RECENSIONI
Emanuele Bevilacqua
Estate di Yul
Leconte Editore, Pag.165 Euro 12,00
Bravo è bravo. Non si può dire di no: ha una storia da raccontare, né banale né eccessiva, una storia "su strada" - sì, sì: Kerouac, Kowalski, Getaway, Thelma & Louise (?), etc. -, e la fa filare liscia e spedita come una Giulietta nera sulla litoranea tirrenica, una Flaminia Zagato sulla fettuccia di Terracina, un'Alfa Duetto nei sobborghi "midbrow". Meglio: come una Lancia Aurelia G24B supercompressa, che ha perso la Bussola. Ma i protagonisti si accontentano di una Pontiac.
Bravo è bravo: la narrazione pare di getto, ci si pìnge uno squarcio di vita, e invece giocano tutte le trappole dello scrittore proprio scrittore - in particolare nel montaggio. Ma anche il disegno dei casi e delle persone ha una bella linea energetica, che riporta nell'italico idioma nato stanco, tartufesco e millenario l'intelligenza nervosa (p. 44) dell'americano - ma solo quella, pulita e scattante, senza manfrine e caricature per far vedere che ci si traduce dall'inglese. Una dràcma di esibizionismo e coscienza della propria bravura in più (quelle che facevano dire a Horowitz "posso fare tutto con queste mie ditìne") e avremmo il primo De Carlo, quella certa scrittura anni '80 "da bere", che francamente... invece aggiungendo un filìno di "smalltown boy" - ma furbo di sedici cotte e fascionèbo - staremmo dalla parte di Tondelli, quello di Pao Pao, dove c'è e si sente non solo l'"addio giovinezza", ma la "joventud" vissuta con la consapevolezza che finirà - "la saggezza a vent'anni" (p. 98) che è il segreto palese (come l'identità di Yul: ma quanti Yul volete che ci siano in giro?) del racconto: "Once I was young and I have so much more orientation". (p. 44) Racconto e giovinezza appaiati e appannati da una sapienza "triste, solitaria e finale": il protagonista cerca di incontrare Henry Miller (Enrico Molineri) a Big Sur, ma l'hanno ricoverato a poche centinaia di metri da casa sua. Morale: "ho percorso centinaia di chilometri per spostarmi di qualche metro". (p. 61) E per regalare al "cattivo maestro" (va' là che non lo sei, vecchio zozzo: p. 114) una copia di Cuore, di de Amicis - l'Edmondo de' Languori pare abbia fatto vittime insospettabili.
Ebbene: casomai non si fosse capito, Bevilacqua è bravo. Persino a pigliare - con l'incomodo Miller - un'aria spregiudicata che si concretizza con una robusta vena venerea: come delle "fermate" nella sorvegliata frenesìa del testo, si dànno numerosi intercorsi (etero)sessuali, variamente aggiunti di spezie "sadomacho". Ma si spreoccupi il Lettore: la qualità e abbondanza scopareccia anni Settanta è tenuta a bada dall'eroticamente corretto anni '90 e post - come testimonia l'evento, e la lingua scema in cui lo si relaziona, dato alle pp. 108-112, e qualche inserto passim: non si rischia insomma di dire, in questo campo, cose sgradevoli o perigliose. E anche l'uso di sostanze stupefacenti, reiterato che sia, si riduce a due pasticche di simpamina e a una fregatura presa con un fungo che dovrebbe essere allucinogeno, dopodiché il libro finisce come i film italiani: a Canne(s). Persino due gemelli di nove anni se ne socializzano una, (p. 53) ma la pagina, più che per questo, è memorabile per uno dei rarissimi scivoloni di scrittura dell'Autore, il quale caratterizza uno dei due biondini monocoriàli affibbiandogli degli "occhi furbi" - locuzione che credo usino soltanto i cronisti d'emergenza o le señoras y caballeros telemilionarie, e non dico altro.
Infine: tempo addietro, in una città non anglosassone ma dove l'inglese è piccolo veicolo di comunicazione, vidi, sulla vetrina d'una libreria, una classifica dei dieci volumi in questa lingua più venduti in loco. Uno era Preghiere esaudite. Ma, vuoi per disattenzione, vuoi per uno sprazzo di mogolbattisti in trasferta, c'era scritto "answered prayries", che suona come "praterie esaudite". Mi ritornò in mente (va beh...) durante il libro, e nella nota ultima in specie, per il suo involontario senso né mistico né religioso, ma di destino. Come se il ragazzo di ieri (la giovinezza) oggi salvasse l'uomo dàndogli continuità e memoria, come l'uomo (la maturità) aveva salvato il giovane d'allora, dàndogli il necessario disincanto per vivere senza farsi sopraffare dalla vita. Bell'equilibrio che non è di tutti. Che non tutti salva. Che salva i figli di quali padri, e i padri di quali figli? I figli e i padri che, con Orazio Flacco, di sé potrebbero dire "Vertumnis quotquot sunt natus iniquis"?
