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Il Paradiso degli Orchi
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INTERVISTE

Nicolai Lilin

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Non aveva altra scelta che lanciarsi nel buio. Nicolai Lilin: 32 anni piglio deciso e penna appuntita come l'ago che usa per tatuare. Arte appresa in Transnistria, lingua di terra strozzata tra Moldavia e Ucraina, dove racconta – nel suo libro d'esordio Educazione siberiana – d'esser stato allevato all'«uccidere onesto» dalla comunità criminale Urka. Romanzo d'estrema formazione. Ma è solo l'inizio, a 18 anni conosce la guerra in Cecenia: cecchino nel reparto sabotatori. Se la cava. Dopo il conflitto descritto nel suo secondo lavoro Caduta libera completa la trilogia con Il respiro del buio, appena pubblicato da Einaudi. A casa, divorato dallo stress post traumatico, senza «possibilità di reinserimento sociale» e con la consapevolezza di «non poter fare a meno dalla guerra»: l'unica speranza è un viaggio in Siberia alla ricerca delle origini. Ad attenderlo c'è suo nonno, la taiga, gli animali e la serenità spirituale da cui ripartire. Ma la gelida panacea non cancella l'imprinting di violenza e, per sopravvivere al ritorno in società, si reinventa soldato privato a San Pietroburgo. Insomma, una vicenda da fine pena mai, però all'uomo dalla voce misurata, arrivato a Milano per lavorare come «infiltrato in sette sataniche», qualche cartuccia è rimasta: e la spara con «l'editor word che corregge l'italiano». Vende copie a palate finché di lui non s'innamora anche il cinema: Gabriele Salvatores sta girando Educazione siberiana.



Lei è la cronaca vivente della metamorfosi: come ha fatto il bruco a diventar farfalla?



Mi sono lasciato trasportare dalla corrente, sono un debole in realtà, e come una benedizione è arrivata la scrittura.



L'ha salvata?



Non cercavo una catarsi. Volevo solo condividere la mia storia con la gente. Mi ha fatto stare meglio.



Cos'è la pace?



Non lo so realmente. Nella società civile è il dominio dei gruppi di potere. Si può parlare di pace?



Ha dei nemici?



Il primo è me stesso, vivo cercando di comprendermi ogni giorno.



Nel suo ultimo libro dice: «ero una minaccia per la gente, credevo d'aver abbandonato la guerra , in realtà ero io la guerra». Ha avuto la sua redenzione?



Vivo ancora tra due mondi: civile e militare. Quando sono al supermarket in mezzo a delle persone immediatamente penso a come poterle uccidere se mi minacciassero.



Pensa di aver qualcosa da espiare?



Essendo venuto su in Siberia, in una società dove Cristianesimo e omicidio erano tenuti assieme, magari se mento sto male. Ma le persone le ho uccise in guerra, e non ho rimorsi.



Cosa ne pensa del drammatico attacco terroristico nella scuola di Beslan?



Ogni famiglia russa deve piangere un figlio.



Sul finire Lilin ci tiene a precisare che quello che ha scritto sono, appunto, romanzi. Mentre i detrattori insinuano incongruenze ogni pagina, e solidarietà arriva anche da Roberto Saviano: «diranno cattiverie che neanche ti immagini». Ma, tra le pieghe di questa scissione – che sembra rispecchi quella dell'autore tra vita militare e civile – , non è nell'efficacia del racconto il vivere tra sincerità e suggestione?







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