DE FALSU CREDITU
Duhrata Poka
Haiku
Albània press, Pag. 153 Euro 14,80
Già dalla copertina s'intuisce il messaggio della poetessa di Tirana: l'elemento atmosferico è parte integrante di una coscienza che pur slacciatasi dall'uniformità e dalla tetraggine totalitarista, comunque fai conti con le speranze deluse del post-comunismo e con quella sorta di sradicamento collettivo che è parte integrante di alcune popolazioni balcaniche.
Si avverte nel magma poetico della Poka una vena di esistenzialismo tardivo, che la fa accostare all'altro grande intellettuale albanese, Fatos Kongoli, e che testimonia anche la su angoscia per una condizione al di là delle più disumane limitazioni.
Il volume di haiku che andiamo a presentare raccoglie la produzione poetica della poetessa che va da un periodo molto precedente alla caduta del muro di Berlino e quindi al disgregarsi dell'ideologia comunista fino ai giorni nostri. E' datata 1978 la composizione che traccia, senza l'ausilio di un emetismo di facciata, la sua resistenza alla dittatura: Il frinire di cicale/ copre il bussare alla porta/ non apro. E' fin troppo evidente la lotta - ci verrebbe da dire clandestina – che oppone la coscienza della Poka alla poca (scusate il gioco di parole) sostanza del concentrazionismo albanese.
Ma non tutto dell'arte della poetessa è resistenza, anzi, negli haiku successivi alla capitolazione politica il privato s'innesta all'ideologico, o ancora meglio, come ha lucidamente espresso un altro suo connazionale, anch'esso poeta, Ron Kubati, 'l'altrimenti nell'altrove'.
Ed ecco allora che le poesie rifulgono di una luce diversa, quasi dorata, anche se qua e là si coglie il dettaglio incerto (incerto perché appartiene all'esistenza, non alla qualità intrinseca del verso) e la circostanza disaccogliente: Fuori piove/ il cane rientra/ dio come puzza (notare il minuscolo che segna la deità in una coerenza ideologica lontana però dal peccato della politica, una immacolata adesione ad una vita libera e sciolta da vincoli religiosi). Oppure: Se stiamo insieme/ ci sarà un perché/ tuona (qui siamo davvero ad un passo dall'espressionismo canoro, ma sempre contrapposizione lucida e determinante tra una condizione che in apparenza si crede fluida e il suo opposto).
Tornano però, spesso, i fantasmi del passato: quelli che si vorrebbe uccidere, ma rimangono indelebili, i ricordi degli incubi, ma anche dell'epico istinto di sopravvivenza di una bambina (l'età come riverginamento della persona) che osserva ciò che le accade attorno. Crolla il tetto/ mentre nevica/ case di cartone.
Insomma Haiku è abluzione, lavacro purificatore, istanza sentita, ma non sotterrata. Grido di libertà. Ed il lettore non fa fatica a cogliere questi dettagli, questi segni di micro/macro poesia. Questo desiderio di nettezza ad un passo dal profumo di santità.
Si avverte nel magma poetico della Poka una vena di esistenzialismo tardivo, che la fa accostare all'altro grande intellettuale albanese, Fatos Kongoli, e che testimonia anche la su angoscia per una condizione al di là delle più disumane limitazioni.
Il volume di haiku che andiamo a presentare raccoglie la produzione poetica della poetessa che va da un periodo molto precedente alla caduta del muro di Berlino e quindi al disgregarsi dell'ideologia comunista fino ai giorni nostri. E' datata 1978 la composizione che traccia, senza l'ausilio di un emetismo di facciata, la sua resistenza alla dittatura: Il frinire di cicale/ copre il bussare alla porta/ non apro. E' fin troppo evidente la lotta - ci verrebbe da dire clandestina – che oppone la coscienza della Poka alla poca (scusate il gioco di parole) sostanza del concentrazionismo albanese.
Ma non tutto dell'arte della poetessa è resistenza, anzi, negli haiku successivi alla capitolazione politica il privato s'innesta all'ideologico, o ancora meglio, come ha lucidamente espresso un altro suo connazionale, anch'esso poeta, Ron Kubati, 'l'altrimenti nell'altrove'.
Ed ecco allora che le poesie rifulgono di una luce diversa, quasi dorata, anche se qua e là si coglie il dettaglio incerto (incerto perché appartiene all'esistenza, non alla qualità intrinseca del verso) e la circostanza disaccogliente: Fuori piove/ il cane rientra/ dio come puzza (notare il minuscolo che segna la deità in una coerenza ideologica lontana però dal peccato della politica, una immacolata adesione ad una vita libera e sciolta da vincoli religiosi). Oppure: Se stiamo insieme/ ci sarà un perché/ tuona (qui siamo davvero ad un passo dall'espressionismo canoro, ma sempre contrapposizione lucida e determinante tra una condizione che in apparenza si crede fluida e il suo opposto).
Tornano però, spesso, i fantasmi del passato: quelli che si vorrebbe uccidere, ma rimangono indelebili, i ricordi degli incubi, ma anche dell'epico istinto di sopravvivenza di una bambina (l'età come riverginamento della persona) che osserva ciò che le accade attorno. Crolla il tetto/ mentre nevica/ case di cartone.
Insomma Haiku è abluzione, lavacro purificatore, istanza sentita, ma non sotterrata. Grido di libertà. Ed il lettore non fa fatica a cogliere questi dettagli, questi segni di micro/macro poesia. Questo desiderio di nettezza ad un passo dal profumo di santità.
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