RECENSIONI
Gianrico Carofiglio
La versione di Fenoglio
Einaudi, Pag. 168 Euro 16,50
Avvincente, così la quarta di copertina ci descrive La versione di Fenoglio, ultimo romanzo di Gianrico Carofiglio. Avvincente, cioè affascinante, seducente, suggestivo. Sì, ci sta.
Pietro Fenoglio è un vecchio carabiniere dal carattere riservato, e il lettore lo incontra in uno studio per la riabilitazione. La voglia di raccontare durante le dolorose sedute è tanta, e la sua platea sarà il giovane Giulio, che come lui sta rieducando il suo corpo dopo un’operazione. È tutto molto simbolico ne La versione di Fenoglio, già da queste prime pagine: il corpo ferito, il rapporto maestro-allievo, i racconti delle indagini di Pietro, che sono indagini sulla vita più che per cercare un colpevole. I racconti di Fenoglio diventano perciò fin da subito metanarrativa, la narrativa che parla di se stessa. Sì perché Pietro racconta delle indagini che ha svolto in passato, ma quello che sta al centro, sotto i riflettori, non è il “cosa”, ma il “come”. È per questo che indagare diventa sinonimo di raccontare.
Leggiamo cosa dice Pietro: Investigare è l’arte di osservare lentamente. E non parlo solo dell’investigazione giudiziaria… Osservare lentamente serve a vedere davvero quello che ci circonda, a scendere in profondità per trovare la verità, ed è ovvio che questa è una qualità che serve non solo all’investigatore, ma anche (sarebbe meglio dire “soprattutto”) allo scrittore. Come scrive Pier Aldo Rovatti sull’Espresso, in questo romanzo Carofiglio propone al lettore un’investigazione dove l’investigato altri non è che la verità. È inevitabile che una posizione (una versione) del genere non può non spingerci a riflettere su tutto quello che ci circonda, sull’accavallarsi veloce di post, tweet, condivisioni che non vanno mai oltre la superficie. Interrogarsi — la modalità interrogativa è quella di Amleto, alla disperata ricerca della verità sulla morte del padre —, approfondire, scendere sotto la superficie delle cose, è perciò quello che ci suggerisce Fenoglio e noi non possiamo che dargli ragione.
Romanzo da leggere. Lentamente.
di Marco Minicangeli @gattospinoso
Pietro Fenoglio è un vecchio carabiniere dal carattere riservato, e il lettore lo incontra in uno studio per la riabilitazione. La voglia di raccontare durante le dolorose sedute è tanta, e la sua platea sarà il giovane Giulio, che come lui sta rieducando il suo corpo dopo un’operazione. È tutto molto simbolico ne La versione di Fenoglio, già da queste prime pagine: il corpo ferito, il rapporto maestro-allievo, i racconti delle indagini di Pietro, che sono indagini sulla vita più che per cercare un colpevole. I racconti di Fenoglio diventano perciò fin da subito metanarrativa, la narrativa che parla di se stessa. Sì perché Pietro racconta delle indagini che ha svolto in passato, ma quello che sta al centro, sotto i riflettori, non è il “cosa”, ma il “come”. È per questo che indagare diventa sinonimo di raccontare.
Leggiamo cosa dice Pietro: Investigare è l’arte di osservare lentamente. E non parlo solo dell’investigazione giudiziaria… Osservare lentamente serve a vedere davvero quello che ci circonda, a scendere in profondità per trovare la verità, ed è ovvio che questa è una qualità che serve non solo all’investigatore, ma anche (sarebbe meglio dire “soprattutto”) allo scrittore. Come scrive Pier Aldo Rovatti sull’Espresso, in questo romanzo Carofiglio propone al lettore un’investigazione dove l’investigato altri non è che la verità. È inevitabile che una posizione (una versione) del genere non può non spingerci a riflettere su tutto quello che ci circonda, sull’accavallarsi veloce di post, tweet, condivisioni che non vanno mai oltre la superficie. Interrogarsi — la modalità interrogativa è quella di Amleto, alla disperata ricerca della verità sulla morte del padre —, approfondire, scendere sotto la superficie delle cose, è perciò quello che ci suggerisce Fenoglio e noi non possiamo che dargli ragione.
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