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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Michele Mari

Rosso Floyd

Einaudi, Pag 272 Euro 20,00
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E' uscito già da qualche mese e ci scusiamo per il ritardo, ma speriamo sia un modo per dargli una vita più lunga di quella di cui godono oggi i libri a parte i soliti noti.

Rosso Floyd di Michele Mari, ossia uno dei migliori scrittori italiani in circolazione e non da oggi, uno che ci assicura ogni volta un libro diverso – non tutti dello stesso livello, va da sé, ciò che non toglie un micron di peso all'opera complessiva – è un romanzo bellissimo, un vero piacere per chi ha avuto una certa frequentazione con i Pink Floyd, gruppo artefice di una delle pagine fondamentali della storia rock.

L'opera è documentatissima, secondo consolidata vocazione filologica dello scrittore milanese, ma aliena dagli stucchevoli tentativi di fare del "realismo" a buon mercato appiccicando un paio di blande invenzioni al lavoro d'archivio e sfoggiare l'etichetta di romanzo che illude di alzare il fatturato. La sua forza espressiva, se si è lettori addestrati ossia disposti a un minimo di fatica per godere poi più intensamente della bellezza di un libro, forse può coinvolgere anche chi da quella musica si è sempre tenuto lontano.

Il centro del libro è Syd Barrett – paradossale perché Mari non ritiene che i PF siano l'underground Barrett, perché il meglio per lui (e qui chi scrive è in disaccordo totale ma la cosa è irrilevante), è venuto dopo la sua uscita dal gruppo – prestissimo, com'è noto. Di questo Rimbaud in minore della musica rock, Mari coglie la sorgiva stranezza di adolescente eccentrico, alquanto bizzarro già prima di intraprendere i suoi viaggi lisergici senza ritorno, vede bene dentro il suo immaginario struggente, beffardo scritto con un alfabeto falotico che poi verrà scandito nelle strambe canzoni di animali insoliti, folletti, nenie demenziali e filastrocche strampalate (tutto già nel primo disco PF, The Piper at the Gates of Dawn, titolo tratto da The Wind in the Willows, libro dello scrittore per ragazzi Kenneth Grahame) – da lì principia la storia della band.

Il romanzo insomma si costruisce intorno al centro vuoto e silente del Diamante Pazzo (l'unico al quale non verrà data la parola), al buco nero in cui Barrett finì durante un assai sinistro e misteriosissimo fine settimana dal quale non tornò mai più come prima. Il narratore convoca in udienza personaggi veri e immaginari (soprattutto i primi) per costruire una polifonica istruttoria di voci discordi, emozionate, fantasiose, irritate, tasselli in apparenza discontinui che riepilogano in un mosaico affascinante la storia di Syd e della band. In forma di testimonianze, confessioni, interrogazioni, lamentazioni, Waters, Gilmour, Mason e Wright si alternano ad altre rock stars lontane dal loro universo ma per qualche motivo implicate, da Bowie a Clapton; compaiono Michelangelo Antonioni e il grandissimo Kubrik, scornato dai rifiuti di Waters a prestargli la loro musica, fan più o meno attendibili, parenti e amici, tutti chiamati a dire la loro su un aspetto o l'altro dell'universo PF.

I resoconti investono rapporti privati (spesso tutt'altro che gioiosi), invidie, paranoie di egoriferiti (Waters), frustrazioni (Wright non meno che Mason), la vocazione all'armonia non priva di fine cinismo in Gilmour, e storie legate ai concerti, alle registrazioni, controversie artistiche, concezioni musicali diverse (una versione aggiornata della wagneriana opera d'arte totale, megalomane assai, cupa e spesso macchinosa nel pur prediletto – dall'autore – R.Waters, il cui carattere ossessivo riconosce come affine) – i sogni, la schizofrenia, la psichedelia.

Ognuno leggendo il libro può scegliersi i suoi PF di sottofondo - un disco come Ummagumma che il narratore fa intendere di non amare particolarmente è per chi scrive il vero segno PF, all'origine di molti fenomeni musicali successivi, a partire dalla Kosmische Musik dei grandi tedeschi anni Settanta. Ma il romanzo riesce a ridare alla musica dei PF la sua bellezza ormai lontana, e perciò emoziona - in virtù di scrittura, se a qualcuno ancora interessa la scrittura e non la mozione degli affetti musicali di tanti romanzetti giovanilistici che elencano canzoni d'elezione - un libro imperdibile.





di Michele Lupo


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Scrivevo anni fa sul Paradiso cartaceo a proposito di Tu, sanguinosa infanzia sempre di Michele Mari: Ognuno rivive l'infanzia secondo le proprie pulsioni. C'è chi la ricorda per esaltarne i momenti migliori. Chi per vantare il grado di maturità raggiunto. Chi per rimpiangerla. Non mi era mai capitato di leggere un autore che riducesse l'infanzia ad un malinconico patimento. Michele Mari, con un linguaggio a volte arcaicizzante, a volte desueto, sempre istintivamente alto, innesta un meccanismo di elementari ossessioni. Ma a sanguinare non è, come farebbe supporre il titolo, l'infanzia in quanto tale, ma chi di quegli anni conserva il furore del possesso, il dolore degli odori.

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