CINEMA E MUSICA
Alfredo Ronci
L'olandese volante: Mathilde Santing

Gli italiani non la conoscono. Eppure lei è una sorta di Fiorella Mannoia olandese, con un'unica differenza: mentre la nostra si limita, tranne rarissime eccezioni, a presentare un repertorio 'indigeno' la Santing puntualmente (forse sarà che quello olandese non è all'altezza?) affronta classici della scrittura internazionale.
Conservo ancora gelosamente il vinile di Out of the dream (1986) dove con piglio sicuro e a volte anche azzardato (riprende Torn without pity di Dimitri Tiomkin, l'autore dell'immortale Wild is the wind, e ci vuole coraggio) si cimentava con versioni di Burt Bacharach e Tow Waits (tra queste quella Broken bicycles che alcuni anni dopo, precisamente nel 2001, Anne Sofie Von Otten, cantante lirica, riprese sulla sua scia nell'album For the stars, inaspettatamente realizzato con Elvis Costello). Nel 1993 la Santing dedica un intero album addirittura a Randy Newman, che di per sé non è già musicista facile, (ossia popolare) anche se autore di colonne sonore hollywoodiane.
Insomma siamo di fronte ad una cantante 'preparata' che dopo alcune avventure originali, nel senso di dischi fatti essenzialmente con pezzi per lo più scritti da lei e dai suoi collaboratori, torna di nuovo alle cover.
In Forty nine (2009) ce ne presenta un bel pacchetto, stavolta piuttosto eterogeneo. Se l'inizio è abbastanza, per una come lei, funkeggiante, già al terzo brano torna alla sua misura più congeniale: la ballata. E se col quarto brano esplora un autore saccheggiato, Stevie Wonder, con All in love is fair, con la cover di John Mayer Only heart tocca davvero le corde del nostro sentire.
Ma sempre con audacia (è una sua caratteristica) non si ferma: riesce a fare credibilmente Miles Davis (All blues), David Sylvian ai tempi dei Japan (Ghosts) , il mio amato Amos Lee (Supply and demand) e riciccia addirittura Rod Stewart con Maggie May.
Da queste poche note si capisce appunto la differenza tra una Santing e, come si diceva prima, una Mannoia (ma bisogna pure ammettere che come la 'rossa' canta le canzoni del grande Fossati non le canta nessuno): quest'ultima, non si sa per quale motivo, insiste in un repertorio italiano, tra l'altro spesso, come nel suo ultimo album di cover, poco riuscito anche nelle scelte, mentre la piccola olandese spazia internazionalmente, forse con anche con imprudenza, ma certamente con classe e personalissimo tocco.
Una interprete da frequentare, in questi tempi bui per originalità ed intraprendenza, quando (e ci torneremo sopra) alcune riviste specializzate di settore indicano come album dell'anno progetti (leggi: Soap&Skin) impuri che chissà per quale strano scherzo del destino fanno gridare al miracolo.
Ascoltando la Santing sappiamo già cosa aspettarci: nessuna rivoluzione, ma un mondo di ballate (le migliori) che toccano il cuore. Lasciatevi dunque sfiorare dall'arte semplice, ma conquistatrice dell'olandese 'volante'.
Mathilde Santing
Forty Nine
(Epic -sony-bmg)
Conservo ancora gelosamente il vinile di Out of the dream (1986) dove con piglio sicuro e a volte anche azzardato (riprende Torn without pity di Dimitri Tiomkin, l'autore dell'immortale Wild is the wind, e ci vuole coraggio) si cimentava con versioni di Burt Bacharach e Tow Waits (tra queste quella Broken bicycles che alcuni anni dopo, precisamente nel 2001, Anne Sofie Von Otten, cantante lirica, riprese sulla sua scia nell'album For the stars, inaspettatamente realizzato con Elvis Costello). Nel 1993 la Santing dedica un intero album addirittura a Randy Newman, che di per sé non è già musicista facile, (ossia popolare) anche se autore di colonne sonore hollywoodiane.
Insomma siamo di fronte ad una cantante 'preparata' che dopo alcune avventure originali, nel senso di dischi fatti essenzialmente con pezzi per lo più scritti da lei e dai suoi collaboratori, torna di nuovo alle cover.
In Forty nine (2009) ce ne presenta un bel pacchetto, stavolta piuttosto eterogeneo. Se l'inizio è abbastanza, per una come lei, funkeggiante, già al terzo brano torna alla sua misura più congeniale: la ballata. E se col quarto brano esplora un autore saccheggiato, Stevie Wonder, con All in love is fair, con la cover di John Mayer Only heart tocca davvero le corde del nostro sentire.
Ma sempre con audacia (è una sua caratteristica) non si ferma: riesce a fare credibilmente Miles Davis (All blues), David Sylvian ai tempi dei Japan (Ghosts) , il mio amato Amos Lee (Supply and demand) e riciccia addirittura Rod Stewart con Maggie May.
Da queste poche note si capisce appunto la differenza tra una Santing e, come si diceva prima, una Mannoia (ma bisogna pure ammettere che come la 'rossa' canta le canzoni del grande Fossati non le canta nessuno): quest'ultima, non si sa per quale motivo, insiste in un repertorio italiano, tra l'altro spesso, come nel suo ultimo album di cover, poco riuscito anche nelle scelte, mentre la piccola olandese spazia internazionalmente, forse con anche con imprudenza, ma certamente con classe e personalissimo tocco.
Una interprete da frequentare, in questi tempi bui per originalità ed intraprendenza, quando (e ci torneremo sopra) alcune riviste specializzate di settore indicano come album dell'anno progetti (leggi: Soap&Skin) impuri che chissà per quale strano scherzo del destino fanno gridare al miracolo.
Ascoltando la Santing sappiamo già cosa aspettarci: nessuna rivoluzione, ma un mondo di ballate (le migliori) che toccano il cuore. Lasciatevi dunque sfiorare dall'arte semplice, ma conquistatrice dell'olandese 'volante'.
Mathilde Santing
Forty Nine
(Epic -sony-bmg)
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