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CLASSICI

Alfredo Ronci

Gli anni grigi di uno scrittore per caso: 'La gioventù perduta' di Beniamino Dal Fabbro.

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Vero, Beniamino Dal Fabbro fu scrittore quasi per caso. I suoi esordi lo videro poeta e solo il confronto con una giovinezza mai risolta e per certi versi misteriosa lo portò a scrivere il libro in questione.

Curiosamente lo scrittore bellunese è famoso per altri accadimenti: negli anni cinquanta divenne critico musicale per testate importanti (una delle sue innumerevoli attività: fu anche pittore, oltre che poeta e scrittore, esperto di letteratura francese e traduttore) e nel '59 fu trascinato in tribunale per un processo di diffamazione intentato dalla Callas. Durante una rappresentazione dell'Anna Bolena alla Scala, Dal Fabbro aveva avuto il coraggio di accusare la grande cantante di foraggiare la nutrita claque a lei favorevole e in più criticandola per il suo eccessivo gigionismo.

Il Tribunale penale di Milano lo assolse perché 'il fatto non costituisce reato'.

Ne La gioventù perduta non vi è traccia del suo amore per la musica, se non un episodio in cui il protagonista trascina la sua fiamma in un vecchio teatro in disuso: Con la figlia del revisore mi trovavo in quello che una volta era stato il palchetto di mio padre. Anche là, completa era la degradazione: macchie sospette deturpavano la tappezzeria, sul davanti l'assicella era smossa col pericolo di cadere in platea.

Siamo di fronte invece ad un racconto sul filo di un'ironia semi-nascosta, ad una storia che appare a tratti anche volutamente falsa (gigionesca, a voler rivoltargli contro l'aggettivo, come quando all'inizio del romanzo, in esergo, e sfruttando un topos letterario, lo scrittore fa presente che... diamo con trepidazione alle stampe il manoscritto che il nostro povero Amico ci affidava alla vigilia del suo ricovero, per inguaribile ipocondria, nel manicomio di ***...).

Storia comunque simile a molte altre col protagonista che nella ricerca disperata di un amore, prima si isola in un paese di montagna e poi, finita l'esperienza, s'innamora della figlia di un esattore, ma è costretto a lasciarla perché la sua condizione sociale è incompatibile con quella dell'amata.

Romanzo, se vogliamo, nell'eleganza di una lingua classica, ma mai accademica, fatto a quadri: il primo immerso in una provincialità dimessa con annesso scaldaletto sessuale, il secondo disincantato con la montagna e la prima passione amorosa appena un gradino sopra il grigiore esistenziale, il terzo più 'smosso' ma doloroso per il protagonista che si vede rifiutato per requisiti che la vita stessa gli ha negato, il quarto decisamente suggestivo e malinconico, dove la sottile inquietudine del ragazzo fa i conti con le proprie origini (visita il paese del padre che è partito per l'America lasciandolo solo con la madre, ma pernottando in un hotel e fuggendo le appiccicose lagnanze della parentela) e con la figura genitoriale scappata improvvisamente.

Su tutto incombe però la 'nera' percezione di una gioventù mai del tutto compresa (per questo 'perduta' come ci indica il titolo?): Camminando in solitudine per quella riva fluviale giunsi allora a riconoscere quello che sino ad allora, del mio intimo, mi era sfuggito tra la gente ciarliera della locanda, in casa del duca, davanti agli sguardi interrogativi delle ragazze ricche: mio era, e tale era stato mio padre e del padre di mio padre, quello sconsolato e squallido paesaggio, dominato da una forza costante ed estranea; nel cuore lo rispecchiavo meglio che negli occhi; mio era quel tedio, che non mi aveva mai dato tregua, un fiume devastatore: la luce che vi era sopra egualmente aveva illuminato di scialbi riflessi i miei gironi di ragazzo e di giovinetto.

Dal Fabbro sembra anche un po' giocare con le sue ossessioni: insiste nel finale, con la finzione, come se quel che ha raccontato non gli appartenesse, o appartenesse come fotocopia di vite altrui: Erano sul nostro tavolo le ultime prove tipografiche di questo libro quando, a renderlo postumo, ci giunse dal Manicomio di *** la notizia di morte del nostro Amico.

(...) Fu sepolto nel campo orientale del cimitero di ***. La lapide di pietra greggia non porta incise che le iniziali del nome.


Beniamino Dal Fabbro tornerà al romanzo ma con tempi dilatati e dettati da altre occupazioni: non smise mai di scrivere poesie e men che mai rinunciò alla sua passione musicale e quindi alla critica, grazie anche alla sua esperienza come pianista.

La gioventù perduta rimane un romanzo curioso ma straordinariamente vissuto, dove la mestizia del reale sopravvive nel lettore per via di un'ironia, si diceva in precedenza, semi-nascosta, che quando svelata palesa una capacità d'introspezione assai rara e ricercata.

Il fardello rimane: La cava abbandonata dei ricordi mi attira con le sue grotte, coi suoi tenebrosi avvolgimenti...





L'edizione da noi considerata è:



Beniamino Dal Fabbro

La gioventù perduta

Bompiani - 1945







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