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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Gregorio Magini

Cometa

Neo Edizioni, Pag. 243 Euro 15,00
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Ho letto bellissime recensioni di questo libro, alle quali non avrei molto da aggiungere, avendo preso atto dell’ottimo livello di analisi critica e sociologica. E del romanzo dà una buona idea anche la quarta di copertina:
   … è l’epopea disastrata, erotica e lisergica degli eroi senza motivo. Archetipi di una generazione fuori fuoco, il cui centro è dappertutto ma sempre altrove. L’odissea senza approdo di una stirpe di eletti a niente che cavalca il progresso come una pulce su un cavallo imbizzarrito, traghettata da sogni frenetici e deliri tecnologici.
   Non è così ovvio che la presentazione sappia essere tanto efficace e precisa: troppe ne ho viste che tradiscono il contenuto, lo dequalificano, e perfino lo travisano con errori grossolani. E dunque è questo il primo segno dell’attenzione e della cura che questa piccola ma grintosa casa editrice impiega nella confezione del prodotto. 
   Non mi dilungo sulla trama, perché non è mia abitudine indulgere a riassunti inutili e a spoiler, e questa volta sarebbe davvero fuorviante tentare un racconto: ci si troverebbe come a voler ridurre il dinamismo dei fuochi d’artificio a un tratteggio di linee colorate su un foglio. Ma qualcosa devo pur dire, perché ho letto il romanzo e l’ho trovato molto interessante. Lo faccio partendo dal titolo, e dalla personale interpretazione che mi ha suggerito.
   A parte l’ovvia assonanza con Comeet, la sigla pensata dai protagonisti per la produzione di un social (poi mutata in Comeetr per renderla più trendy) e a parte il fatto che una cometa ci sta davvero, a un certo punto (quasi un richiamo a una realtà più tangibile ma anche più inafferrabile rispetto a quella dell’informatica che domina in gran parte la scena), a parte tutto questo la cometa mi è apparsa come un’intensa metafora delle vite dei protagonisti.
   La cometa (almeno nel nostro immaginario che solo in parte corrisponde alla sua descrizione astronomica) è un corpo celeste magnifico e misterioso, un ossimoro di fuoco e ghiaccio, rapido nel suo passaggio e destinato a sparire presto, gravido di promesse e presagi che si consumano senza rivelarsi, con un nucleo denso che evaporando spande una scia sempre più rada. Così sono le vite dei due protagonisti, molto diversi fra loro ma unificati da una parabola comune: un grumo di potenzialità oscure e caotiche in cerca di sfogo. Due vite pericolosamente in bilico fra una nebulosa prospettiva di realizzazione di sé e un nichilismo che sembra precludere ogni possibilità. Magini descrive per tutt’e due un percorso che parte dall’infanzia e attraversa le tappe della vita, ma solo al racconto di Raffaele riserva la prima persona, insieme a un più ampio spazio nel romanzo. Raffaele appare disinibito, concentrato sulla sessualità fin dalla culla e dai primi giochi con le compagne di scuola. Fabio invece cresce introverso, mammone, immerso nella tecnologia come in un rifugio che lo ripari dai rapporti umani. Sembrano destinati a vivere in modo del tutto diverso i rapporti affettivi, eppure l’adolescenza coglie tutt’e due impreparati: lo spigliato Raffaele non ha meno difficoltà, con le donne, del complessato Fabio. C’è una fondamentale incapacità di relazione, un annaspare nel tentativo di districarsi fra desideri confusi, un continuo inciampare nell’immagine che di sé si vorrebbe dare o non dare agli altri. Gli alcolici, le sostanze, la pornografia e la tecnologia digitale (per un certo periodo perfino la politica, per Raffaele) sono viatici di un percorso accidentato e dalla meta incerta.
   Intendevo interrarmi in un bunker per coltivare la diversità assieme ad altri spiriti affini, sempre secondo i tre comandamenti: non lavorare, non aspettare, non invecchiare. Per attirare il tipo di individui che mi interessavano, finsi un subaffitto. Lasciai tutto fatiscente, come l’avevo trovato (…) Si riempirono di gente in rotta con la società, tutti spiantati, scarsamente interessati all’igiene, dediti a forme di divertimento macabre e ossessive.   
   A questo sconclusionato personaggio, in qualche modo imparentato con altri bei tipi come il giovane Holden di Salinger, il Portnoy di Roth, o il Barney di Richler (ma anche diverso da tutti) l’Autore presta una prosa originale, brillante, diretta e impudica, mentre lo dirige in una danza acrobatica su un filo teso fra la noncuranza la disperazione: dissimulata, quest’ultima, sotto le vesti dell’ironia e del cinismo. Di Fabio, degno complemento del protagonista, racconta con cura gli esordi, ma liquida troppo presto, mi pare, gli sviluppi che seguono all’incontro fra i due. C’era spazio per altre pirotecniche deflagrazioni che bilanciassero quelle vissute in solitudine. Quello che rimane, mentre si dirada la coda del corpo celeste, è il ritratto spietato di una generazione e di una società senza redenzione: la cometa non ha trovato nessun presepe su cui soffermarsi.    

di Giovanna Repetto


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