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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Mariapia Borgnini

Facciamo finta che non siamo noi?

GLIMI-Casagrande, Pag. 81 Euro 15,00
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Prima di sputare sentenze sul libro della Borgnini, psicologa che si ispira alle dottrine di Bion (quello della "bilogica" èdita Armando Armando?) filtrate e riviste da Ferruccio Marcoli, si invitano les Paradisants a sorbettarsi una citazione (dalle pp. 75-6) lònga, lònga, lònga, come la scalinatella della canzonetta nappulitàna. Pronti? Via: "Durante la mia esperienza (...) ho visto ragazzi migliorare il loro linguaggio e acquisire la capacità di nominare le proprie azioni e i propri sentimenti;

li ho visti guadagnare consapevolezza delle esperienze proprie e altrui; li ho accompagnati verso l'abbandono di rigide posizioni egocentriche, permettendo alla soggettività di ognuno di esprimersi all'interno di una relazione interpersonale significativa" - e fila liscio. Però segue: "Ma accanto a quelli coraggiosi, ci sono i ragazzi che non osano fare la prima mossa. Sono quelli che non sono pronti a misurarsi con il proprio dolore e fuggono davanti alla possibilità di trasformare la propria soggettività sottoponendosi a scambi simbolici. Tante storie sono rimaste mute: sono le storie di chi non può accettare di essere aiutato perché ciò renderebbe evidente il bisogno. (...) Se non guidati, questi ragazzi il dolore lo scaricano all'esterno in forme inconsapevoli e distruttive" che sarebbero, sintetizzo, non solo urla, spinte e botte, il disimpegno nell'aver cura di sé e delle cose, e nelle occasioni scolastiche, ma anche "la disposizione a rendersi vittime di ripetuti incidenti" - e siamo al punto in cui il disegno squadra.

Trattiamo, lo si sarà capito, di mediorènni (quindici-sedici anni)(*) con problemi nell'apprendere, nell'agire e nell'integrarsi: a loro si rivolge un "pretirocinio" d'un anno, per orientarli a una professione. In quest'ambito, una volta a settimana per tre quarti d'ora la psicologa relatrice offre da un lustro ai piskellos la possibilità di un ascolto professionale, tramite il sistema del "fare storie" - si propongono cinque personaggi (una cuoca, un muratore, un/a poliziotto/a, un/a gatto/a e un qualcuno di successo (cantante, divo del cinema, etc.)) sì da inserirli in una narrazione. (pp. 11-13) Da scrittore, ritengo che a malapena Agata Christie o Lucarelli tirerebbero fuori qualcosa da tale congerie, ma non si tratta di vincere lo Strega o il Pen Club Award - perciò, se la cosa vi sembra cervellotica o viceversa puerile, leggete a p. 37 e sg. il motivo per cui , e sappiate che molto spesso, come faceva notare Daniele Luttazzi, gli scienziati che si occupano di schizofrenici con episodi allucinatori passano il loro tempo a studiare i topolini nel labirinto. Sta di fatto però che i giovani, ancorché intronàti o scassauàllera, non sono cavie: e, quando sottoposti a un trattamento del genere, hanno almeno il diritto di pensare che sia una fesseria. E, in pertinenza, di rifiutare un aiuto che sentono inadeguato o artefatto, senza rischiar di passare per "chi non può accettare di essere aiutato perché ciò renderebbe evidente il bisogno". Viceversa, il dottor Diaforùs di turno ha l'obbligo, prima di affermare ciò, di verificare se putacaso il punto sia il proprio sapere, invece d'una pretesa resistenza altrui. Altrimenti, può capitargli (-le, nel caso), di provocare gli sfracelli che l'adottare un'onnicomprensiva teoria della resistenza ha provocato alla prassi di Freud e dei freudiani: scambiando per "denegazione" il semplice e puntuale rifiuto d'adattarsi al falso copione ordito dal terapeuta, questi convinceva il paziente d'abusi già mai avvenuti, e persino gravissimi come l'incesto o il satanismo. (**) Qui per buona sorte non siamo a segnar tali riguardi, ma dal mattino si conosce il giorno. E comunque, giovani supposti incapaci di "misurarsi con il proprio dolore", e che "fuggono davanti alla possibilità di trasformare la propria soggettività sottoponendosi a scambi simbolici", non si qualificano indirettamente (gesuiticamente) da vili (giacché gli altri sono "coraggiosi"...). Semmai, correttezza vorrebbe s'aiutassero a praticare la maniera per liberarsi dei loro impacci - visto che quella offerta loro non funge: si presume che chi abbia competenza nella cura tecnica d'anime faccia questo, e non distribuisca segni rossi d'eroismo o placche di codardìa. Rendiamo ciò ai generali: e agli scrittori per i quali un generale è un generale, e non un'anima (se non dei morti suoi).

