RECENSIONI
Mauro Valentini
Lo chiamavano Tyson
Armando Editore, Pag. 240 Euro 15,00
Lo chiamavano Tyson è il primo romanzo dello scrittore e giornalista Mauro Valentini, già autore di sei libri d’inchiesta.
L’esordio alla scrittura romanzata del giornalista è pressoché sorprendente, questo è possibile sin da subito affermarlo nelle prime righe. La costruzione narrativa è un abile mix di flash back e flash forward, ogni capitolo infatti oscilla tra i giorni prima e quelli successivi agli accadimenti che hanno portato i personaggi in una situazione paradossale. Di colpo poi la narrazione diventa binaria e ci si avvicina all’ultimo giorno nella villa in cui i due protagonisti lavorano come addetti alla sicurezza. L’intero percorso è un susseguirsi di piccoli eventi e scelte avventate che vanno a creare una catena che imprigiona, proprio come la stessa gabbia antifurto all’interno dell’abitazione.
Uno dei temi di massimo risalto è proprio quello delle scelte, nello specifico un particolare risulta non indifferente all’interno della storia, ovvero quasi tutti i personaggi non sono più ragazzi ma uomini di mezza età, che pensano ancora a sogni adolescenziali, quando in realtà gli anni delle belle speranze sono solo un ricordo. Non hanno mai avuto l’imposizione e la fermezza di scegliere, troppo impegnati a vivere alla giornata e ad essere di fatto assorbiti dall’enorme gabbia della periferia in cui vivono. Sarà nel momento della scelta e di quella sorta di volontà di riscatto improvvisa che molti di loro pagheranno il prezzo della disfatta e della perdita di quel poco che avevano. Una sconfitta e regressione dei personaggi molto vicina a quella incontrata nei Malavoglia e Mastro Don Gesualdo, attraverso il ciclo dei vinti nella lotta quotidiana dell’autore verista Giovanni Verga.
Tyson e gli altri personaggi non solo perdono la lotta quotidiana, ma rispetto ai personaggi veristi di Verga, subiscono una prigionia fisica e morale che li cinge con le spalle al muro sin dalla prima riga del romanzo. L’immagine della gabbia fatta costruire dal proprietario della villa, il commendator Peroni, ricorre più volte per rappresentare la vita degli stessi individui. La prigionia è lo spettro più oscuro e tangibile della narrazione che via via emerge per l’incapacità di cambiare la natura di ciò che i personaggi sono in realtà. La gabbia dorata, rappresentata da Villa Azzurra, si trasforma in luogo dove regnano disordine e confusione dati dai comportamenti inopportuni degli uomini. La gabbia è solo il cuore nero e oscuro nascosto all’interno di una bellissima villa in cui tutti vogliono entrare e riscattare un futuro già compromesso.
di Andrea Santoni
L’esordio alla scrittura romanzata del giornalista è pressoché sorprendente, questo è possibile sin da subito affermarlo nelle prime righe. La costruzione narrativa è un abile mix di flash back e flash forward, ogni capitolo infatti oscilla tra i giorni prima e quelli successivi agli accadimenti che hanno portato i personaggi in una situazione paradossale. Di colpo poi la narrazione diventa binaria e ci si avvicina all’ultimo giorno nella villa in cui i due protagonisti lavorano come addetti alla sicurezza. L’intero percorso è un susseguirsi di piccoli eventi e scelte avventate che vanno a creare una catena che imprigiona, proprio come la stessa gabbia antifurto all’interno dell’abitazione.
Uno dei temi di massimo risalto è proprio quello delle scelte, nello specifico un particolare risulta non indifferente all’interno della storia, ovvero quasi tutti i personaggi non sono più ragazzi ma uomini di mezza età, che pensano ancora a sogni adolescenziali, quando in realtà gli anni delle belle speranze sono solo un ricordo. Non hanno mai avuto l’imposizione e la fermezza di scegliere, troppo impegnati a vivere alla giornata e ad essere di fatto assorbiti dall’enorme gabbia della periferia in cui vivono. Sarà nel momento della scelta e di quella sorta di volontà di riscatto improvvisa che molti di loro pagheranno il prezzo della disfatta e della perdita di quel poco che avevano. Una sconfitta e regressione dei personaggi molto vicina a quella incontrata nei Malavoglia e Mastro Don Gesualdo, attraverso il ciclo dei vinti nella lotta quotidiana dell’autore verista Giovanni Verga.
Tyson e gli altri personaggi non solo perdono la lotta quotidiana, ma rispetto ai personaggi veristi di Verga, subiscono una prigionia fisica e morale che li cinge con le spalle al muro sin dalla prima riga del romanzo. L’immagine della gabbia fatta costruire dal proprietario della villa, il commendator Peroni, ricorre più volte per rappresentare la vita degli stessi individui. La prigionia è lo spettro più oscuro e tangibile della narrazione che via via emerge per l’incapacità di cambiare la natura di ciò che i personaggi sono in realtà. La gabbia dorata, rappresentata da Villa Azzurra, si trasforma in luogo dove regnano disordine e confusione dati dai comportamenti inopportuni degli uomini. La gabbia è solo il cuore nero e oscuro nascosto all’interno di una bellissima villa in cui tutti vogliono entrare e riscattare un futuro già compromesso.
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