RECENSIONI
Craig Silvey
Jasper Jones
Giano editore, Pag. 332 Euro 16,50
Non ce n'è: nelle storie con 'riti di passaggio' (formuletta comodissima) , nonostante mi sgoli da anni a dire che Il giovane Holden non sia poi granché, il nome di Salinger, ahinoi, va fatto. E lo fa pure lo stesso Silvey. Scrive a pag. 41: Sal Paradise reggeva le bottiglie di whisky come una casalinga nella pubblicità di un detergente. Holden Caulfield aveva sempre la consolazione di una sigaretta. Persino Huckleberry Finn cullava la pipa con soddisfazione. Non posso fidarmi di niente. Se anche il sesso si rivela così brutto, smetterò di leggere. Se tanto mi dà tanto, mi brucerà il cazzo e finirò coperto di lividi.
Silvey cala pure il bastone, la carta vincente, quell'accenno a Twain che in qualche modo chiude il cerchio: e mica mi sta bene.
Ma lo scrittore australiano scherza pure coi fanti e non lascia stare i santi. Ci racconta che il protagonista non riesce a leggere Capote, ma sogna spesso Hemingway. Sembra dunque un gioco di rimandi, una sorta di albero genealogico di patri putativi per una storia che t'aspetteresti a questo punto una fotocopia, ma fotocopia non è, anzi. Fortuna per noi.
Siamo in Australia, anni sessanta: il protagonista, Charlie, è un bel ragazzino, ha genitori che gli vogliono bene, ha una bella casa, insomma vive una vita serena. Una sera viene chiamato dallo scapestrato del paese, Jasper Jones, (che al contrario non ha famiglia e non ha un avvenire davanti a sé perché ritenuto da tutti un ladruncolo, un nullafacente e pure pericoloso) perché insieme raggiungano un posto isolato. I due affrontano l'oscurità, costeggiano il fiume e arrivano in una radura protetta dagli alberi del bosco. E' il rifugio segreto di Jasper Jones ma è anche la 'tomba' di una ragazza del paese che è impiccata ad un ramo.
Non è la prima volta che un 'rito di passaggio' utilizza un cadavere come cartina di tornasole delle difficoltà del vivere: pensiamo al racconto straordinario di Stephen King Stand by me e al magico film che Bob Reiner trasse dalla storia. Anche se poi nella genealogia letteraria di Silvey pare manchi proprio King, e questo ci sembra quanto meno strano. Ma son dettagli.
Quel che interessa invece è la tenuta del romanzo, è la robusta stuttura della vicenda: lo scrittore australiano in questo è impareggiabile. Nonostante sfrutti canovacci già ampiamente utilizzati, riesce nell'impresa di essere convincente e amabile. Jasper Jones è un romanzo sulla giovinezza e non lo è, è un romanzo noir e non lo è, è un romanzo sull'Australia degli anni sessanta con tutte le contraddizioni del caso (razzismo strisciante in primo luogo) e non lo è, è un romanzo sulle convenzioni sociali e non lo è. Nel senso che è tutto e il contrario di tutto. E qui sta la 'felicità' della storia. Un affresco, oserei dire elementare nella sua brillante linearità, che appare davvero come una cartolina più che veritiera di quegli anni e che vale molto più di tanti trattati di storia.
Dice Jasper Jones all'inizio del romanzo: Questo paese, è così che vivono, e neanche se ne accorgono. Si attaccano a quello che sanno, a quello che gli hanno raccontato. Non capiscono che nella vita puoi scegliere.
Jasper Jones ha già compreso tutto, ha intuito che le convenzioni sociali sono molto più pericolose degli 'strappi' dei singoli. Ha capito che se vuole cambiare il proprio destino o deve combattere all'interno o deve fuggire. Sceglie la seconda opzione, ma nessuno può permettersi di dirgli che in quel caso la fuga è un atto di vigliaccheria.
Romanzo commovente e sociologicamente netto.
di Alfredo Ronci
Silvey cala pure il bastone, la carta vincente, quell'accenno a Twain che in qualche modo chiude il cerchio: e mica mi sta bene.
Ma lo scrittore australiano scherza pure coi fanti e non lascia stare i santi. Ci racconta che il protagonista non riesce a leggere Capote, ma sogna spesso Hemingway. Sembra dunque un gioco di rimandi, una sorta di albero genealogico di patri putativi per una storia che t'aspetteresti a questo punto una fotocopia, ma fotocopia non è, anzi. Fortuna per noi.
Siamo in Australia, anni sessanta: il protagonista, Charlie, è un bel ragazzino, ha genitori che gli vogliono bene, ha una bella casa, insomma vive una vita serena. Una sera viene chiamato dallo scapestrato del paese, Jasper Jones, (che al contrario non ha famiglia e non ha un avvenire davanti a sé perché ritenuto da tutti un ladruncolo, un nullafacente e pure pericoloso) perché insieme raggiungano un posto isolato. I due affrontano l'oscurità, costeggiano il fiume e arrivano in una radura protetta dagli alberi del bosco. E' il rifugio segreto di Jasper Jones ma è anche la 'tomba' di una ragazza del paese che è impiccata ad un ramo.
Non è la prima volta che un 'rito di passaggio' utilizza un cadavere come cartina di tornasole delle difficoltà del vivere: pensiamo al racconto straordinario di Stephen King Stand by me e al magico film che Bob Reiner trasse dalla storia. Anche se poi nella genealogia letteraria di Silvey pare manchi proprio King, e questo ci sembra quanto meno strano. Ma son dettagli.
Quel che interessa invece è la tenuta del romanzo, è la robusta stuttura della vicenda: lo scrittore australiano in questo è impareggiabile. Nonostante sfrutti canovacci già ampiamente utilizzati, riesce nell'impresa di essere convincente e amabile. Jasper Jones è un romanzo sulla giovinezza e non lo è, è un romanzo noir e non lo è, è un romanzo sull'Australia degli anni sessanta con tutte le contraddizioni del caso (razzismo strisciante in primo luogo) e non lo è, è un romanzo sulle convenzioni sociali e non lo è. Nel senso che è tutto e il contrario di tutto. E qui sta la 'felicità' della storia. Un affresco, oserei dire elementare nella sua brillante linearità, che appare davvero come una cartolina più che veritiera di quegli anni e che vale molto più di tanti trattati di storia.
Dice Jasper Jones all'inizio del romanzo: Questo paese, è così che vivono, e neanche se ne accorgono. Si attaccano a quello che sanno, a quello che gli hanno raccontato. Non capiscono che nella vita puoi scegliere.
Jasper Jones ha già compreso tutto, ha intuito che le convenzioni sociali sono molto più pericolose degli 'strappi' dei singoli. Ha capito che se vuole cambiare il proprio destino o deve combattere all'interno o deve fuggire. Sceglie la seconda opzione, ma nessuno può permettersi di dirgli che in quel caso la fuga è un atto di vigliaccheria.
Romanzo commovente e sociologicamente netto.
di Alfredo Ronci
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