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CLASSICI

Alfredo Ronci

La vita disperata di un ebreo che odia gli ebrei: 'Remo Maun avvocato' di Adriano Grego.

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Confessò anni dopo Adriano Grego: Mi è difficile con la mentalità di oggi spiegarmi le ragioni per cui a diciotto anni io diventai fascista. Forse perché la rivoluzione dei rossi non arriva mai e m'ero stancato di aspettarla. Forse perché il mio subcosciente di ebreo mi portava a far forza sulla mia natura e mi aveva fatto innamorare della violenza. Forse anche per un puerile patriottismo.

Adriano Grego, scrittore ahinoi dimenticato troppo in fretta, in un appunto che non divenne mai biografia, rilesse la sua vicenda personale anche e soprattutto sulla base di vicende, le leggi razziali del '38, che lo obbligarono prima a fuggire in Francia e poi in Brasile da dove non tornò più.

Ma aveva un bel dire: rimase quasi sempre legato ad un'idea della razza quasi sfrontata, che nel suo romanzo principale, Remo Maun avvocato appunto, (uscito nel 1930, un anno appena dopo l'evento letterario de Gli indifferenti di Moravia, di cui ero amico), diventa una sorta di cartina di tornasole delle disperazioni e dei drammi del protagonista del libro.

Remo Maun, ragazzo poco incline a far l'avvocato (verrebbe da aggiungere: poco incline alla vita, e come ha detto nella postfazione all'edizione corrente Giuseppe Marcenaro... una storia che [...] rimane il "documento" di un'epoca suprema costruita sulla nausea per la vita) è figliolanza diretta del Rubé di Giuseppe Antonio Borgese. Mentre quest'ultimo, anch'esso giovane e anch'esso destinato alla vita di avvocato, è preda di facili entusiasmi e si lascia affascinare dagli ideali della guerra e della politica in genere, Maun, forse per aver subito il distacco dalla famiglia, e soprattutto dal padre che preferisce farlo educare dal fratello, rimane incastrato in una dimensione esistenziale che si bilancia tra un'onestà di fondo e un'abiezione che alla fine rivelerà l'esatta proporzione del suo personaggio.

Maun crede di appartenere ad un'unicità che poi gli si rivolta contro e l'idea lo porta ad affrontare la vita, sin da quando è bambino, con un rilievo che non è mai equilibrato: Cercò nel suo mondo ristretto – fra la casa e la scuola – d'essere un piccolo rivoluzionario. Diventò solo un ragazzo antipatico.

All'uscita del romanzo, come abbiamo già detto nel 1930, molti furono quelli che apprezzarono il tentativo coraggioso e leale di uno scrittore di confessare le proprie angustie (Assillante, era, invece, la certezza d'appartenere a una razza plebea, chiusa, incapace di ogni sorta di leggerezza e soavità, con innumerevoli limiti per ognuno. [...] 'Io sono ebreo',pensava spesse volte con segreto orgoglio, ma se poi si trovava con altri ebrei, si sentiva da lo ro dissimile e aveva di loro una sorta di ripugnanza che non riusciva a nascondere) e di fare i conti con una società già abbondantemente ammorbata di conformismo e bieco adattamento. Montale e lo stesso Borgese ne stimarono non solo l'aspetto sociologico, ma soprattutto linguistico. Quest'ultimo, sulle pagine del 'Corriere della Sera', offre un esaustivo contributo semantico: Questa parola ch'era già nell'uso, scentrati, entra per mano di un nuovo scrittore, Adriano Grego, nella letteratura; e ci potrà restare [...]. Scentrati dunque sono gli uomini senza centro, senza unità interiore, le personalità stracciate: brandelli in preda ai venti o bolidi che cadono alla prima gravitazione. Questa loro incoerenza, lo zig zag o vortice dei loro sentimenti e propositi, dipendono naturalmente da una mancanza di legge morale a cui essi riferiscono obbedienti il pensiero e l'azione.

Maun, nelle vicende del libro, passa da una posizione di onesta e sofferta attesa ad una condotta abietta che ha come origine lo schifo del mondo, così come gli è sempre apparso, nonostante il tentativo di 'aggiustarlo' e dall'altra lo scopo, sempre quello e ultimo, di trovare nel baratro dell'esistenza la luce di una sicurezza economica.

Il riscatto (ed il ricatto, perché di quello si tratta) avviene attraverso un'azione che più volte Maun definisce con un'espressione ossimorica: crudeltà levigata. Come a dire che riconosce la mostruosità dell'abiezione, ma della stessa ne costruisce una versione più leggera, ma prepotente e subdola.

Strana sorte quella toccata al libro di Grego: non ci risulta che esistano versioni intermedie tra l'originale del '30 per le edizioni Treves, e quest'ultima di Marietti del 1995. Ma al di là di una querelle temporale, la domanda che ci si pone è perché mai una stessa generazione abbia elevato all'immortalità letteraria un romanzo solido e insostituibile come Gli indifferenti di Moravia e ne abbia costretto all'oblio un altro che contiene in sé il germe di una riconoscibilità storico-sociologica di quei tempi quasi chiarificatrice. Per non parlare dell'aspetto autobiografico di Remo Maun: la storia del rapporto sofferto del protagonista col padre ricalca la vita di Grego e la teorizzazione dell'esistenza di una 'vil razza' segnò l'uomo ancor più della stessa necessaria fuga dall'Italia dopo l'emanazione delle leggi razziali.

E' un libro questo che andrebbe ristampato regolarmente, come si dovrebbe fare con i classici, perché riassume in sé il dramma di un'intera generazione alle prese con gli spettri della coscienza e con la mostruosità del sistema.

Modernissimo.





L'edizione da noi considerata é.



Adriano Grego

Remo Maun avvocato

Marietti - 1995





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