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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Lucia Bianchin

Dove non arriva la legge

Il Mulino, Pag. 389 Euro 25,50
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Sapevate che la recensione, in origine, era una forma di censura? Io no. L'ho appreso, assieme a tante altre belle cosucce, da questo ponderoso saggio. Il quale, benché edito sotto l'egida d'un trentino istituto storico italo-germanico - mamma del Carmine!!! - rimane appetibile anche al pubblico inesperto (come il Vs. Aff.mo) di sottigliezze giuridiche, di finezze storiografiche, e di confronti filologici tra Autori - Bodin e il suo critico Werdenhagen, Grégoire, Giusto Lipsio, Althusius - appena meno famosi di Stephen King. Libro che si consiglia a chi vorrà sapere non solo del come e del perché vi sia stato il ripristino di modi censorii, ispirati ai grecoromani, tra il diciassettesimo e l'inizio/metà del diciottesimo secolo, bensì voglia esser avvertito e delle radici del "revival", e di quegli aspetti della pratica che riguardano più da vicino la società attuale - di cui tutto si può dire, fourché trascuri il controllo "molecolare" degli individui. Ovvero: se viviamo in una società che gradirebbe mettere delle telecamere all'altezza del nostro buco del culo, forse ciò è reso possibile da idee e concetti elaborati ab antiquo. Viceversa, dunque, rendersi edotti di quelle tali concezioni, e verificarle, può aiutarci ora a chiarirne struttura e senso - se ne hanno.

Ebbene: se è vero che lo Stato moderno nasce sostituendo i medievali vincoli di fedeltà e vassallaggio (dei sudditi verso il principe e dei sudditi tra loro) con la sottomissione alla legge e l'uguaglianza di ognuno dinanzi al sovrano, allora esso deve cambiare gli antichi meccanismi di controllo sociale - deve dunque sostituire i vincoli delle corporazioni, delle gilde, delle fratellanze o comparàtici che disciplinavano il corpo sociale, con un sistema di dominio non solo degli atti delittuosi, di cui si occupano le leggi, ma anche di quell'area di usi, costumi e forme di vita che ai sillogismi dei codici sfuggono, fino a giungere a influire sulle coscienze, perché interiorizzino il principio d'ordine e si autodisciplinino, ovvero autocensurino - e difatti l'educazione dei fanciulli e delle masse è vista come censura preventiva, per diffondere le dottrine "vere" e cassare le "false".

Richiamandosi alle magistrature di Roma (già Servio Tullio istituisce il census), e alle eforìe greche, gli Autori esaminati e la Bianchin, con varie sfumature, analizzano modi, mezzi, limiti e rischi di questa "microfisica del potere", che dovrà agire, come dice il titolo del libro, dove la legge non arriva. La censura costituirà infatti uno strumento più snello, meno impastoiato, della giustizia "ad legem" - e dunque più arbitrario. Ma l'arbitrio, in grado maggiore o minore, è proprio la caratteristica che rende la censura apparato sottile e adatto per intervenire sulle pratiche consuetudinarie dei sudditi, ma sgradite perché portatrici non solo di scandalo (anche estremo: lusso e lussuria, prostituzione, incesto), ma di disordine, che è l'alimento primo per la faziosità e la sedizione, dunque per la rovina dello Stato.

Nell'uso di questo bisturi sociale, lo Stato ha un notevole concorrente, la Chiesa: l'atteggiamento del potere temporale rispetto a quello religioso è ondivago. Là dove è ancora debole, incerto, o dove la sua forza incontra quella uguale e contraria dei sinedri, presbitèri, sacri consigli o consulte, concìli tridentini e "consistoiren", si verifica una delega, che talvolta assume il carattere di una sostanziale rinuncia (cfr. Italia), del controllo dei costumi alle istituzioni ecclesiastiche. Dove invece lo Stato s'irrobustisce o ha una presa più forte, tende a contrastare e a far propria l'azione correttiva e di sorveglianza dei "mores" del clero: in ogni caso, tuttavia, si accende il dibattito sulla distinzione tra peccato e reato, ovvero sulla delimitazione di aree d'intervento, il più possibile nette, tra giurisdizione spirituale e civile.

