RECENSIONI
Olle Lönnaeus
Il bambino della città ghiacciata
Newton Compton, Pag. 390 Euro 14,80
Zooropa. Continuo il mio lento vagare. Dopo la (malinconica) Francia di Jean Claude Izzo e la (spumeggiante) Spagna di Juan Madrid, è la volta di Olle Lönnaeus, svedese, con la sua opera prima, Il bambino della città ghiacciata. Uno dei tanti svedesi, verrebbe da dire, visto che in molti sono calati in Italia ultimamente. Questo, però, è un romanzo superiore alla media, una storia coinvolgente, ben confezionata, ma che non rinuncia a mettere il dito nella piaga del razzismo (leggi: nazismo) della civile Europa. Una storia per alcuni aspetti straniante.
Contrariamente a quanto recita il titolo, il romanzo si svolge in una provincia svedese insolitamente calda e il bambino a cui si fa riferimento è Konrad Jonsson, giornalista freelance che torna a Tomelilla dopo che i suoi genitori adottivi sono stati ammazzati. La sua vita, dopo anni di reportage nel martoriato Medio Oriente (qui c'è materiale biografico, visto che Lönnaeus è stato inviato in molti paesi di quello scacchiere) è giunta ad un punto di svolta e lui non riesce a riprendersi. Divorziato, impossibilitato a continuare in un lavoro che lo ha fatto sprofondare nella depressione più nera dopo la morte di un suo amico, viene raggiunto dalla notizia del duplice omicidio e da Berlino torna in Svezia. Non appena arrivato scopre, però, di essere indiziato: Herman e Signe, i suoi genitori, hanno infatti vinto una grossa cifra ad una lotteria e "sembra" che qualcuno abbia visto vicino la loro casa un uomo che gli somiglia in modo forte. Konrad deve capire, deve scoprire cosa c'è dietro quelle morti, perché è chiaro che solo così riuscirà a scagionarsi, ma soprattutto a darsi spiegazioni di dolori latenti. E' per questo che sarà costretto a rivivere la sua infanzia a Tomelilla, dalla quale manca da vent'anni, a rincontrare persone di cui forse aveva perso la memoria. Sarà insomma costretto a ricordare. Ricordi dolorosi, abbiamo detto: la scomparsa della madre, Agnes, un'immigrata polacca che per vivere si prostituiva, la sua giovinezza fatta di scherni e soprusi, di razzismo più o meno strisciante, di scontri fisici con gli altri giovani del luogo, la sua famiglia adottiva di fanatici cristiani che gli ha reso la vita difficile.
Olle Lönnaeus è molto bravo a coniugare la storia di Konrad, una storia personale, con il clima di chiusura e di razzismo (neanche tanto velato, a dire il vero) che sta pervadendo la Svezia (la Svezia? Zooropa!): due albanesi, ladruncoli di poco conto, vengono praticamente giustiziati, ma la polizia, spinta anche dalla "brava gente" di Tomelilla chiude il caso immediatamente come legittima difesa. Un romanzo malinconico, dove (forse) giustizia sarà fatta, ma che non ha nessuno vincitore. Da leggere col cuore e con un mazzo di rose rosse in mano. Perché? Non ve lo dico. So solo che la storia non ci ha insegnato nulla e che fare testimonianza è già, di per sé, un atto rivoluzionario.
di Marco Minicangeli
Contrariamente a quanto recita il titolo, il romanzo si svolge in una provincia svedese insolitamente calda e il bambino a cui si fa riferimento è Konrad Jonsson, giornalista freelance che torna a Tomelilla dopo che i suoi genitori adottivi sono stati ammazzati. La sua vita, dopo anni di reportage nel martoriato Medio Oriente (qui c'è materiale biografico, visto che Lönnaeus è stato inviato in molti paesi di quello scacchiere) è giunta ad un punto di svolta e lui non riesce a riprendersi. Divorziato, impossibilitato a continuare in un lavoro che lo ha fatto sprofondare nella depressione più nera dopo la morte di un suo amico, viene raggiunto dalla notizia del duplice omicidio e da Berlino torna in Svezia. Non appena arrivato scopre, però, di essere indiziato: Herman e Signe, i suoi genitori, hanno infatti vinto una grossa cifra ad una lotteria e "sembra" che qualcuno abbia visto vicino la loro casa un uomo che gli somiglia in modo forte. Konrad deve capire, deve scoprire cosa c'è dietro quelle morti, perché è chiaro che solo così riuscirà a scagionarsi, ma soprattutto a darsi spiegazioni di dolori latenti. E' per questo che sarà costretto a rivivere la sua infanzia a Tomelilla, dalla quale manca da vent'anni, a rincontrare persone di cui forse aveva perso la memoria. Sarà insomma costretto a ricordare. Ricordi dolorosi, abbiamo detto: la scomparsa della madre, Agnes, un'immigrata polacca che per vivere si prostituiva, la sua giovinezza fatta di scherni e soprusi, di razzismo più o meno strisciante, di scontri fisici con gli altri giovani del luogo, la sua famiglia adottiva di fanatici cristiani che gli ha reso la vita difficile.
Olle Lönnaeus è molto bravo a coniugare la storia di Konrad, una storia personale, con il clima di chiusura e di razzismo (neanche tanto velato, a dire il vero) che sta pervadendo la Svezia (la Svezia? Zooropa!): due albanesi, ladruncoli di poco conto, vengono praticamente giustiziati, ma la polizia, spinta anche dalla "brava gente" di Tomelilla chiude il caso immediatamente come legittima difesa. Un romanzo malinconico, dove (forse) giustizia sarà fatta, ma che non ha nessuno vincitore. Da leggere col cuore e con un mazzo di rose rosse in mano. Perché? Non ve lo dico. So solo che la storia non ci ha insegnato nulla e che fare testimonianza è già, di per sé, un atto rivoluzionario.
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