ATTUALITA'
Leonardo Tonini
In morte di Marzio Pieri

Marzio Pieri è morto, viva Marzio Pieri! che avrebbe detto di sé alla notizia della sua morte? Spiacente deludervi, notizia grandemente esagerata, alla Mark Twain? Di certo, a noi studenti, non aveva mai nascosto l’esistenza della morte. La vita è una eterna emorragia, inutile fare calcoli o strategie, diceva. Ho letto diversi articoli sulla sua scomparsa il 2 novembre, a 79 anni, in tutti c’è la parola folle. Era folle? Non so, di certo aveva dell’istrione, si narrano aneddoti come quello del papero portato a passeggio per Parma, al guinzaglio, o di improbabili outfit in giornate ‘difficili’, lui che solitamente vestiva in tweed e panciotto di Missoni (Voi non riuscite a immaginare quanti ‘azzo di soldi si prende un ordinario!), la vita è un inferno per chi è stato felice, mi disse un giorno. Il mio ricordo di lui, lascio ad altri le celebrazioni, è fatto di parole, di immagini e di presenza; con me fu presente, c’era, mi chiamava, mi chiedeva come stavo, ero io quello che mancava perché giovane e perché preso da me e basta, tanto da non vedere l’affetto degli altri per me. Ora l’eredità è pesantissima, ma a parte il primo momento di sconcerto alla ferale notizia, comprendo che è un tesoro che mi ha lasciato, inespropriabile perché fatto dell’unica cosa che possediamo, i ricordi.
La prima volta che scesi in treno a Parma, col mitico Brescia – Parma, incontrai Dino Bisi che bazzicava con scarso impegno l’ateneo da qualche anno: Che farai? anche tu lettere? hai scelto l’indirizzo? Non sapevo nemmeno di che parlava. Mi disse: Vai con chi vuoi ma evita il Pieri, come la peste. Che ha ‘sto Pieri che non va? È un pazzo, agli esami boccia secondo come ha la Luna, ho visto gente bocciata ancora prima che gli facesse una domanda! A me ha chiesto di leggere un verso di Dante e mi disse che potevo andarmene e non tornare mai più. Sicuramente è un genio, ma è completamente ingestibile. A Lettere, in via D’Azeglio, decine di studenti camminavano, correvano, parlavano, amoreggiavano, io che venivo dalla fabbrica mi veniva da piangere dallo spaesamento, non un cartello, non una indicazione, non un cane che mi accompagnasse, ero il primo della famiglia, dalla fondazione delle Università, che entrasse in un dipartimento. Mi ritrovai in un emiciclo affollato, un uomo parlava con voce tenorile in un marcato accento fiorentino, Le donne in letteratura fin qui han fatto la parte delle puttane! Una studentessa si alzò e inveì, Come si permette? Il professore tarchiatello disse: Mi dimostri il contrario! Lei se ne andò indignata gridando: Lei è un misogino, io la denuncio! Risposta dalla cattedra: Ma faccia un po’ come le pare! Applausi, urla, fischi, gente che abbandonava il corso. Tremebondo, chiesi a uno studente, Ma chi è quel pazzo? Marzio Pieri, benvenuto al suo corso!
