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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Aharon Appelfeld

Badenheim 1939

Guanda, Pag.141 Euro 13,50
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Recensendo questo libro probabilmente bestemmierò un paio di volte. Ma non è detto che ciò non possa essere di stimolo.

Prima bestemmia: nel 1962 Luis Buñuel realizzò il film L'angelo sterminatore. Dopo un concerto, un gruppo dell'alta borghesia messicana si riunisce in un salone ma non può più uscirne, bloccato da una forza misteriosa. E nessuno può entrare. Quando l'incantesimo si rompe, si ritrovano in una chiesa.

Badenheim 1939: nella località di villeggiatura omonima , mentre il variegato universo di ospiti si raduna per trascorrere giorni sereni, si moltiplicano i segni inquietanti di un cambiamento improvviso di situazioni, a cominciare da un misterioso Dipartimento sanitario, dotato di poteri particolari, che registra tutti gli ospiti di origine ebraica e che costringerà molti di loro a rimanere in un albergo e ad aspettare una "fantomatica" trasferta in terra polacca.

La bestemmia, semmai c'è, per chi ancora non l'avesse capito, sta nel confrontare le due vicende: quelle di persone impossibilitate ad uscire. Ma se nel primo caso, il film di Buñuel, il simbolismo acido del regista era strumento per una denuncia senza mezzi termini della borghesia e del clericalismo, nel romanzo di Appenfeld, l'impedimento ad uscire dei protagonisti non è un "gioco" di società, ma è prodromo della tragedia più terrificante del secolo scorso.

C'è un bel dialogo a metà libro che racchiude il senso frustrante degli eventi: «E allora perché tutto questo spostamento?» «Cause di forza maggiore» il suo compagno trovò modo di dire.

«Che io possa crepare, ma non capisco. Il mio buon senso non capisce.» «E allora uccidi il tuo buon senso e comincerai a capire.»


Già, forse l'arma migliore per tentare la comprensione di un dramma così inumano sarebbe quello di uccidere il buonsenso, altrimenti ogni sforzo di capire cozzerebbe contro una serie di muri invalicabili.

Seconda bestemmia: L'epilogo del romanzo mostra un manipolo di disgraziati che è condotto in stazione per la "trasferta" in Polonia che in realtà poi sarà la deportazione nei campi di concentramento. «Dentro!» ordinarono delle voci. La gente si disperse all'interno. Anche quelli che avevano una bottiglia di limonata in mano, o un pezzo di cioccolato, il capocameriere e il cane, tutti sparirono in un attimo come chicchi di grano dentro un imbuto.

Che vi devo dire, ma l'immagine del cane ormai affamato e allo stremo, che ha perso il compagno il giorno prima perché si è lasciato morire, che trotterella mesto verso il carro che lo porterà via... beh, mi ha segnato altrettanto.



P.S.

Permettetemi una polemica più che una bestemmia: ma leggere di persone costrette entro un perimetro e poi deportate e sapere di un popolo intero costretto alla fame dall'esercito israeliano che ha davvero costruito un muro, beh ... c'è qualcosa che stride. E gesummio che rumore che fà!



di Alfredo Ronci


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