Ovviamente, se da un lato la censura è censimento, ossia sguardo oculato sulle proprietà e sulle identità - su queste ritornerò -, a fini di amministrazione, attenuazione suntuaria degli sprechi e dello sfarzo e del divario tra ricchi e poveri (almeno in teoria, e sempre al fine di mantenere la pace sociale), e polizieschi (nasce qui la "polizeiwissenschaft"), e centralmente una pratica equitativa che tramite una "legale illegalità" introduce meccanismi di controllo fine e versatile, dall'altro la censura assume anche l'aspetto che per noi le è proprio, tanto da identificarcela in toto: il controllo e l'abbattimento delle idee sgradite, pericolose, eretiche, dissonanti, che sfuggivano dalle cerchie degli studiosi e dilagavano o imbibìvano gli "homini sanza lettere" o appena alfabeti, e che originavano sétte e consorterie da eradicare. Secondo l'Autrice, questa funzione in antico aveva un'efficacia e dunque un'importanza minori paragonate a quelle odierne, siccome i mezzi dei censori erano più limitati, ed anche le politiche delle diverse autorità laiche e religiose non erano coerenti.

Nata per "troncare, sopire", e, nella migliore delle ipotesi, per dare una giustizia sostanziale a fianco di quella formale, prevenendo e correggendo (con la sua funzione educativa) o reprimendo quel che sfugge a una regolamentazione generale e astratta come quella dei codici, la censura però reca con sé parte di quell'entropia che vorrebbe diminuire o azzerare. Difatti essa, se esacerbata, attira e fomenta l'odio nei confronti del sovrano: ed ecco che quell'ordine pubblico che dovrebbe contribuire a mantenere, viene da essa stessa leso. C'è poi il rischio, dato il carattere discrezionale della pratica, d'instaurare forme tiranniche o stati di polizia: perciò gran parte degli Autori sono d'accordo nel negare ai censori la giurisdizione, lasciando loro un potere che emenda, ma che non punisce - almeno nei modi più radicali - e che, nato anche per equilibrare il potere sovrano, sia da esso riequilibrato.

Nel discorso sulla rinascita della censura, si coglie infine un passaggio capitale, che annoda personale e politico, struttura e sovrastruttura: ricordo un personaggio di vecchia in un racconto di Maurizio Maggiani, che chiedeva ai nipotini, per riconoscerli, non "chi sei"?, bensì "di chi sei"? L'uomo premoderno aveva, prima che un'identità, un'appartenenza: alla tribù (famiglia allargata), all'arte, al campanile, alle "onorate società" se delinquente. Il nome stesso era spessissimo soprannome, vero perché segnatura, intima rivelazione di caratteristiche e quindi assegnazione a un tipo (Accattone!) o a un tratto, e non "latratum canis" anagrafico. La censura, intervento sui comportamenti e sulle coscienze, è un sintomo della crescita del senso di individualità personale, accompagnato però dalla sua ombra, l'individuazione. Che è la base del suo dominio, e della possibilità del potere di intridere di sé e modellare a sua immagine la neonata personalità: e ce lo racconta, fra i tanti, quel Tommasino Puzzilli prima borgataro creaturale, e dunque spregiatore dei "farlocchi", dei figli di papà, quindi assurto alla coscienza (anche politica), e di quelli - dei borghesi che possiedono la storia e ne son posseduti - invidioso. Dimostrazione anche, se bisognasse, che l'intuizione dell'esteta e l'acribia dell'erudito, ognuna seguendo loro stella giungono allo stesso amoroso porto.



di Marco Lanzòl


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