DE FALSU CREDITU
Ennio Patòlla
La bedécchia
Editoriale Rosichèlla, Pag. 271 Euro 10,00
"Torniamo all'antico, faremo un progresso!", proclamava Giuseppe Verdi - non senza ragione. E l'Editoriale - colma di maschia e virile dolcezza - di Paride Rosichèlla e associati l'ha preso in parola, facendo nascere, in quel di Scrotìno (LT), una casa editrice che pubblica e riscopre deliziosi piccoli capolavori di poeti e scrittori d'espressione basso-laziale, alto-campana o picaro-romanesca.
Tale è La bedécchia, interamente redatto nella koinè prossigaetana; se Gogol immaginò un naso che non solo distaccavasi dal volto del padrone, bensì ch'ebbe miglior fortuna e gloria, sino a occupare nella gerarchia zarista un posto più alto che lui, Patòlla si figura che il Priapo di Clemente Corinaldi, un sedicente intellettuale italo-ciociaro, si smembri dal suo portatore, e assuma vita propria. Così, inizia la sua carriera assumendosi la responsabilità d'aver violato una fanciulla d'ottimi natali, al posto del rampollo d'un potentato locale, molto vicino a uno di quei partiti non particolarmente affollati, che però fanno la differenza tra vincere e perdere le elezioni. Non essendoci, nei codici, pene previste per i Priapi, esso la scampa, ottenendo come ricompensa un sottosegretariato alle Lane. Nel frattempo, Corinaldi tenta di riavvicinare il suo pene, ricordandogli che lui intellettuale sta per pubblicare un bruciante panflè sulle infiltrazioni camorristiche nella provincia. Tale rivelazione suggella il desiderio del Pene di scorporarsi definitivamente dal suo portatore insano, e di adire le vie della politica centrale. E a questo punto sentiamo di non dover rivelare più nulla, per non nuocere al fruitore del testo - che ricaverà piacere dalla articolazione testuale, architettata su un dialetto che è tutt'invenzione barocca e neo-plastica e nullamente neorealista, piuttosto che dall'intreccio politico-malaffaristico, così comune nell'Italia di oggi e così, in fin dei conti, accettato dal popolo italiano più bravo, quello che si ricovera sotto i veri valori della Bandiera e della Patria di quel venticinque luglio che tanto rivelò del loro carattere, o che pratica la Devoluzione scambiando i propri appetiti più crassi per sanità di giudizio.
Tale è La bedécchia, interamente redatto nella koinè prossigaetana; se Gogol immaginò un naso che non solo distaccavasi dal volto del padrone, bensì ch'ebbe miglior fortuna e gloria, sino a occupare nella gerarchia zarista un posto più alto che lui, Patòlla si figura che il Priapo di Clemente Corinaldi, un sedicente intellettuale italo-ciociaro, si smembri dal suo portatore, e assuma vita propria. Così, inizia la sua carriera assumendosi la responsabilità d'aver violato una fanciulla d'ottimi natali, al posto del rampollo d'un potentato locale, molto vicino a uno di quei partiti non particolarmente affollati, che però fanno la differenza tra vincere e perdere le elezioni. Non essendoci, nei codici, pene previste per i Priapi, esso la scampa, ottenendo come ricompensa un sottosegretariato alle Lane. Nel frattempo, Corinaldi tenta di riavvicinare il suo pene, ricordandogli che lui intellettuale sta per pubblicare un bruciante panflè sulle infiltrazioni camorristiche nella provincia. Tale rivelazione suggella il desiderio del Pene di scorporarsi definitivamente dal suo portatore insano, e di adire le vie della politica centrale. E a questo punto sentiamo di non dover rivelare più nulla, per non nuocere al fruitore del testo - che ricaverà piacere dalla articolazione testuale, architettata su un dialetto che è tutt'invenzione barocca e neo-plastica e nullamente neorealista, piuttosto che dall'intreccio politico-malaffaristico, così comune nell'Italia di oggi e così, in fin dei conti, accettato dal popolo italiano più bravo, quello che si ricovera sotto i veri valori della Bandiera e della Patria di quel venticinque luglio che tanto rivelò del loro carattere, o che pratica la Devoluzione scambiando i propri appetiti più crassi per sanità di giudizio.
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