Saperlo.
di Marco Lanzòl
Bravo è bravo: la narrazione pare di getto, ci si pìnge uno squarcio di vita, e invece giocano tutte le trappole dello scrittore proprio scrittore - in particolare nel montaggio. Ma anche il disegno dei casi e delle persone ha una bella linea energetica, che riporta nell'italico idioma nato stanco, tartufesco e millenario l'intelligenza nervosa (p. 44) dell'americano - ma solo quella, pulita e scattante, senza manfrine e caricature per far vedere che ci si traduce dall'inglese. Una dràcma di esibizionismo e coscienza della propria bravura in più (quelle che facevano dire a Horowitz "posso fare tutto con queste mie ditìne") e avremmo il primo De Carlo, quella certa scrittura anni '80 "da bere", che francamente... invece aggiungendo un filìno di "smalltown boy" - ma furbo di sedici cotte e fascionèbo - staremmo dalla parte di Tondelli, quello di Pao Pao, dove c'è e si sente non solo l'"addio giovinezza", ma la "joventud" vissuta con la consapevolezza che finirà - "la saggezza a vent'anni" (p. 98) che è il segreto palese (come l'identità di Yul: ma quanti Yul volete che ci siano in giro?) del racconto: "Once I was young and I have so much more orientation". (p. 44) Racconto e giovinezza appaiati e appannati da una sapienza "triste, solitaria e finale": il protagonista cerca di incontrare Henry Miller (Enrico Molineri) a Big Sur, ma l'hanno ricoverato a poche centinaia di metri da casa sua. Morale: "ho percorso centinaia di chilometri per spostarmi di qualche metro". (p. 61) E per regalare al "cattivo maestro" (va' là che non lo sei, vecchio zozzo: p. 114) una copia di Cuore, di de Amicis - l'Edmondo de' Languori pare abbia fatto vittime insospettabili.
Ebbene: casomai non si fosse capito, Bevilacqua è bravo. Persino a pigliare - con l'incomodo Miller - un'aria spregiudicata che si concretizza con una robusta vena venerea: come delle "fermate" nella sorvegliata frenesìa del testo, si dànno numerosi intercorsi (etero)sessuali, variamente aggiunti di spezie "sadomacho". Ma si spreoccupi il Lettore: la qualità e abbondanza scopareccia anni Settanta è tenuta a bada dall'eroticamente corretto anni '90 e post - come testimonia l'evento, e la lingua scema in cui lo si relaziona, dato alle pp. 108-112, e qualche inserto passim: non si rischia insomma di dire, in questo campo, cose sgradevoli o perigliose. E anche l'uso di sostanze stupefacenti, reiterato che sia, si riduce a due pasticche di simpamina e a una fregatura presa con un fungo che dovrebbe essere allucinogeno, dopodiché il libro finisce come i film italiani: a Canne(s). Persino due gemelli di nove anni se ne socializzano una, (p. 53) ma la pagina, più che per questo, è memorabile per uno dei rarissimi scivoloni di scrittura dell'Autore, il quale caratterizza uno dei due biondini monocoriàli affibbiandogli degli "occhi furbi" - locuzione che credo usino soltanto i cronisti d'emergenza o le señoras y caballeros telemilionarie, e non dico altro.
Infine: tempo addietro, in una città non anglosassone ma dove l'inglese è piccolo veicolo di comunicazione, vidi, sulla vetrina d'una libreria, una classifica dei dieci volumi in questa lingua più venduti in loco. Uno era Preghiere esaudite. Ma, vuoi per disattenzione, vuoi per uno sprazzo di mogolbattisti in trasferta, c'era scritto "answered prayries", che suona come "praterie esaudite". Mi ritornò in mente (va beh...) durante il libro, e nella nota ultima in specie, per il suo involontario senso né mistico né religioso, ma di destino. Come se il ragazzo di ieri (la giovinezza) oggi salvasse l'uomo dàndogli continuità e memoria, come l'uomo (la maturità) aveva salvato il giovane d'allora, dàndogli il necessario disincanto per vivere senza farsi sopraffare dalla vita. Bell'equilibrio che non è di tutti. Che non tutti salva. Che salva i figli di quali padri, e i padri di quali figli? I figli e i padri che, con Orazio Flacco, di sé potrebbero dire "Vertumnis quotquot sunt natus iniquis"?
Saperlo.
di Marco Lanzòl
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Cooper, Pag.73 Euro 9,00My gosh! Waw! Jeez! Finalmente il libro perfetto per il recensore. Nel senso, che dà poca fatica: è impossibile da recensire. Mi spiego (ma non mi "sspezzo"): il testo è breve, denso, e riassumerlo significherebbe renderlo quasi per intero - ovvero ammazzarlo, siccome il mio Paziente Lettore si direbbe unquanco: "Tanto vale leggermi la (questa) rubrica, sta tutto lì!" Peggior servizio all'Autore non si potrebbe fare, e la recensione, com'è ovvio, è anche in larga parte scritto servile.
Par contre, commentare delle pagine come queste(...)
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