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Il Paradiso degli Orchi
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INTERVISTE

Paola Carbone

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Direi di andare per gradi. Lei dice che spesso si enfatizza il problema delle 'stragi del sabato sera', perché le statistiche dicono che la maggior parte degli incidenti avviene nel centro cittadino e ad ore diverse. Ed afferma pure che il mondo scientifico si lascia spesso sedurre dall'immagine dell'adolescenza tutta "sesso e droga". Insomma tutto da rifare?



Penso che gli adulti scordino troppo spesso che la tendenza dei giovani a rischiare è un fenomeno complesso : da un lato il confronto con il rischio è un 'compito' dello sviluppo (come è evidente nei riti di passaggio propri delle culture tribali) dall'altro nella nostra attuale società molti giovani rischiano in modo compulsivo, per evadere ad una sofferenza oscura.

Non tutto da rifare quindi, però una maggiore consapevolezza di noi adulti della differenza tra un rischiare 'evolutivo ' e un rischiare 'distruttivo'.



Lei insiste sul 'preconcetto' dell'incidente. Cioè a dire che non è vero per niente che avviene per caso. Spesso è la distrazione dovuta a segnali di disagio, ma in un altro passo del libro si parla della 'velocità' come tentativo ultimo del giovane di 'fuggire' la depressione. Le due cose possono essere legate o sono due aspetti paralleli?



Ogni incidente è diverso, nella dinamica, nelle motivazioni, nelle conseguenze... . Ansia, depressione, rabbia ,bisogno di mettersi alla prova ... sono 'ingredienti' di ogni comportamento rischioso che si combinano in varia misura producendo configurazioni sempre diverse.

E' importante che gli adulti (genitori , medici, psi, ...) non facciano di tutt'erba un fascio e aiutino il giovane a comprendere il senso e i motivi di quello specifico incidente che ha vissuto, in cui si è trovato coinvolto.



Quanto è vero che l'alcool è visto dai giovani come un irrinunciabile mezzo di socializzazione?



Molto. In una società in cui narcisismo e fragilità caratterizzano tante relazioni umane i giovani vivono profonde difficoltà e per affrontare un 'prossimo' in realtà non tanto prossimo hanno bisogno di quello psicofarmaco antico che è l'alcol, purtroppo è però uno psicofarmaco che genera assuefazione, dipendenza e finisce con incrementare proprio l'insicurezza.



Domanda un po' provocatoria. Le statistiche dicono che l'incidente stradale è la prima causa di morte per gli adolescenti e i giovani di età compresa tra i 15 e i 25 anni. Sorge spontaneo il dubbio: ma di cosa dovrebbe morire uno a quell'età?



Purtroppo sono molte le malattie croniche che affliggono anche i giovani (malattie congenite , ereditarie, neoplasie ...) , per queste malattie - nonostante i progressi - la medicina riesce a far poco e purtroppo, nonostante l'impegno dei medici, si muore anche giovani.

Ma lo tsunami quotidiano delle morti per incidente suona come un tributo evitabile e per questo ha senso sottolineare che più di 1000 giovani l'anno muoiono per incidente ovvero per cause evitabilissime.



Un passo del libro mi ha davvero incuriosito: dove Nicoli si interroga sulla relazione tra maturazione, sentimenti di colpa e incidenti e sulla base di alcune osservazioni cliniche di giovani motociclisti, interpreta l'incidente come espressione di una tendenza omosessuale rimossa e di un Io troppo fragile che utilizzerebbe il mezzo di trasporto alla stregua di una 'protesi emozionale' conflittualmente investita. Certo però che 'sti omosessuali ne combinano di tutti i colori...



Complimenti per la lettura accurata, forse però l'articolo che l'ha incuriosita non merita così tanta attenzione. Io nel libro l'ho citato per completezza, ma non mi è sembrato particolarmente interessante.



