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INTERVISTE

Guido Crainz

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In un paese avvilente, che si è reso ostaggio di un uomo, dei suoi interessi, un paese pieno di sé e che nel contempo ne ha una stima scarsissima, che non sa pensarsi politicamente e che si è lasciato pappare il cervello da un piazzista che modifica a suo piacimento l'ordinamento istituzionale per farla franca e lucrare sul nostro lavoro – la vita, né più né meno -, dalle parti di questo popolo di entusiasti analfabeti insomma c'è qualcuno che prova non solo a resistere ma a rovesciare l'esito della partita: altrimenti a che serve la cultura?

Nell'ultima risposta all'intervista che ci ha rilasciato lo storico Guido Crainz scorgiamo una traccia di questo ribaltamento – nonostante il pessimismo, che condividiamo. La mappa per noi è complessa, l'esame non sempre coincidente ma l'urgenza civile, il bisogno di capire e di mettere in circolo i contrappesi di cui parla lo storico sono anche i nostri.



Dunque professore, per i motivi già spiegati nella recensione al suo libro 'Autobiografia Di Una Repubblica' (Le radici dell'Italia attuale), uscito da Donzelli, lei più che cercare costanti antropologiche nel carattere degli italiani - che pure non nega - trova nel fascismo una matrice decisiva della storia successiva fino a oggi. La guerra se lo portò via, il fascismo, ma di lì a poco si concluse sostanzialmente anche l'esperienza del Partito d'Azione. Pensa che la sua scomparsa dalla scena politica abbia avuto un significato e/o delle conseguenze rilevanti?



Quando penso al Partito d'Azione penso all'Italia laica, schiacciata dalle "due Chiese" che hanno dominato tutta la prima parte della storia della Repubblica. Per capire quello che abbiamo perso basta leggere quel che scriveva Bobbio nel 1955: essere laici significa sì impegnarsi nella lotta, ma al tempo stesso metter in discussione i termini della lotta così come sono posti, interrogarli criticamente.



La presenza della Chiesa come istituzione e del cattolicesimo come linguaggio culturale dominante, hanno avuto un ruolo nel mancato sviluppo di un vero processo democratico nella nostra storia recente?



Su questo ci sono luoghi comuni consolidati che ovviamente –come tutti i luoghi comuni - hanno una loro base di verità: l'assenza della Riforma protestante nel nostro paese, e le conseguenze negative che ciò ha avuto; il conformismo, e così via. Tutto vero, certo, ma qualcuno mi sa spiegare perché negli anni sessanta è stato così importante il dissenso cattolico, nato dalla ventata innovatrice del Concilio Vaticano II? O perché -di fronte a un fenomeno inatteso, al suo comparire, come l'immigrazione - sia stato così decisiva la vocazione cattolica all'assistenza, considerata sempre con supponenza dalla cultura marxista?



Il suo giudizio sul '77, formulato anche altrove, non sembra positivo. Non salverebbe nulla di quel momento?



In un mio libro, Il paese mancato (Donzelli, 2003) ho cercato di dare conto dalla disperazione, della tragicità e al tempo stesso della irresponsabilità disumana che sono emerse allora, e posso solo rimandare alle oltre seicento pagine di quel libro. Qualcosa però voglio dire nella maniera più diretta e franca che mi è possibile. Provo una vera ripulsione per ricostruzioni o memorie giocate sull' "eravamo giovani, ci siamo tanto divertiti" o sull'esaltazione della "creatività", ricostruzioni che sfumano sullo sfondo le tragedie che quel magma portò con sé: dall'eroina alla crescita abnorme dei suicidi giovanili, e sino alla grande ondata che confluì nel terrorismo (fummo "invasi" da una orda selvaggia di giovani, ha ricordato Renato Curcio). Una somma tragica di distruzioni e di autodistruzioni. Il libro più equilibrato su quell'anno è di un giovane giornalista, Concetto Vecchio (Ali di piombo, Rizzoli 2007): una ricostruzione attenta, che ha come contrappunto gli articoli scritti in quell'anno da Carlo Casalegno. Libero chiunque di entusiasmarsi per la creatività di Franco Berardi detto Bifo, ma non di dimenticare l'assassinio di Casalegno. O l'orrido evento che pose fine a quel movimento: il rogo dell'"Angelo Azzurro",un bar di Torino frequentato –forse- da giovani di destra,in cui morì -totalmente incolpevole- Roberto Crescenzio, studente lavoratore di 22 anni. Dimenticare gli esiti di quell'anno non è lecito.

