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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Fabio Carta

Ambrose

Scatole parlanti, Pag. 212 Euro 15,00
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Non è facile calarsi nei panni del Controllore Ausiliario 209, strizzato in un angusto abitacolo all’interno di una mirabolante macchina da guerra, piccolo nucleo di carne dentro un congegno infernale pesante diverse tonnellate. Eppure il lettore è condotto a sviluppare subito una cocente empatia. Sarà per il contrasto fra quel corpo malato e martoriato e l’involucro micidiale che lo contiene: parabola, a ben guardare, della condizione umana che costringe a confrontarsi con la potenza distruttiva di strumenti tanto più potenti di chi li ha creati. Sarà perché CA è in fondo un ingenuo, un rassegnato, un perdente professionale. Sarà perché egli non ha perduto, nonostante tutto, la capacità di meravigliarsi e di sognare.
   La condizione del protagonista è così misera da non garantirgli nemmeno un nome proprio. Leggendo, e trovandolo definito sempre da una sigla, o da beffardi soprannomi affibbiatigli da altri, tornavo ogni tanto sui miei passi credendo che mi fosse sfuggito il nome. Ma no, il nome si saprà molto più tardi, dopo una trafila dolorosa che è insieme discesa agli inferi e percorso iniziatico. Non è semplice né piacevole la situazione del Controllore Ausiliario: durante le operazioni belliche il suo corpo è prestato alla macchina, che a sua volta viene diretta dagli alti quadri militari coadiuvati da intelligenze artificiali, così che in definitiva egli è relegato alla funzione di un infimo pilota di scorta utile solo nei momenti di stasi, o in casi disperati.
   C’era una realtà esterna e pubblica, da trascorrere fieramente nell’esoscheletro potenziato, ovvero quel montacarichi antropomorfo delegato a trasportare una piattaforma bellica multiruolo (…) quel carapace tanto all’avanguardia e letale da poter essere comandato solo dall’efficienza automatica di un’IA che ignorava le debolezze umane…
   V’era poi una realtà più discreta (…) ove il suo compito si limitava a rimanere fermo e a riempire i momenti di assenza di segnale…
   E c’era infine la piccola realtà dell’abitacolo a soqquadro (…) In verità c’erano anche le tante altre realtà, i prati fittizi e le iridate illustrazioni elettroniche di villaggi pieni di banalissime case…
   Chiuso nell’abitacolo e prestato alla guerra, CA è ancorato alla propria dimensione umana da due cose: la sua collezione di patetici e insignificanti souvenir che ingombrano lo spazio già angusto, e la consapevolezza della malattia incurabile che gli ha impedito di accedere a missioni più ambiziose e che lentamente lo sta portando alla morte. E durante le cosiddette “licenze” c’è la realtà virtuale che gli consente di ritemprarsi in ameni giardini e di tornare alla sua comunità d’origine, un popolo di coloni dello spazio dove un insolente avatar lo sostituisce nei rapporti sociali e perfino negli affetti.
   Rassegnato al suo destino, CA-209 ha rinunciato anche a ogni possibile valutazione morale sulle missioni devastanti in cui viene impiegato, su un pianeta Terra che ormai è diventato un ammasso di rovine immerse in un’atmosfera irrespirabile.   
   La sua cupa esistenza è però movimentata da un imprevisto: la presenza di Ambrose. Si tratta di una “voce” incorporea che sulle prime il protagonista scambia per un’allucinazione prodotta dalle metastasi maligne che gli infestano il corpo. Ma pare che non sia così. Il quesito sull’esatta natura di Ambrose è un interrogativo che percorre l’intero romanzo. Perché Ambrose non si lascia definire, non si fa imbrigliare, esce dalle regole, vuol dire sempre la sua con allegro cinismo, e sembra certo sul da farsi in ogni momento. Il rapporto che si instaura fra i due ricorda, a tratti, i protagonisti del film Il Sorpasso di Dino Risi.
   Questi sono gli ingredienti del romanzo. Materiale che farebbe tremare i polsi a ogni autore, per la complessità dei piani di azione e di lettura, se una sapiente regia non consentisse di tenere salde le redini. Perché alla complessità della realtà descritta si aggiunge, speculare, l’incessante pressione degli interrogativi esistenziali che ne scaturiscono. Non solo le ovvie riflessioni sull’insensatezza della guerra e sull’umana follia che la alimenta. Non solo l’insoluta questione della morte. C’è anche la spinosa faccenda dell’Intelligenza Artificiale, che porta con sé l’enigma della nascita della coscienza. E più in profondità si apre il problema dell’identità, quella umana e quella collettiva, là dove le singolarità si intrecciano e si fondono in una rete che diventa molto di più della somma dei componenti.
   Resta da capire perché Fabio Carta, che si dimostra dotato di una così ricca fucina di idee, non trovi di meglio, per la guerra del futuro, che schierare in campo a fronteggiarsi Occidentali e Islamici. Vuol essere un ostinato riferimento al presente, o un richiamo ai tempi epici delle crociate? Poco male, perché questo non scalfisce l’originalità della storia. Con una sbrigliata fantasia, ma anche con ironia e tenerezza, l’Autore governa abilmente le diverse anime del romanzo fino alla stupefacente conclusione.

di Giovanna Repetto


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