RECENSIONI
Alafair Burke
La città del terrore
Newton Compton, Pag. 324 Euro 14,90
Il cadavere di una ragazza, Chelsea Hart, viene fatto ritrovare di mattina presto all'agente Hallie Hatcher e a suo fratello mentre fanno jogging fra i percorsi di Central Park. La ragazza è sfigurata, i capelli strappati, strangolata. Hatcher e l'intera polizia di Manhattan si gettano a capofitto nelle indagini e in breve tempo arrivano ad arrestare il presunto colpevole: un ragazzo di buona famiglia, uno yuppie di Wall Street che frequenta il Meatpacking, il quartiere dei locali newyorkesi più di tendenza. Le sue tracce di sperma sulla camicetta della ragazza e la prova del DNA sembrano inchiodarlo. Ma non c'è la prova finale, quella che accerta con il massimo della sicurezza che sia stato lui a strangolarla e lasciarla lì. Si entra così nel vivo di questo ennesimo thriller con protagonista un serial killer che stavolta porta la firma di una scrittrice con nome importante, Alafair Burke, figlia di quel James Lee Burke che in Italia è stato apprezzato per grandi romanzi come Pioggia al neon, pubblicato da Meridiano Zero o Piccola notte cajun, pubblicato da Mondadori.
Ennesimo, dicevamo e, purtroppo, di cui non si sentiva molto il bisogno. La storia scorre, e cattura. I personaggi prendono corpo e la voglia di scoprire chi è il vero assassino ti viene per cui la lettura prosegue spedita (e se questo è lo scopo dello scrittore di gialli, allora siamo a posto). Tuttavia la trama è disseminata di manierismi e artifici da scuola di scrittura che francamente lasciano abbastanza perplessi. Sarà che di serial killer ne abbiamo fin sopra i capelli. Sarà che ormai risultare originali con i gialli o con i thriller è diventato estremamente difficile. Se poi la storia è ambientata nella grande mela sembra di rivedere film visti e rivisti; gli stessi inseguimenti nei vicoli, le sparatorie che feriscono alle mani, i neri che vengono uccisi nei ghetti, i poveracci che abitano nei quartieri degradati nel bel mezzo dello sfavillio consumistico, i taxi coi guidatori orientali, i giornalisti in carriera che ti svegliano nel cuore della notte, il poliziotto buono e quello cattivo; un intruglio di ingredienti talmente scontato che, per carità, non lo si rifiuta, ma nemmeno lo si mangia con quell'entusiasmo da grand gourmet.
Il fatto poi che a sbrogliare la situazione sia una donna, Hellie Hatcher, appunto, e che le si faccia fare la parte del maschiaccio aggressivo non aggiunge granché di non visto. Sarà lei infatti a tornare indietro nel tempo, ad indagini che stava conducendo un vecchio poliziotto deceduto e che provavano a legare insieme delitti irrisolti e apparentemente slegati l'un l'altro, tutti quanti di ragazze appena uscite dai locali e di cui l'assassino si diverte a collezionare ciocche di capelli (anche qui, ma che originalità!). Sarà lei a condurre come un'eroina buona e vendicativa, l'assalto finale al killer asserragliato che costringe all'ennesima scena di spiegamento di forze dell'ordine che circondano dall'alto e dal basso il nascondiglio dove avviene la resa dei conti. Certo, la curiosità di sapere chi è l'assassino vi viene; è solo quella che vi muove, il resto, purtroppo, è un film di cui si sa già tutto.
di Adriano Angelini
Ennesimo, dicevamo e, purtroppo, di cui non si sentiva molto il bisogno. La storia scorre, e cattura. I personaggi prendono corpo e la voglia di scoprire chi è il vero assassino ti viene per cui la lettura prosegue spedita (e se questo è lo scopo dello scrittore di gialli, allora siamo a posto). Tuttavia la trama è disseminata di manierismi e artifici da scuola di scrittura che francamente lasciano abbastanza perplessi. Sarà che di serial killer ne abbiamo fin sopra i capelli. Sarà che ormai risultare originali con i gialli o con i thriller è diventato estremamente difficile. Se poi la storia è ambientata nella grande mela sembra di rivedere film visti e rivisti; gli stessi inseguimenti nei vicoli, le sparatorie che feriscono alle mani, i neri che vengono uccisi nei ghetti, i poveracci che abitano nei quartieri degradati nel bel mezzo dello sfavillio consumistico, i taxi coi guidatori orientali, i giornalisti in carriera che ti svegliano nel cuore della notte, il poliziotto buono e quello cattivo; un intruglio di ingredienti talmente scontato che, per carità, non lo si rifiuta, ma nemmeno lo si mangia con quell'entusiasmo da grand gourmet.
Il fatto poi che a sbrogliare la situazione sia una donna, Hellie Hatcher, appunto, e che le si faccia fare la parte del maschiaccio aggressivo non aggiunge granché di non visto. Sarà lei infatti a tornare indietro nel tempo, ad indagini che stava conducendo un vecchio poliziotto deceduto e che provavano a legare insieme delitti irrisolti e apparentemente slegati l'un l'altro, tutti quanti di ragazze appena uscite dai locali e di cui l'assassino si diverte a collezionare ciocche di capelli (anche qui, ma che originalità!). Sarà lei a condurre come un'eroina buona e vendicativa, l'assalto finale al killer asserragliato che costringe all'ennesima scena di spiegamento di forze dell'ordine che circondano dall'alto e dal basso il nascondiglio dove avviene la resa dei conti. Certo, la curiosità di sapere chi è l'assassino vi viene; è solo quella che vi muove, il resto, purtroppo, è un film di cui si sa già tutto.
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