CLASSICI
Alfredo Ronci
Il corpo 'molle' del fascismo e del Duce: 'Marciavano i don Ciccilli' di Antonio Camarca.
Al mascellone ebefrenico di gaddiana memoria si sostituisce il Ciccillone: di conseguenza l'incicillatura dei seguaci che marciano compatti.
Si dirà: ma che d'è?
Del Duce si parla e del suo corpo che l'ingegnere lo voleva schizofrenico e con la mascella virile e Camarca che lo disegna esagerato ("Be', be' amà: proprio bell'uomo non direi" rimbecca lui piccato "Ha le labbra che so' due tacchi di scarpa...) e pure malaticcio (... già al Duce gli è preso il solito attacco d'ulcera e ti fa la bava da' la bocca... non va oltre: ché i palloni alla bocca gli mozzano il fiato).
Romanzo questo di una falsa ubriacatura: come andar oggi ad un corteo in difesa della vita tra carrozzelle con bimbi e ritratti dell'Utilizzatore Finale. Falsa, come sono ipocrite buggerature i movimenti per la vita, perché i poveri ragazzi costretti a marciare fino a Villa Glori per festeggiare il quinto anno della marcia su Roma son 'teppistelli' antifascisti (dice il giovane Saverio Cavallara, protagonista del romanzo, a Cagnetta l'amico più furbo, sull'essenza del fascismo: ... paura", confermo come sicuro "paura, paura... 'Na grossa paura, 'na brutta paura che te porta a mèttete a tant'artri che come te tengheno paura...).
Sono pischelli che vivono la vita nelle borgate (D'abitudine, durante l'estate, noi ragazzi della borgata s'andava a cercar ombra e refrigerio sotto le frasche delle marane e ad appozzarci nei fontanili dell'acquedotto Claudio) e sono svegli.
I genitori son diversi: quelli di Cagnetta non si sa che fanno e come campano, diversamente dal padre di Cavallara, d'origine e stanza pugliesi, che presi pacchi e famiglia nei giorni della marcia, grazie ad una raccomandazione arriva a Roma, Borgata Casilina, ed esercita attività impiegatizia, seppur modesta. (..."Lo è, cacchio" stabilisce secco. "Bene" conclude, "noi in questo tuo giuoco dell'oca siamo venuti a sbattervi dentro per giuocarci l'esistenza. La tua, Amà, la mia, quella dei nostri figli...). Ma con idee estremamente chiare e che trasferisce, appena può, ai figli e in special modo al più grande, Saverio appunto ("Un enorme colosseo di materia rancida e tremolante, 'sta Roma imperiale di questi quattro piglianculi. E speriamo bene per l'avvenire!"concluse scaramantico.
Marciavano i don Ciccilli fu scritto dal '55 al '64 ma vide la luce solo nel 1970 per Longanesi. E subito dimenticato. Come dimenticato l'autore, Camarca (impazzite a cercar notizie sulla rete o in ogni dove, scovereste solo di un suo hobby, la pittura e niente più). Fu davvero il romanzo un 'figlio' unico, ma brillantissimo di gaddiana lingua. Non so se piacque all'ingegnere d'Italia, o al Pasolini, con quei ragazzetti 'spiati' dai cespugli di Valle Giulia da pederasti ancora in libertà (dice Saverio al Cagnetta che si lamenta di quegli sguardi: Ce semo tutti 'na manica de froci. Tutti frocioni!): scommettiamo sia piaciuto a Fellini, per l'atmosfera di regime clownesco e di carnosa concupiscenza quando la contadinotta Costanza, tutta tosta, si fa slinguare e toccare dal quattordicenne Saverio (senza febbre cerebrale, come prese al regista, in Amarcord, alle prese con le sise mostruose della tabaccaia!).
In Marciavano i don Ciccilli il fascismo è canzonato, ma avvertito come materia pervasiva: "... Co' li fascisti nun ce potemo più. So' troppi", specificò su un'intonazione che si incrinava di rammarico. "Troppi e in ogni dove. Quelli che vedemo già in divisa so' li meno. L'artri, quelli che contano, stanno a pipozze in ogni ddove, pronti, sempre pronti addietro a li telefoni.
E in più si segnala una straordinaria cronaca del delitto Matteotti, quando viene rinvenuto il corpo alla macchia della Quartarella: Camarca si serve di due elementi contrastanti, del quotidiano vissuto, della ricerca del cibo di tutti i giorni (già allora! E già per il ceto, diciamo, medio) che incoccia con l'improvviso perturbante che irrompe in modo tragico e costringe persino il Saverio a correre a casa e a rinchiudersi tra le quattro mura senza aver fatto spesa.
Si diceva un romanzo dimenticato e che a tratti sembra spezzato in capitoli confusi: la fuga dalla Puglia della famiglia Cavallara, l'aggressione di uno squadrista ad un gruppo di ragazzi, le lezioni antifasciste del Cavallara padre, l'amplesso campagnolo della Costanza col Saverio sono invece accadimenti prodromi della marcia, in occasione del quinquennio del regime che ormai è dittatura. Legati da una straordinaria capacità al dileggio.
Non me ne vogliano i puristi, ma Marciavano i don Ciccilli può star tranquillamente accanto al Pasticciaccio e all'arte del comico che 'sto paese incistato ha avuto sempre, nonostante tutto, grandissima. Degli autori però l'elenco sarebbe troppo lungo.
