RECENSIONI
Michele Barbera
Esame incrociato
Edizioni La Zisa, Pag. 460 Euro 19,50
Presentato come un legal thriller, questo romanzo riserva in realtà ben poche sorprese. Non esente da imperfezioni stilistiche e lessicali, si dipana ordinatamente partendo da premesse che anche il lettore più sprovveduto può mettere a frutto per arrivare ben presto a conclusioni non dissimili da quelle a cui Barbera lo vorrebbe condurre attraverso il suo percorso di quattrocentosessanta pagine. Allora, ci si domanda, che cosa sostiene l'attenzione del lettore per tutto il tempo necessario? Prima di dare una risposta, bisogna riassumere per sommi capi la storia.
Marco Billemi, giovane ma ben preparato avvocato penalista, esercita la professione a Palermo, presso lo studio di un collega affermato. Mentre ancora è sotto shock per l'omicidio di un magistrato suo amico, compiuto in una strada della stessa città, il suo capo lo convoca e gli affida la difesa del presunto omicida. Infatti un ricco cliente, che afferma di essersi preso a cuore il caso, ha indicato proprio il nome di Marco per quell'incarico. Ovviamente c'è qualcosa che puzza, ma lì per lì Marco deve fare buon viso, anche a costo di pesanti conseguenze personali, fra cui la sua conflittualità interiore, la disapprovazione di amici e parenti, l'assenza di collaborazione dell'imputato, e i rischi sempre più gravi per la sua incolumità. Si capisce che c'è lo zampino della mafia, ma a differenza di quello che si potrebbe immaginare sembra che i committenti si aspettino da Marco una pura presenza formale per arrivare con le necessarie procedure a una rapida sentenza di condanna. Del resto le prove sono evidenti, e c'è perfino un video del delitto girato da un turista inglese e fortunosamente recuperato. Sembra perfino troppo facile, ma con il puntiglioso lavoro dettato dal suo scrupolo professionale Marco arriverà a conclusioni molto diverse da quelle di partenza. Intorno a lui si muovono figure di colleghi, di magistrati, di agenti delle forze dell'ordine, di giornalisti rompiscatole e di giornalisti coraggiosi. Non è facile, perché non è mai scontato, capire chi stia dalla sua parte e chi invece possa mettergli i bastoni nelle ruote.
Dunque, riprendendo l'analisi interrotta, che cosa può mantenere desto l'interesse in questo lungo romanzo che non ha particolari pregi letterari, né (per quanto non manchino scene d'azione o eventi drammatici) colpi di scena inattesi?
Ha almeno un pregio certo, derivante dalla diretta esperienza forense dell'Autore, che nella vita svolge la professione di avvocato. Sembra quasi di ritrovare un po' del buon vecchio Perry Mason, che faceva respirare l'atmosfera caratteristica delle aule di tribunale. Ma qui il pathos non deriva dal dubbio sulla reale identità dell'assassino, e nemmeno da una complicata ricerca delle prove. Deriva invece dalla necessità, per il protagonista, di districarsi all'interno della logica forense, che è molto diversa dalla logica del mondo quotidiano, in cui l'evidenza dei fatti e delle opinioni si può sostenere in modo diretto, con gli strumenti del buon senso. No, in tribunale bisogna conoscere le procedure, schivare le trappole, imboccare talvolta vie traverse per raggiungere il miglior risultato possibile.
Si persuase che la prima mossa doveva essere alla prossima udienza. Una volta terminato l'esame dei periti, occorreva produrre copia del provvedimento applicativo della misura di prevenzione. E, quindi, chiedere alla Corte l'acquisizione del registro delle firme (...)Il pubblico ministero avrebbe potuto fare opposizione, ma si trattava di dettagli procedurali facilmente superabili, data la natura dell'atto e la provenienza dalla difesa dell'imputato.
Poi, all'udienza successiva, quella in cui sarebbero state discusse le istanze ex art. 507 del codice, la difesa avrebbe potuto avanzare la richiesta (...)
Di sicuro il pubblico ministero non avrebbe gradito la sorpresa. Ancor meno se a vestire la toga di accusatore quel giorno vi fosse stato lo "Squalo", il dottor Carlo Passarella.