Il primo fu straordinario, Adversus Mathematicos, sette penne contro la Storia, lettura del “Morgante”, del “Baldus”, del “Ragionamento” di Pietro Aretino, de “La caccia comica” di don Giambattista Bàffari arciprete di Ripacandida, de “I Malavoglia”, delle “Poesie della fine del mondo” di Antonio Delfini, di “Signorina Rosina” e “Così” di Antonio Pizzuto, solo per la parte monografica; la parte istituzionale era semplicemente la Letteratura italiana, tutta intera, perché “Con me voi non dovete leggere, dovete aver già letto!”. Le sue lezioni partivano dal dato di fatto che uno sapesse già a memoria l’opera di cui avrebbe parlato, era una chiacchierata intorno all’opera, senza ordine, tra vecchi compari che quando parlano, uno che viene da fuori, non ha intelligenza di ciò di cui si parla. I libri, mi servivano i libri, le biblioteche, ora che capii dove fossero a Parma, erano già state saccheggiate, non mi restava che comprare, ma l’insieme era per me una spesa immane. Andai da Marco Parisio, l’amico danaroso e generoso, lui mi disse: “Facciamo così Leonardo, io ti compro i libri, e se prendi meno di 30 e lode, mi restituisci tutti i soldi, magari a rate, ma non ti faccio sconti”. Il Morgante me lo lessi su un volo transatlantico verso il Canada, sul Baldus credetti di morire, il resto, visto il duro allenamento, “scivola ‘ome un ovo” come diceva il Pieri, ma con Antonino Pizzuto mi schiantai. Il siciliano resisteva ad ogni assalto. Trovai un libretto di Antonio Pane, studioso di colui e vi trovai la chiave. Incerto, prima dell’esame andai da Pieri e gli proposi una scaletta incentrata proprio sul pizzutissimo Pizzuto, in punti. Lui disse (come posso dimenticarlo?) Hai qui il libretto? Segnò e firmò il 30 e lode, e mi congedò con “Adesso levati dalle palle che ho da fare!”, giusto per capire cosa avevo capito io di tutta la faccenda, dissi: “Ma l’esame lo devo fare comunque?”, lui si tolse gli occhiali e sogghignando si strizzò gli occhi con le dita: “Voi studenti siete bellissimi”.
Nei restanti 4 anni avemmo scontri e incontri, una sberla che mi fece volare gli occhiali, qualche incazzatura mia, una lettera di insulti sua, incomprensioni e riappacificazioni, tra Verdi e Stockhausen, tra La secchia rapita e i Carbonari della montagna perché noi umani siamo, alla fine, il solo mezzo, e solo un mezzo, che la Letteratura usa per effettuare se stessa, nel mentre che noi, grazie ad essa, transumaniamo. Fino alla tesi su Angelo Fiore.
Poi la vita ci portò dov’essa voleva e, seppur tante volte tentato, non mi feci più sentire. Lui avrà avuto ben altre cose per la testa che ricordarsi di un suo studente, anch’io vengo ogni tanto fermato da un perfetto sconosciuto che mi apostrofa con un “Profe, si ricorda di me?” e io che puntualmente non lo ricordo; ma adesso mi manca non averlo fatto. La notizia della sua scomparsa, mi colmò di dispiacere come ho detto e mi ha fatto venire in mente una vecchia poesia non-sense che forse lui, conoscendolo, ne avrebbe riso. Ti sia lieve la terra, caro Professore.
TERZINA RUOTATA E FANFOLATA
Non è di staggio questo antico fiore
che pure arrabba in su la drina accesa
con zurli di albinone par che canti,
di tanzi stàbbici in silvestre resa
armeggia gordo mai stanco di vanti.
Ma tu siici in àddami d'amore
non rembruttare il molce dei primanti
anzi ribella, scoppa senza intore
fruga, trizza e poi immischiati, palesa
la bella féssera che ti fa onore.
Strìgile tornerà la mente offesa
e guaddi buzzeremo altro innanti.
La prima volta che scesi in treno a Parma, col mitico Brescia – Parma, incontrai Dino Bisi che bazzicava con scarso impegno l’ateneo da qualche anno: Che farai? anche tu lettere? hai scelto l’indirizzo? Non sapevo nemmeno di che parlava. Mi disse: Vai con chi vuoi ma evita il Pieri, come la peste. Che ha ‘sto Pieri che non va? È un pazzo, agli esami boccia secondo come ha la Luna, ho visto gente bocciata ancora prima che gli facesse una domanda! A me ha chiesto di leggere un verso di Dante e mi disse che potevo andarmene e non tornare mai più. Sicuramente è un genio, ma è completamente ingestibile. A Lettere, in via D’Azeglio, decine di studenti camminavano, correvano, parlavano, amoreggiavano, io che venivo dalla fabbrica mi veniva da piangere dallo spaesamento, non un cartello, non una indicazione, non un cane che mi accompagnasse, ero il primo della famiglia, dalla fondazione delle Università, che entrasse in un dipartimento. Mi ritrovai in un emiciclo affollato, un uomo parlava con voce tenorile in un marcato accento fiorentino, Le donne in letteratura fin qui han fatto la parte delle puttane! Una studentessa si alzò e inveì, Come si permette? Il professore tarchiatello disse: Mi dimostri il contrario! Lei se ne andò indignata gridando: Lei è un misogino, io la denuncio! Risposta dalla cattedra: Ma faccia un po’ come le pare! Applausi, urla, fischi, gente che abbandonava il corso. Tremebondo, chiesi a uno studente, Ma chi è quel pazzo? Marzio Pieri, benvenuto al suo corso!
