CLASSICI
Alfredo Ronci
Cosa fu mai quest’avventura? “Una giornata con Dufenne” di Mario Tobino.
Lo dobbiamo dire: in esergo c’è un’imprecisione. Si legge: Questo racconto è tutto di fantasia. E siamo ancora capendo perché Tobino abbia detto una simile sciocchezza. In realtà, tranne il nome che è stato dato al principale attorea della storia, dottor Giustiniani, il resto, proprio perché ce lo dice lo stesso autore, è di una correttezza esemplare.
Vediamo subito il perché: al di là di certe semplificazioni e di un modo scorretto di presentare le storie, il dottor Giustiniani, il protagonista di questa breve, ma intensa vicenda, è davvero Mario Tobino. Un po' perché ha avuto trascorsi bellici africani, ma soprattutto perché è un medico in un ospedale psichiatrico. E chi conosce, almeno in parte, Tobino sa che i due romanzi principali dell’autore sono Deserto della Libia e Le libere donne di Magliano (questo lo potete trovare addirittura in questa nostra sezione).
Perché dunque dire che questo racconto è tutto di fantasia? Forse aveva ragione Walter Pedullà quando, scrivendo in generale dell’autore, si liberò di pregevoli considerazioni: Si è detto così anche che Una giornata con Dufenne è un frutto in ritardo, privo perciò di una qualsiasi esemplarità nel discorso attuale del romanzo, ma è un frutto assai allettante e subdolamente suggestivo (…) Di certo e una patrimonio obbligato della più consapevole cultura italiana del dopoguerra.
Si tratta di un libriccino in cui l’autore racconta, con dovuta disinvoltura, una giornata trascorsa con un suo vecchio amico, appunto Dufenne, un compagno della Resistenza col quale ha anche altri ricordi, fra cui alcuni mesi dell’adolescenza passati in un convento di religiosi. Sono passati quarant’anni da quell’epoca e ora si ritrovano al raduno degli ex allievi a rievocare fatti, personaggi e storie che raffiorano alla memoria, tanto da far pensare ai protagonisti di aver passato una giornata riassuntiva della loro vita.
Ovviamente il centro di vari discorsi, al di là di certe rimembranze più infantili, è quello legato al dopo, agli episodi di guerra che hanno coinvolto tutti i partecipanti, e soprattutto al problema della resistenza.
Ma nell’intenzione di Tobino vi è anche la possibilità, come ha delineato giustamente Pedullà, di raccontare anche altro, cioè pagine che appartengono alla cultura italiana del dopoguerra.
Come ad esempio, quando racconta dei preti e dei confessionali: Quando io ero collegiale i confessionali non erano affatto così. Erano due tende, una a destra e una a sinistra; si entrava, il prete a corpo a corpo, ci si inginocchiava in mezzo alle sue gambe, lui abbracciava con la scusa della confessione, che l’adolescente avesse il massimo di confidenza a comunicare i suoi peccati.
Non tutti, solo alcuni preti usavano così. Io c’ero stato, avevo visto, ero stato attento, con me avevano vagamente tentato, io mi ero ritratto. Erano due tende di concubinaggio.
Con parole molto semplici e leggibili l’autore ci mostra tutto quello che c’era da sapere, ma ancora più determinato Tobino ci regala le sue impressioni su quello che forse gli stava più a cuore, la resistenza: E’ vero. Sono annoiato, non si può avere pazienza all’infinito. In un periodo i partigiani sono considerati i benefattori della patria; subito dopo i nostri connazionali tutti uniti li insultano e li dichiarano ladri e delinquenti; dopo un altro periodo non sono più neppure criminali, soltanto vigliacchi; e poi, dopo un altro periodo ancora c’è caso che la maggioranza degli italiani dichiarino con tranquillità che i partigiani non sono mai esistiti.
Seppure c’è ardore, ogni cosa, ogni momento è relazionato al tutto, al principio stesso dell’esistenza, e quando Tobino deve fare un resoconto di quella che è la sua vita, quasi alla fine del romanzo dice: Sono quasi trenta anni. Ci sono state altre cose, a è con voi che ho vissuto, ogni mattina, dopopranzo e notte. Io con voi matti, sempre con voi.
Riferendosi al suo lavoro, quello del protagonista del romanzo e quello di sé stesso, Tobino fa un resoconto di tutto e si accorge, con la dovuta correttezza, che quel che ha fatto è il risultato, al di là di certe quisquiglie politiche, di un’esistenza umana, il meglio che avrebbe potuto fare.
Tobino è solidale con i matti. È complice e li protegge e li ama così come sono. E noi amiamo chi con educazione ha saputo raccontare loro e il tutto (intorno).
L’edizione da noi considerata è:
Mario Tobino
Una giornata don Dufenne
Bompiani editore
Vediamo subito il perché: al di là di certe semplificazioni e di un modo scorretto di presentare le storie, il dottor Giustiniani, il protagonista di questa breve, ma intensa vicenda, è davvero Mario Tobino. Un po' perché ha avuto trascorsi bellici africani, ma soprattutto perché è un medico in un ospedale psichiatrico. E chi conosce, almeno in parte, Tobino sa che i due romanzi principali dell’autore sono Deserto della Libia e Le libere donne di Magliano (questo lo potete trovare addirittura in questa nostra sezione).
