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CLASSICI

Alfredo Ronci

Il microcosmo universale di Mario La Cava: 'Caratteri'.

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Diceva Mario La Cava in un'intervista nel 1986: Ho speso una vita per scrivere, per analizzare la Calabria. Non so se bene o male. Questo non tocca a me dirlo. Posso dire che ho fatto grandi sacrifici, sperando che questa terra potesse avere una sorte migliore, come credo che avrà...".

Ma paradossalmente non è la Calabria l'elemento vivificante della sua narrativa (lo è in quanto riconoscibile geograficamente e sentimentalmente), quanto l'angusto mondo dell'uomo, con le sue ipocrisie e le sue mestizie e la sua Storia. Caratteri, libro che in qualche modo segna la fama di La Cava, ne è l'esempio più visibile: fatto di frammenti, di abbozzi, di appunti, di sketch, di lampi quasi metafisici, di intuizioni, di quadretti sociali è una sorta di diario personale dello scrittore davanti al fluire dei tempi e all'immobilità delle convenzioni.

Non vorrei essere presuntuoso ma su Caratteri va fatta chiarezza, partendo proprio dai brevi cenni che l'autore fa all'inizio del libro: Quarant'anni fa, nel 1939, due mesi prima che scoppiasse la seconda guerra mondiale, usciva presso Le Monnier il mio primo libro, che fu di 'Caratteri'. La censura preventiva lo aveva ridotto a metà. Dopo la fine della guerra, Einaudi pubblicava l'edizione completa, comprendente anche i 'Caratteri' scritti fino al 1952, nei 'Gettoni' di Vittorini. Ora la si ripubblica in terza edizione con 16 'Caratteri' in meno e 9 sostituiti.

Dunque un'opera costantemente in fieri, ancor più che diario, una testimonianza dell'anima, ma sulla cui storia ci si deve fermare per capire le potenzialità che costrinsero, in prima battuta, il regime ad intervenire, e di grossa: cos'era che dava tanto fastidio al fascismo e alla censura di Stato? Quel che era sulla bocca di tutti, ma che si voleva negare. Frammento 82: - La scienza moderna ha trovato delle analogie tra la lana delle pecore e le foglie degli ulivi, - diceva zio Ciccillo. Era il tempo delle guerre continue, era il tempo delle requisizioni. Nostro padre, piccolo proprietario di terre, chino sul tavolo da studio, faceva i conti delle nuove tasse da pagare. – Che? Che? – domandò. – Vogliamo pigliarci pure le foglie degli alberi?

Era il tempo delle 'inique sanzioni', della glorificazione dell'orbace, del lanital e del cafioc e il ventisettenne La Cava avverte sempre più il distacco tra le esigenze della popolazione, chiusa tra l'altro in un territorio particolarmente depresso, e quelle di un regime ormai sul filo di una tragica farsa.

Avrei volentieri effettuato un confronto con la prima edizione, quella del '39, con la nostra (la presente è l'einaudiana dell'80) per verificarne gli strappi e le aggiunte, perché nonostante si voglia qualificare l'opera come la summa, elegante, essenziale ed espressiva delle umane e disumane virtù (Vittorini parlò di... studio naturalistico del prossimo), tra gli oltre trecentocinquanta frammenti si avverte una tensione ed un richiamo che non può per nulla prescindere dalla condizione pre e post-bellica.

... Guerra e maledizione, dunque, guerra e sterminio, nel nome sacro del popolo! Fame e guerra, dunque, alla conquista dei nostri eterni ideali! Tenebre e silenzio, dico, lunghe notti e infinito orrore in attesa del premio sperato! – Così dice Caio, capo di stato, preso da furia, alla folla piegata. (frammento 113).

... Se non è capace di tendere tranelli agli stessi alleati ed amici, cosa sta a fare a capo di una nazione? E se non opprime il più debole, che uomo è? (...) (frammento 114).

Si dica che Caratteri (lo puntualizza il titolo stesso) sia una parcellizzazione dei pregi e spregi dell'umana condizione (La Cava: un umanista al vetriolo?), si dica che Caratteri abbia 'il gusto dell'imitazione dei classici' (sempre parole di Vittorini), si dica che Caratteri sia la testimonianza di una meridionalità sentita e vissuta in modo civile. Sì tutto vero: ma insisto nell'avvertire nella successione dei frammenti (mi piace definirli così piuttosto che 'capitoli'. Come definire il 217° se non un fulmine espressionista alla Penna?: Il bambino dei poveri correva e correva. Una lucida canna, messa tra le gambe e tenuta per mano, era il suo veloce cavallo) una sofferenza per i mali del mondo ed una lucida predisposizione ad una sintesi storica: E' che in regime di democrazia non è reato l'intenzione; in regime di dittatura l'intenzione può essere condannata alla pena di morte. (La Cava voleva forse denunciare il 'delitto' dell'anarchico Schirru che fu condannato a morte dal regime 'solo' per aver avuto l'intenzione di uccidere Mussolini?).

Dunque La Cava: un calabrese universale, condannato dalla Storia.





L'edizione da noi considerata è:



Mario La Cava

Caratteri

Einaudi - 1980





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