Il primo fu straordinario, Adversus Mathematicos, sette penne contro la Storia, lettura del “Morgante”, del “Baldus”, del “Ragionamento” di Pietro Aretino, de “La caccia comica” di don Giambattista Bàffari arciprete di Ripacandida, de “I Malavoglia”, delle “Poesie della fine del mondo” di Antonio Delfini, di “Signorina Rosina” e “Così” di Antonio Pizzuto, solo per la parte monografica; la parte istituzionale era semplicemente la Letteratura italiana, tutta intera, perché “Con me voi non dovete leggere, dovete aver già letto!”. Le sue lezioni partivano dal dato di fatto che uno sapesse già a memoria l’opera di cui avrebbe parlato, era una chiacchierata intorno all’opera, senza ordine, tra vecchi compari che quando parlano, uno che viene da fuori, non ha intelligenza di ciò di cui si parla. I libri, mi servivano i libri, le biblioteche, ora che capii dove fossero a Parma, erano già state saccheggiate, non mi restava che comprare, ma l’insieme era per me una spesa immane. Andai da Marco Parisio, l’amico danaroso e generoso, lui mi disse: “Facciamo così Leonardo, io ti compro i libri, e se prendi meno di 30 e lode, mi restituisci tutti i soldi, magari a rate, ma non ti faccio sconti”. Il Morgante me lo lessi su un volo transatlantico verso il Canada, sul Baldus credetti di morire, il resto, visto il duro allenamento, “scivola ‘ome un ovo” come diceva il Pieri, ma con Antonino Pizzuto mi schiantai. Il siciliano resisteva ad ogni assalto. Trovai un libretto di Antonio Pane, studioso di colui e vi trovai la chiave. Incerto, prima dell’esame andai da Pieri e gli proposi una scaletta incentrata proprio sul pizzutissimo Pizzuto, in punti. Lui disse (come posso dimenticarlo?) Hai qui il libretto? Segnò e firmò il 30 e lode, e mi congedò con “Adesso levati dalle palle che ho da fare!”, giusto per capire cosa avevo capito io di tutta la faccenda, dissi: “Ma l’esame lo devo fare comunque?”, lui si tolse gli occhiali e sogghignando si strizzò gli occhi con le dita: “Voi studenti siete bellissimi”.
Nei restanti 4 anni avemmo scontri e incontri, una sberla che mi fece volare gli occhiali, qualche incazzatura mia, una lettera di insulti sua, incomprensioni e riappacificazioni, tra Verdi e Stockhausen, tra La secchia rapita e i Carbonari della montagna perché noi umani siamo, alla fine, il solo mezzo, e solo un mezzo, che la Letteratura usa per effettuare se stessa, nel mentre che noi, grazie ad essa, transumaniamo. Fino alla tesi su Angelo Fiore.
Poi la vita ci portò dov’essa voleva e, seppur tante volte tentato, non mi feci più sentire. Lui avrà avuto ben altre cose per la testa che ricordarsi di un suo studente, anch’io vengo ogni tanto fermato da un perfetto sconosciuto che mi apostrofa con un “Profe, si ricorda di me?” e io che puntualmente non lo ricordo; ma adesso mi manca non averlo fatto. La notizia della sua scomparsa, mi colmò di dispiacere come ho detto e mi ha fatto venire in mente una vecchia poesia non-sense che forse lui, conoscendolo, ne avrebbe riso. Ti sia lieve la terra, caro Professore.
TERZINA RUOTATA E FANFOLATA
Non è di staggio questo antico fiore
che pure arrabba in su la drina accesa
con zurli di albinone par che canti,
di tanzi stàbbici in silvestre resa
armeggia gordo mai stanco di vanti.
Ma tu siici in àddami d'amore
non rembruttare il molce dei primanti
anzi ribella, scoppa senza intore
fruga, trizza e poi immischiati, palesa
la bella féssera che ti fa onore.
Strìgile tornerà la mente offesa
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