L'edizione da noi considerata è:
Antonio Camarca
Marciavano i don Ciccilli
Longanesi - 1970
Si dirà: ma che d'è?
Del Duce si parla e del suo corpo che l'ingegnere lo voleva schizofrenico e con la mascella virile e Camarca che lo disegna esagerato ("Be', be' amà: proprio bell'uomo non direi" rimbecca lui piccato "Ha le labbra che so' due tacchi di scarpa...) e pure malaticcio (... già al Duce gli è preso il solito attacco d'ulcera e ti fa la bava da' la bocca... non va oltre: ché i palloni alla bocca gli mozzano il fiato).
Romanzo questo di una falsa ubriacatura: come andar oggi ad un corteo in difesa della vita tra carrozzelle con bimbi e ritratti dell'Utilizzatore Finale. Falsa, come sono ipocrite buggerature i movimenti per la vita, perché i poveri ragazzi costretti a marciare fino a Villa Glori per festeggiare il quinto anno della marcia su Roma son 'teppistelli' antifascisti (dice il giovane Saverio Cavallara, protagonista del romanzo, a Cagnetta l'amico più furbo, sull'essenza del fascismo: ... paura", confermo come sicuro "paura, paura... 'Na grossa paura, 'na brutta paura che te porta a mèttete a tant'artri che come te tengheno paura...).
Sono pischelli che vivono la vita nelle borgate (D'abitudine, durante l'estate, noi ragazzi della borgata s'andava a cercar ombra e refrigerio sotto le frasche delle marane e ad appozzarci nei fontanili dell'acquedotto Claudio) e sono svegli.
I genitori son diversi: quelli di Cagnetta non si sa che fanno e come campano, diversamente dal padre di Cavallara, d'origine e stanza pugliesi, che presi pacchi e famiglia nei giorni della marcia, grazie ad una raccomandazione arriva a Roma, Borgata Casilina, ed esercita attività impiegatizia, seppur modesta. (..."Lo è, cacchio" stabilisce secco. "Bene" conclude, "noi in questo tuo giuoco dell'oca siamo venuti a sbattervi dentro per giuocarci l'esistenza. La tua, Amà, la mia, quella dei nostri figli...). Ma con idee estremamente chiare e che trasferisce, appena può, ai figli e in special modo al più grande, Saverio appunto ("Un enorme colosseo di materia rancida e tremolante, 'sta Roma imperiale di questi quattro piglianculi. E speriamo bene per l'avvenire!"concluse scaramantico.
Marciavano i don Ciccilli fu scritto dal '55 al '64 ma vide la luce solo nel 1970 per Longanesi. E subito dimenticato. Come dimenticato l'autore, Camarca (impazzite a cercar notizie sulla rete o in ogni dove, scovereste solo di un suo hobby, la pittura e niente più). Fu davvero il romanzo un 'figlio' unico, ma brillantissimo di gaddiana lingua. Non so se piacque all'ingegnere d'Italia, o al Pasolini, con quei ragazzetti 'spiati' dai cespugli di Valle Giulia da pederasti ancora in libertà (dice Saverio al Cagnetta che si lamenta di quegli sguardi: Ce semo tutti 'na manica de froci. Tutti frocioni!): scommettiamo sia piaciuto a Fellini, per l'atmosfera di regime clownesco e di carnosa concupiscenza quando la contadinotta Costanza, tutta tosta, si fa slinguare e toccare dal quattordicenne Saverio (senza febbre cerebrale, come prese al regista, in Amarcord, alle prese con le sise mostruose della tabaccaia!).
In Marciavano i don Ciccilli il fascismo è canzonato, ma avvertito come materia pervasiva: "... Co' li fascisti nun ce potemo più. So' troppi", specificò su un'intonazione che si incrinava di rammarico. "Troppi e in ogni dove. Quelli che vedemo già in divisa so' li meno. L'artri, quelli che contano, stanno a pipozze in ogni ddove, pronti, sempre pronti addietro a li telefoni.
E in più si segnala una straordinaria cronaca del delitto Matteotti, quando viene rinvenuto il corpo alla macchia della Quartarella: Camarca si serve di due elementi contrastanti, del quotidiano vissuto, della ricerca del cibo di tutti i giorni (già allora! E già per il ceto, diciamo, medio) che incoccia con l'improvviso perturbante che irrompe in modo tragico e costringe persino il Saverio a correre a casa e a rinchiudersi tra le quattro mura senza aver fatto spesa.
Si diceva un romanzo dimenticato e che a tratti sembra spezzato in capitoli confusi: la fuga dalla Puglia della famiglia Cavallara, l'aggressione di uno squadrista ad un gruppo di ragazzi, le lezioni antifasciste del Cavallara padre, l'amplesso campagnolo della Costanza col Saverio sono invece accadimenti prodromi della marcia, in occasione del quinquennio del regime che ormai è dittatura. Legati da una straordinaria capacità al dileggio.
Non me ne vogliano i puristi, ma Marciavano i don Ciccilli può star tranquillamente accanto al Pasticciaccio e all'arte del comico che 'sto paese incistato ha avuto sempre, nonostante tutto, grandissima. Degli autori però l'elenco sarebbe troppo lungo.
L'edizione da noi considerata è:
Antonio Camarca
Marciavano i don Ciccilli
Longanesi - 1970
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