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Il Paradiso degli Orchi
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CLASSICI

Alfredo Ronci

L’eccezione che conferma la regola: “Veronica, i gaspi e Monsignore” di Marcello Barlocco.

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Diceva Carmelo Bene: …interessante scrittore. Alto un metro e novanta, pesava trenta chili. Faceva impressione. L’avevano internato per vent’anni in manicomio, l’appendevano all’ingiù con la testa nel cesso. Raccontava anche strani riti, di messe nere, di bambini sacrificati, ma nessuno gli dava ascolto.
L’artista parlò di Marcello Barlocco in occasione delle sue “autobiografie”, ma soprattutto perché nel 1961 veniva a recitare al Teatro Duse di Genova, Tre atti unici, opera teatrale scritta interamente dallo scrittore genovese.
Dunque un grande narratore? Macché, non credo che bastò l’interesse di un intellettuale come Bene a suscitare l’interesse per quello che potremmo definire un perfetto alieno. Non bastò nemmeno l’attenzione di alcuni critici quando nel 1950, in occasione del Premio Viareggio, si presentò con il libro I racconti del Babbuino (titolo che assomiglia moltissimo al Gente al Babuino di Ugo Moretti e non solo, vista la consuetudine con cui i due si vedevano). Non se ne fece nulla e ai posteri con rimane che sfogliare il libro, edito da Giometti&Antonello, Un negro voleva Jole. Racconti scelti e aforismi inediti, dove sono contenuti la maggior parte dei racconti dell’edizione degli anni cinquanta visto che l’originale ormai è introvabile.
Se si eccettua questo episodio, l’unica opera su cui possiamo stendere un giudizio appena superiore all’approssimazione è appunto Veronica, i gaspi e Monsignore. Anche questo testo ha subito delle variazione: uscito nel ’53, con una prima edizione praticamente anonima e una seconda stampata dalla Cartaccia, subì vari ripensamenti fino a quando l’editore Greco & Greco nel 2005, ma Barlocco era morto da 40 anni, pubblica una versione riveduta e corretta.
Non è assolutamente facile fare un’analisi di questo romanzo, nonostante giudizi critici avventati e potremmo dire nemmeno tanto adeguati: per esempio si parlò di lui, considerando le sue avventure con la giustizia italiana, di un nuovo Dino Campana (ma non capisco cosa centri l’introspezione poetica di questo con le fantasiose invenzioni di un Barlocco); si fece cenno, proprio per certe visioni fantastiche dello scrittore ad appigli all’arte di Franz Kafka, se non addirittura alle ossessioni esistenziali di un Edgar Allan Poe. Diciamo che furono dei tentativi, per altro non riusciti, per dare comunque importanza all’arte del Barlocco.
Indubbiamente aveva uno stile abbastanza robusto e Veronica, i gaspi e Monsignore ce ne dà un subitaneo avvertimento, quando proprio all’inizio del terzo capitolo dice: Eran quasi le nove e la sera cominciava ad esibirsi in tutta la sua potenza depressiva.
Certamente la depressione è il nucleo centrale della storia: un farmacista di un piccolo paese racconta i suoi tentativi di sfuggire alla noia e i suoi rapporti prima con una Signora (che gli farà conoscere, tra l’altro, una donna che ben presto infiammerà il cuore dell’uomo) che gli dice come ha fatto a fare fortuna in Australia; un veterinario che ha paura del sangue ma che porta dentro una cesta una vipera che in seguito il farmacista dovrà uccidere ed un medico che si permette anche di fare lo psicologo ma che presto finirà in manicomio. Ed altro ancora. Per finire poi con la storia (qui veramente di carattere fantastico) in cui il farmacista incontra un rospo gigante, la moglie di lui, una gallina però di sembianza normale e una serie infinita di figli a cui il farmacista, nel complesso, darà i nomi di Monsignore, di Veronica e dei gaspi (che è una parola derivante dall’unione della prima metà della parola gallina con la seconda metà della parola rospo).
Ci sono anche dei precisi riferimenti a situazioni reali nel romanzo (e il suggerimento è quello di ignorare la finzione fantastica che è appunto solo il finale dell’intero procedimento esistenziale), come quando il Barlocco fa dire a Rossana (la donna che farà innamorare il farmacista)… “Di questo dovrebbero tener conto tutti coloro che si propongono di raggiungere qualcosa nel campo dell’arte vera e propria: non ricalcar mai punto per punto la realtà, ma abbellirla od abbrutirla e sempre comunque deformarla”
“Sicché dunque lei Rossana – intervenne lo scrittore Tancresi – considera il realismo in arte una cosa sbagliata?”.
“Più che sbagliata, sballata…
Era il 1953 e in Italia andava tanto di moda il neorealismo. Ma guai a definire il Barlocco uno scrittore fantastico.




L’edizione da noi considerata è:

Marcello Barlocco
Veronica, i gaspi e Monsignore
Giometti & Antonello editori



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