RECENSIONI
Ettore Maggi
Il gioco dell'inferno
Besa editore, Pag. 223 Euro 15,00
Nella 'famosa' telefonata che Primo Levi fece, prima del 'suicidio', al rabbino capo di Roma Toaff, lo scrittore confessava: Non ce la faccio più ad andare avanti con questa vita. Mia madre è malata di cancro e ogni volta che guardo il suo viso mi vengono in mente le facce di quegli uomini in fila dietro i reticolati di Auschwitz.
Scrive Ettore Maggi alla fine del breve racconto 'Luglio 1944': Eugenio Maggi detto Tebba e Francesco Fusaro, detto Franceschin, arrestati a Sesto Ponente (GE) nel luglio 1944, furono interrogati e torturati dal commissario Veneziani, responsabile della sezione Politica della questura genovese. Il commissario Veneziani, ucciso dopo la Liberazione, è citato (ma senza spiegare chi fu) in un libro di successo, 'Il sangue dei vinti', e considerato una vittima.
In seguito, Tebba e Franceschin furono trasferiti a Milano, nel carcere di san Vittore, poi nel lager di Bolzano, per essere consegnati alle SS tedesche e deportati a Dachau, come la maggior parte dei prigionieri politici. Il 96% dei circa 45.000 italiani (20% ebrei, il resto prigionieri politici o militari) deportati nei lager nazisti morì. Invece Eugenio Maggi e Francesco Fusaro riuscirono a sopravvivere fino al 29 aprile del 1945, quando il lager di Dachau fu liberato dagli americani.
Eugenio Maggi, che al momento della liberazione pesava poco più di trenta chili, era mio padre. Si è suicidato nel dicembre del 2003, come Primo Levi e molti altri ex deportati: pur essendo un vincitore (almeno secondo la moda corrente) non era mai riuscito a liberarsi dei fantasmi che lo accompagnavano da sempre.
E probabilmente quei fantasmi appartengono anche al figlio che con questo libro ci consegna una sorta di trattato della memoria da consegnare ai posteri. Un'operazione, quella di Ettore Maggi, di altissimo senso civico (pure quella parola, da lui puntualmente utilizzata in tutti i racconti, antifascismo, contiene in sé la bellezza di una saldatura col passato, quando il presente ci espone ad un tentativo continuo di ribaltamento della verità storica ed un affannarsi, come giustamente riportato dallo stesso autore, di alcuni 'sedicenti' revisionisti a rimestare nella merda, quando la merda inevitabilmente c'era), addirittura di intento didascalico (cos'è quell'elenco dei principali personaggi e dei principali avvenimenti nelle note conclusive al racconto 'A cercar la bella morte' se non lo sforzo, quasi ingenuo ci verrebbe da dire, dell'autore di dare indicazioni e suggerimenti a chi è a corto di qualsiasi riferimento storico?... E ahinoi, i ragazzi di adesso che leggono gli americanismi di Faletti, di acciai e di numeri primi non hanno la benché minima idea di quale tragedia furono gli ultimi anni della guerra) e che alla fine consegna un ritratto ideale di continuità tra quello che era il senso di libertà di chi ha combattuto contro il fascismo e quello contemporaneo contro ogni forma di fascismo. Come dice la quarta di copertina, due generazioni colte nei loro percorsi convergenti, dalla lotta contro la dittatura ai cortei contro il G8 a Genova.
Lo stile di Maggi non concede nulla né all'improvvisazione né al manierismo. Secco e brillante, penetrante ed austero, deciso come impone la Storia (con la esse maiuscola) che va a raccontare.
Un grazie davvero da parte nostra: insofferenti come siamo al bailamme inutile dell'isteria da protagonismo dell'indigena letteratura, Il gioco dell'inferno è un bagno vivificante della narrativa d'impegno e civile. Ma forse, tralasciando ogni sorta di etichetta, un bagno rigenerativo nella memoria. Quella che è giusta e che per noi conta.
Grazie ancora ad Ettore Maggi.
di Alfredo Ronci
Scrive Ettore Maggi alla fine del breve racconto 'Luglio 1944': Eugenio Maggi detto Tebba e Francesco Fusaro, detto Franceschin, arrestati a Sesto Ponente (GE) nel luglio 1944, furono interrogati e torturati dal commissario Veneziani, responsabile della sezione Politica della questura genovese. Il commissario Veneziani, ucciso dopo la Liberazione, è citato (ma senza spiegare chi fu) in un libro di successo, 'Il sangue dei vinti', e considerato una vittima.
In seguito, Tebba e Franceschin furono trasferiti a Milano, nel carcere di san Vittore, poi nel lager di Bolzano, per essere consegnati alle SS tedesche e deportati a Dachau, come la maggior parte dei prigionieri politici. Il 96% dei circa 45.000 italiani (20% ebrei, il resto prigionieri politici o militari) deportati nei lager nazisti morì. Invece Eugenio Maggi e Francesco Fusaro riuscirono a sopravvivere fino al 29 aprile del 1945, quando il lager di Dachau fu liberato dagli americani.
Eugenio Maggi, che al momento della liberazione pesava poco più di trenta chili, era mio padre. Si è suicidato nel dicembre del 2003, come Primo Levi e molti altri ex deportati: pur essendo un vincitore (almeno secondo la moda corrente) non era mai riuscito a liberarsi dei fantasmi che lo accompagnavano da sempre.
E probabilmente quei fantasmi appartengono anche al figlio che con questo libro ci consegna una sorta di trattato della memoria da consegnare ai posteri. Un'operazione, quella di Ettore Maggi, di altissimo senso civico (pure quella parola, da lui puntualmente utilizzata in tutti i racconti, antifascismo, contiene in sé la bellezza di una saldatura col passato, quando il presente ci espone ad un tentativo continuo di ribaltamento della verità storica ed un affannarsi, come giustamente riportato dallo stesso autore, di alcuni 'sedicenti' revisionisti a rimestare nella merda, quando la merda inevitabilmente c'era), addirittura di intento didascalico (cos'è quell'elenco dei principali personaggi e dei principali avvenimenti nelle note conclusive al racconto 'A cercar la bella morte' se non lo sforzo, quasi ingenuo ci verrebbe da dire, dell'autore di dare indicazioni e suggerimenti a chi è a corto di qualsiasi riferimento storico?... E ahinoi, i ragazzi di adesso che leggono gli americanismi di Faletti, di acciai e di numeri primi non hanno la benché minima idea di quale tragedia furono gli ultimi anni della guerra) e che alla fine consegna un ritratto ideale di continuità tra quello che era il senso di libertà di chi ha combattuto contro il fascismo e quello contemporaneo contro ogni forma di fascismo. Come dice la quarta di copertina, due generazioni colte nei loro percorsi convergenti, dalla lotta contro la dittatura ai cortei contro il G8 a Genova.
Lo stile di Maggi non concede nulla né all'improvvisazione né al manierismo. Secco e brillante, penetrante ed austero, deciso come impone la Storia (con la esse maiuscola) che va a raccontare.
Un grazie davvero da parte nostra: insofferenti come siamo al bailamme inutile dell'isteria da protagonismo dell'indigena letteratura, Il gioco dell'inferno è un bagno vivificante della narrativa d'impegno e civile. Ma forse, tralasciando ogni sorta di etichetta, un bagno rigenerativo nella memoria. Quella che è giusta e che per noi conta.
Grazie ancora ad Ettore Maggi.
di Alfredo Ronci
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