Perché dunque dire che questo racconto è tutto di fantasia? Forse aveva ragione Walter Pedullà quando, scrivendo in generale dell’autore, si liberò di pregevoli considerazioni: Si è detto così anche che Una giornata con Dufenne è un frutto in ritardo, privo perciò di una qualsiasi esemplarità nel discorso attuale del romanzo, ma è un frutto assai allettante e subdolamente suggestivo (…) Di certo e una patrimonio obbligato della più consapevole cultura italiana del dopoguerra.
Si tratta di un libriccino in cui l’autore racconta, con dovuta disinvoltura, una giornata trascorsa con un suo vecchio amico, appunto Dufenne, un compagno della Resistenza col quale ha anche altri ricordi, fra cui alcuni mesi dell’adolescenza passati in un convento di religiosi. Sono passati quarant’anni da quell’epoca e ora si ritrovano al raduno degli ex allievi a rievocare fatti, personaggi e storie che raffiorano alla memoria, tanto da far pensare ai protagonisti di aver passato una giornata riassuntiva della loro vita.
Ovviamente il centro di vari discorsi, al di là di certe rimembranze più infantili, è quello legato al dopo, agli episodi di guerra che hanno coinvolto tutti i partecipanti, e soprattutto al problema della resistenza.
Ma nell’intenzione di Tobino vi è anche la possibilità, come ha delineato giustamente Pedullà, di raccontare anche altro, cioè pagine che appartengono alla cultura italiana del dopoguerra.
Come ad esempio, quando racconta dei preti e dei confessionali: Quando io ero collegiale i confessionali non erano affatto così. Erano due tende, una a destra e una a sinistra; si entrava, il prete a corpo a corpo, ci si inginocchiava in mezzo alle sue gambe, lui abbracciava con la scusa della confessione, che l’adolescente avesse il massimo di confidenza a comunicare i suoi peccati.
Non tutti, solo alcuni preti usavano così. Io c’ero stato, avevo visto, ero stato attento, con me avevano vagamente tentato, io mi ero ritratto. Erano due tende di concubinaggio.
Con parole molto semplici e leggibili l’autore ci mostra tutto quello che c’era da sapere, ma ancora più determinato Tobino ci regala le sue impressioni su quello che forse gli stava più a cuore, la resistenza: E’ vero. Sono annoiato, non si può avere pazienza all’infinito. In un periodo i partigiani sono considerati i benefattori della patria; subito dopo i nostri connazionali tutti uniti li insultano e li dichiarano ladri e delinquenti; dopo un altro periodo non sono più neppure criminali, soltanto vigliacchi; e poi, dopo un altro periodo ancora c’è caso che la maggioranza degli italiani dichiarino con tranquillità che i partigiani non sono mai esistiti.
Seppure c’è ardore, ogni cosa, ogni momento è relazionato al tutto, al principio stesso dell’esistenza, e quando Tobino deve fare un resoconto di quella che è la sua vita, quasi alla fine del romanzo dice: Sono quasi trenta anni. Ci sono state altre cose, a è con voi che ho vissuto, ogni mattina, dopopranzo e notte. Io con voi matti, sempre con voi.
Riferendosi al suo lavoro, quello del protagonista del romanzo e quello di sé stesso, Tobino fa un resoconto di tutto e si accorge, con la dovuta correttezza, che quel che ha fatto è il risultato, al di là di certe quisquiglie politiche, di un’esistenza umana, il meglio che avrebbe potuto fare.
Tobino è solidale con i matti. È complice e li protegge e li ama così come sono. E noi amiamo chi con educazione ha saputo raccontare loro e il tutto (intorno).
L’edizione da noi considerata è:
Mario Tobino
Una giornata don Dufenne
Bompiani editore
CERCA
NEWS
-
11.04.2024
Adrian N. Bravi
Adelaida (Nutrimenti) -
11.04.2024
Marina Cvetaeva
'Taccuini' di Marina Cvetaeva -
28.03.2024
Vita di Karl Marx di Fabio Giovannini
Scritto in modo semplice e divulgativo. Il libro è dedicato ai lettori più giovani...
RECENSIONI
-
Marco Niro
Il predatore
-
Massimiliano Città
Agatino il guaritore
-
Enrico Deaglio
C’era una volta in Italia. Gli anni sessanta.
ATTUALITA'
-
Eleonora del Poggio
Uno scrittore... splendidamente carino.
-
Agostino Morgante
Una sottile Membrana
-
La redazione
Conviene leggere Holly?
CLASSICI
-
Massimo Grisafi
Carver: il miglior autore di racconti americano.
-
Alfredo Ronci
Ma era uno scrittore di successo?: “Uccidi o muori” di Libero Bigiaretti.
-
Alfredo Ronci
Un gioiello: “Estate al lago” di Alberto Vigevani.
CINEMA E MUSICA
-
Marco Minicangeli
"The Piper": Il pifferaio di Hamelin
-
Alfredo Ronci
Fiorella Mannoia e Danilo Rea
-
Francesco Piano
Nuovo Olimpo
RACCONTI
-
Luigi Rocca
La domanda
-
Andrea Ciucci
Cristo è un pop-up
-
Carmela Chiara Imbrogiano
Lupo