C'è poi qualcosa d'altro, meno drammatico ma altrettanto profondo: si ruppe allora quel profondo solidarismo sociale che era stato il cemento dei movimenti collettivi precedenti. Per la prima volta un movimento che si dichiarava di sinistra irrise e dileggiò la classe operaia, ridotta a un ceto di "garantiti": il rovesciamento totale di quell'"operai e studenti uniti nella lotta" che era stata una ispirazione innovatrice del '68. Paradossalmente, un ciarpame di estrema sinistra anticipò (e favorì, a mio avviso) il trionfo reazionario annunciato nella Torino del 1980 dalla "marcia dei quarantamila" contro il movimento sindacale



Ritiene che nella drammatica situazione attuale si possa parlare anche di una responsabilità degli intellettuali?



Mi sembra sia chiaro, da quel che ho detto: e naturalmente debbo mettermi fra loro.



Nella nostra rivista ci occupiamo soprattutto di letteratura. Dal suo punto di vista di storico, quali scrittori ha trovato interessanti per allargare lo sguardo sugli ultimi decenni della nostra storia (Pasolini o Sciascia a parte di cui parla sovente)?



Fino agli anni settanta andiamo molto bene, poi tutto diventa molto più difficile. Se dovessi dare dei consigli – fermo restando che non è nulla di paragonabile alla letteratura precedente- per la storia della estrema sinistra degli anni 70 indicherei un libro di Bruno Arpaia (Il passato davanti a noi, Guanda) interessante proprio perchè "microstoria", rievocazione autobiografica di un collettivo politico di Ottaviano. Ma sugli anni settanta non c'è nulla di più profondo del libro di Mario Calabresi, Spingi la notte più in là (Einaudi), cui di recente si è aggiunto Come mi batte forte il tuo cuore, di Benedetta Tobagi (Einaudi). Chi non capisce questi libri, secondo me, non capisce gli anni 70. Sugli anni 80 è uscito di recente un bel libro di Nicola Lagioia, Riportando tutto a casa (Einaudi): è ambientato a Bari, e forse alcune cose sono "estreme", ma aiuta a capire. Ho trovato interessante tempo fa anche un libro su quel decennio a Milano di Luca Doninelli, fortemente impregnato della cultura di Comunione e Liberazione, che ha un titolo fulminante, Il crollo delle aspettative (Garzanti). E' straordinaria, ad esempio, l'evocazione di un "profeta" tormentato e anomalo come Testori.



Personalmente ritengo sia stato un errore la polemica di Sciascia (oggi molto in voga a destra) sui professionisti dell'anti-mafia. Qual è il suo parere al riguardo?



Credo anch'io sia stata un errore.



In questo momento abbastanza deprimente qual è lo stato di salute degli studi storici?



Altrettanto deprimente, grazie.



Uno sguardo alla contingenza politica, che in Italia sembra replicare se stessa all'infinito. Uno storico del presente, come in un certo senso è lei, nel caso di una figura come quella che abbiamo al governo, deve limitarsi alle sentenze giudiziarie o può permettersi di andare oltre, dentro il fondo diciamo non ufficiale della sua storia? Mi riferisco sia al metodo che all'opportunità concreta di lavorarvi pubblicamente, senza incorrere in rischi di censura o, peggio, di ritorsioni giudiziarie.



Il problema non è la censura, ma l'irrilevanza delle parole, e delle ragioni. E' l'eccesso di rumore.



Per finire, dove, se ve ne sono, intravede possibilità di un'inversione di rotta nel destino prossimo futuro di questo paese?



Trovo attualissimo quel che Antonio Gambino scriveva nel 1993: non è che in Italia vi siano più disonesti che altrove, è che "manca una "cultura dell'onestà",manca un numero sufficiente di persone attivamente oneste, capaci di far da contrappeso, capaci di fornire quel "punto d'appoggio" senza il quale ogni tentativo di sollevare il paese dal pantano in cui si è infilato si presenta come un'operazione irrealizzabile". Bisognerebbe ripartire da qui, sapendo però che il paese in questi anni è ulteriormente e drasticamente peggiorato.







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