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Il Paradiso degli Orchi
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CINEMA E MUSICA

marco minicangeli

La fossa delle Marianne

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Un viaggio, nella memoria e nel dolore malinconico che questa si porta dietro. Se volessimo riassumere La fossa delle Marianne, forse potremmo usare queste poche parole. Un successo in Austria e Germania, l’esordio dietro la macchina da presa di Eileen Byrne è un piccolo gioiello da gustarsi in religioso silenzio nella sala. Protagonisti Paula (Luna Wedlet) e Helmut (Edgar Selge). Lei, una ragazza in crisi profonda per la perdita del fratellino Tim, lui un vecchio brontolone che ha trafugato l’urna con le ceneri della moglie che vuole portare in Italia, perché è lì che la donna voleva riposare.
I due si ritrovano a viaggiare insieme quasi per caso, ed è proprio durante questo viaggio che cadranno le iniziali barriere che ci sono tra di loro e che nascerà un’amicizia profonda. Il viaggio perciò — uno dei topoi universali della narrazione — come cura, come medicina, che aiuta a metabolizzare un dolore. E come metafora della conoscenza dell’altro. A dominare la scena sono gli stupendi sfondi di montagne e boschi (il film è stato girato tra Austria, alto Adige e Friuli Venezia Giulia), ma soprattutto l’acqua, inizio e fine di ogni cosa, che in qualche modo accomuna il destino di Paula e Helmut.
Opera prima di Eileen Byrne, il film è stato tratto dall’omonimo romanzo di Jasmin Schreiber, pubblicato in Italia da Alphabeta. Del libro la regista ha detto di essere rimasta colpita dalla capacità con la quale l’autrice riesce a muoversi sul sottile confine tra tragedia e commedia. Insomma una road movie dramedy che colpisce i sensi e il cuore.
Non lasciatevelo sfuggire.



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