio. La mia influenza principale al momento è il funk di artisti come James Brown, George Clinton, Sly Stone, Prince, attualizzati con l'uso del rap al posto del canto tradizionale e della tecnologia digitale: le basi su cui canto sono suonate in tutte le loro parti di chitarra, basso e tastiere, e successivamente lavorate al computer, ottenendo un ibrido fra il vecchio funk e la musica odierna.



Che cos'è il progetto Motherfunkers?



Motherfunkers è il collettivo musicale di cui faccio parte, nato circa un anno fa. Il nucleo fondamentale è composto da me, Todd (un altro rapper), Dj Pitch8 e MistaC. L'intento iniziale era creare un polo d'attrazione per gli artisti più originali, meno inquadrati, della scena hip-hop romana, che sono molti ma anche molto isolati fra di loro. Dal punto di vista artistico siamo uniti da una concezione molto musicale, funky e divertente dell'hip-hop. La parte musicale del progetto è curata da me e MistaC, che è un ottimo produttore e musicista, mentre dal vivo ci siamo esibiti in trio con

Todd e Pitch8, dando vita ad un live molto coinvolgente, con cui ci siamo tolti diverse soddisfazioni, sia a Roma che in giro per l'Italia. Attualmente il progetto Motherfunkers attraversa un momento di forte cambiamento: Todd si è trasferito in Argentina, così stiamo riorganizzando l'aspetto live con un solo rapper, il sottoscritto, e inserendo alcuni strumenti musicali (basso, chitarra e tastiera) affiancati dalla tecnologia del dj. In questo modo in concerto saremo una vera e propria band, un ibrido fra la tradizione (i musicisti) e la novità (il dj e il rap).



Quando parli di talento sprecato, vuoi dire che il rapper è destinato a fare la fame?



No, o meglio, non solo (dato che probabilmente lo è). 'Talento sprecato' è però una canzone in cui, parlando della mia attività di rapper, mi riferisco in realtà a tutte le attività creative. Chi ha talento e creatività in questo Paese non viene minimamente valorizzato, abbiamo un sistema educativo che mira all'uguaglianza degli studenti piuttosto che valorizzarne i talenti individuali, mentre nel mondo del lavoro ogni statistica (nonché la mia personale esperienza) rivela come i fattori determinanti nella maggioranza delle carriere siano le conoscenze e l'anzianità di servizio. E, pare incredibile, anche nel rap si incontrano gli stessi ostacoli: chi è più "anziano" tende a snobbare i più giovani (anche quando i giovani fanno buona musica ed ottengono riconoscimenti dal pubblico), e quanto alle conoscenze... diciamo che è la routine vedere sul palco dei perfetti incapaci, amici dell'organizzatore. Il risultato? Il pubblico non viene più alle serate, perché si esibiscono i soliti artisti che hanno finito le cartucce da un decennio e "raccomandati" di scarso livello.



Hai prodotto da solo il tuo CD. E' colpa della disastrosa situazione dell'editoria musicale o è stata una tua scelta?



Entrambi. La situazione dell'industria musicale è tragica, persino le grandi multinazionali della musica stanno subendo danni economici devastanti, figuriamoci le piccole indipendenti che già prima della crisi avevano profitti bassissimi. In questo contesto, pochissime etichette hanno il coraggio di investire su giovani sconosciuti o quasi, e quando investono lo fanno a condizioni tali da ridurre al minimo le perdite potenziali. Io avevo ricevuto qualche offerta di contratto per Indole Indolente, ma erano tutte offerte in cui l'etichetta non prendeva impegni promozionali seri e in compenso si riservava la quasi totalità degli introiti. A questo punto, ho deciso di mantenermi indipendente, ho investito di più di tasca mia ma guadagno il 100% da ogni copia venduta. Col vantaggio che sono sempre libero di accettare in qualsiasi momento un'eventuale proposta contrattuale più adeguata.



Le forme di aggregazione possono essere una fonte di speranza per il futuro dei giovani autori?



Non credo molto in una vasta aggregazione degli autori. Quello della musica è un campo estremamente selettivo, pochissimi ce la fanno, e il successo di un artista spesso pregiudica quello di un altro. Piccoli gruppi di artisti possono unirsi e collaborare creando dei movimenti, delle "scuole di pensiero", ma una collaborazione dell'intera categoria non mi pare una prospettiva realistica.





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