E' in questi passaggi che si rimane con il fiato sospeso, a dispetto del linguaggio tecnico. Quando l'Autore gioca nel suo campo, coinvolgendo il lettore nelle finezze di una partita a scacchi, riesce a dare emozione.
di Giovanna Repetto
Marco Billemi, giovane ma ben preparato avvocato penalista, esercita la professione a Palermo, presso lo studio di un collega affermato. Mentre ancora è sotto shock per l'omicidio di un magistrato suo amico, compiuto in una strada della stessa città, il suo capo lo convoca e gli affida la difesa del presunto omicida. Infatti un ricco cliente, che afferma di essersi preso a cuore il caso, ha indicato proprio il nome di Marco per quell'incarico. Ovviamente c'è qualcosa che puzza, ma lì per lì Marco deve fare buon viso, anche a costo di pesanti conseguenze personali, fra cui la sua conflittualità interiore, la disapprovazione di amici e parenti, l'assenza di collaborazione dell'imputato, e i rischi sempre più gravi per la sua incolumità. Si capisce che c'è lo zampino della mafia, ma a differenza di quello che si potrebbe immaginare sembra che i committenti si aspettino da Marco una pura presenza formale per arrivare con le necessarie procedure a una rapida sentenza di condanna. Del resto le prove sono evidenti, e c'è perfino un video del delitto girato da un turista inglese e fortunosamente recuperato. Sembra perfino troppo facile, ma con il puntiglioso lavoro dettato dal suo scrupolo professionale Marco arriverà a conclusioni molto diverse da quelle di partenza. Intorno a lui si muovono figure di colleghi, di magistrati, di agenti delle forze dell'ordine, di giornalisti rompiscatole e di giornalisti coraggiosi. Non è facile, perché non è mai scontato, capire chi stia dalla sua parte e chi invece possa mettergli i bastoni nelle ruote.
Dunque, riprendendo l'analisi interrotta, che cosa può mantenere desto l'interesse in questo lungo romanzo che non ha particolari pregi letterari, né (per quanto non manchino scene d'azione o eventi drammatici) colpi di scena inattesi?
Ha almeno un pregio certo, derivante dalla diretta esperienza forense dell'Autore, che nella vita svolge la professione di avvocato. Sembra quasi di ritrovare un po' del buon vecchio Perry Mason, che faceva respirare l'atmosfera caratteristica delle aule di tribunale. Ma qui il pathos non deriva dal dubbio sulla reale identità dell'assassino, e nemmeno da una complicata ricerca delle prove. Deriva invece dalla necessità, per il protagonista, di districarsi all'interno della logica forense, che è molto diversa dalla logica del mondo quotidiano, in cui l'evidenza dei fatti e delle opinioni si può sostenere in modo diretto, con gli strumenti del buon senso. No, in tribunale bisogna conoscere le procedure, schivare le trappole, imboccare talvolta vie traverse per raggiungere il miglior risultato possibile.
Si persuase che la prima mossa doveva essere alla prossima udienza. Una volta terminato l'esame dei periti, occorreva produrre copia del provvedimento applicativo della misura di prevenzione. E, quindi, chiedere alla Corte l'acquisizione del registro delle firme (...)Il pubblico ministero avrebbe potuto fare opposizione, ma si trattava di dettagli procedurali facilmente superabili, data la natura dell'atto e la provenienza dalla difesa dell'imputato.
Poi, all'udienza successiva, quella in cui sarebbero state discusse le istanze ex art. 507 del codice, la difesa avrebbe potuto avanzare la richiesta (...)
Di sicuro il pubblico ministero non avrebbe gradito la sorpresa. Ancor meno se a vestire la toga di accusatore quel giorno vi fosse stato lo "Squalo", il dottor Carlo Passarella.
E' in questi passaggi che si rimane con il fiato sospeso, a dispetto del linguaggio tecnico. Quando l'Autore gioca nel suo campo, coinvolgendo il lettore nelle finezze di una partita a scacchi, riesce a dare emozione.
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