Un capitolo del libro è dedicato alle 'categorie' che in qualche modo sono investite della crescita e salute del giovane: genitori, medici di base, educatori, gli psicoterapeuti dell'adolescenza. Il risultato delle sue valutazioni è che sono questi ultimi ad utilizzare al meglio gli strumenti della conoscenza. Mi permetta la battuta: difesa di parte?



Non direi, come avrà visto riportiamo dei dati non delle valutazioni soggettive. D'altra parte che gli psicoterapeuti dell'adolescenza abbiano un atteggiamento più equilibrato verso i giovani è un risultato prevedibile e coerente con la specifica formazione professionale di questa categoria, formazione psicologica all'ascolto e all'empatia che - come lei sa - non hanno i genitori, non hanno gli insegnanti e hanno in misura molto limitata gli educatori.



Lei insiste, come è giusto che sia, sulla prevenzione. Ma accusa spesso le autorità e chi preposto di fare compagne allarmiste, convinta com'è che il giovane più è 'aggredito' e peggio risponde alle sollecitazioni. Ma allora che fare?



L'ultimo capitolo del libro tratta proprio il 'che fare' e presenta il nostro modello di Prevenzione Attiva: attiva perché va attivamente incontro ai giovani e attiva perché li rende parte attiva del processo.

Oltre a presentare dettagliatamente il tipo di intervento preventivo che realizziamo con i gruppi classe nelle scuole, il libro descrive un intervento di prevenzione originale che stiamo sperimentando dal 2002: lo 'Sportello-Giovani' al Pronto Soccorso .

Perché proprio al PS? In ogni PS giungono migliaia di adolescenti all'anno; sono giovani incidentati che portano lì le loro ferite somatiche, ma non solo somatiche e noi pensiamo che proprio lì dovremmo incontrali perché la crisi legata all'incidente è un momento prezioso in cui molte cose possono essere ridefinite ed elaborate. Lo 'Sportello-Giovani' consente di fare un intervento efficace perché l'incontro subito dopo l'incidente , 'a botta calda', mette in gioco aspetti autentici e attiva nuovi modi di pensare a ciò che è accaduto (per esempio: "Adesso mi ricordo..., sono stata io a passare con il rosso";oppure "In realtà lui non c'entra ! Strano, durante il colloquio ho fatto un giro e ho rivisto la mia situazione di 360°").

In sintesi dobbiamo essere lì al PS perché il tempo per intervenire è breve: superata la crisi, guarita la ferita, passato lo spavento e il dolore, tutto tornerà come prima e l'incidente – con la benedizione di medici e familiari – perderà senso e si traformerà in una 'semplice ragazzata' o in una ferita 'guaribile in tot giorni'. E la paura, il dolore, l'impotenza non saranno serviti a nulla, non saranno fonte di esperienza e molto probabilmente quel ragazzo farà un nuovo incidente, infatti il 70% dei ragazzi che incontriamo al PS sono degli 'abitué' e hanno avuto altri accessi per analoghi motivi:

'Ma questo – si chiede stupito Francesco - che ospedale è ?

No, perché li ho girati tutti, faccio speso incidenti , ... .

Devo pensare a tante cose e non ci riesco... mi faccio qualche canna, è un modo di liberarsi la testa, non sopporto di soffrire.

Per me lo psicologo dovrebbe essere molto più qualificato del medico, perché il medico per curare c'ha le cartelle cliniche e lo psicologo c'ha... le cartelle di vita.

Comunque... mi ha fatto pensare questo colloquio!'
.

Per concludere: E' comprensibile che tanti giovani scelgano di recarsi proprio lì: al "Pronto- Soccorso", una struttura anonima che grazie al suo nome rassicurante ben si presta a sostenere la proiezione di una salvezza tipo 'mordi e fuggi', l'illusione pericolosa del 'tutto e subito'.

E' meno comprensibile che il Sistema Sanitario Nazionale non colga al volo l'occasione per offrire a quei giovani una risposta che interrompa il gioco collusivo, la spirale solitaria degli agiti ed apra alla sorprendente possibilità del dialogo.





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