C'è, ancora, la sibillina frase "la disposizione a rendersi vittime di ripetuti incidenti" che, se male non intendo, includerebbe i ragazzi nel novero o degli autolesionisti con tendenze suicide, (vedi p. 29) o dei distratti che si maciullano un piede assestandoci un colpo di zappa: cretini un po', Lenin a dit, va bene, ma qui si esagera. Infine, si segnala (p. 11) che "fin dall'inizio gli operatori rilevarono che il problema non dipendeva tanto da una congiuntura economica sfavorevole, quanto dalle caratteristiche comuni ai ragazzi: una fragile personalità e una scarsa preparazione scolastica". E' probabile che don Milani corpo santo 'ndo' giace esagerasse pure lui nell'attribuire ogni ritardo alla montagna: ma se i posti di lavoro e le circostanze favorevoli per apprenderne uno si riducono, tant'è, e non ha a che vedere con le capacità di ognuno, se non con quelle per emergere nella keen competition - e, nel caso, il difetto ristarebbe in un mondo che predilige e predica tempi e modi da strozzini e non da uomini. Poi: se non è giusto confondere la matrice dei fenomeni sociali ed economici con quella degli accadimenti psichici, quant'è giusto scaricare sempre e comunque sulle spalle del singolo disavventure che potrebbero avere radici esterne? E, soprattutto: quanto lo è nel caso di giovani in cui non solo le coscienze ma le conoscenze sono in formazione?

Libri di tal fatta, si sarà capito, mi lasciano un retrogusto non gradevole: mi pare sagrata l'osservazione d'un filosofo (Putnam. O era Dennett?) secondo cui le scienze della mente non progrediscono per la stessa ragione per cui l'astronomia era ferma, sino a Galileo, ai babilonesi: agli scrutatori del cielo difettava l'occhiale, a quelli della psiche manca l'analogo cerebroscopio - o comunque si battezzerà il barroco istrumento il fortunato dì della sua nascita. Così, leggendo degli psicologi, psichiatri, psicoanalisti, psicocosi di tutte le scuole di ogni ordine e grado mi pare di trovarmi a un consesso di pìi Tolomei, che s'affannano co' loro epicicli e deferenti (spesso, deferenti al potere o all'opinione forte di turno) a redigere tabelle d'eclissi, allineamenti e passaggi di comete, azzeccandoci di tanto in tanto. E, lo ammetto con rammarico, questo libro della Borgnini non mi cangia d'ideale.





*) Il bel conio d'un intermedio tra mino- e maggiorenne è di Fulvio Wetzl, nel suo Quattro figli unici;

**) Rimando il Lettore ai testi seguenti: Frederick Crews, The memory wars, New York Review Book, New York 1995; Debbie Nathan e Michael Snedeker, Satan's silence, BasicBooks, New York 1995; Boris Cyrulnik, Un merveilleux malheur, Odile Jacob, Paris 1999, p. 154 e segg. (in Italia è edito da Frassinelli); Paolo Toselli, Storie di ordinaria falsità, Rizzoli, Milano 2004, pp. 198 - 211. Luciano Mecacci, Il caso Marilyn M., Laterza, Bari 2000.







di Marco Lanzòl


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