CLASSICI
Alfredo Ronci
Lo scandalo “diluito”: ‘La noia’ di Alberto Moravia.
Mettiamo così. E’ la storia di un trentenne, molto ricco, molto agiato, che di ‘mestiere’ fa il pittore, che ha una madre molto attenta, sebbene ricca, e molto affettuosa, che gli propone di non abbandonare la casa e di godersi quello che di buono la famiglia può offrire.
Il trentenne, che sembra un disfattista ma in realtà è solo annoiato, decide invece di affittare un appartamento in via Margutta e qui conosce un altro pittore (secondo il protagonista… un pessimo pittore) che a sua volta ha una storia con una ragazza molto attraente. Il pessimo pittore muore all’improvviso e la giovincella comincia a frequentare il pittore ragazzo che, secondo le parole dello stesso, non si innamora ma lascia che le cose prendano un verso “borghese”.
Dopo un po’ di tempo la giovincella confessa al giovane di essersi innamorata di un attore scapestrato, ma nello stesso tempo confessa di non riuscire ad abbandonare il protagonista il quale, morso da sentimenti poco borghesi, ma del tutto naturali, con la macchina decide di farla finita.
Andrà dritto contro un albero, ma non morirà. E dal letto di un ospedale deciderà che la storia con la giovincella, nonostante tutto, continuerà.
Questa, con parole prive di decenza, è la storia di un romanzo che Alberto Moravia pubblicherà nel 1960 e che per molti versi costituirà un vero e proprio scandalo (il fatto da tale romanzo sia stato fatto anche un film con Catherine Spaak, per la regia di Damiano Damiani, non costituisce né un pesò né un aggravio per la nostra storia), ma che raccontato ai nostri giorni fa solo che sorridere e meriterebbe la vergogna se pubblicato.
Ma vediamo un po’ le ragioni che portarono allo scandalo (forse sarebbe meglio dire alle precipue attenzioni) del romanzo La noia. Prima di tutto pensiamo al fatto che esso, più di qualsiasi altro scritto, determina la frattura totale col neorealismo. Per carità, nel corso degli ultimi anni del decennio cinquanta, molti furono gli scrittori che in qualche modo anticiparono la rottura: mi vien da pensare ad Alberto Arbasino con Le piccole vacanze, a Goffredo Parise con Il ragazzo morto e le comete, o al falso neorealismo di Giovanni Comisso con Un gatto attraversa la strada o addirittura al deviante Ottiero Ottieri con Donnarumma all’assalto.
Cosa c’era dunque di insolito ne La noia? C’era il significato stesso della parola. Si dice all’inizio del romanzo: “Per me, invece, la noia non è il contrario del divertimento; potrei dire, anzi, addirittura, che per certi aspetti essa rassomiglia al divertimento in quanto, appunto, provoca distrazione e dimenticanza, sia pure di un genere molto particolare. La noia, per me, è propriamente una specie di insufficienza o inadeguatezza o scarsità della realtà”.
E in una intervista dell’epoca Alberto Moravia aggiunge: “Tutti i sentimenti individuali hanno origini, diciamo così, sociali. La noia che ho cercato di descrivere nel mio libro è certamente il prodotto di una determinata società”.
Società che non era più dunque post bellica, ma che doveva affrontare linee e progetti di una nuova fase post-industriale.
Sul significato del romanzo ci si fiondarono praticamente tutti: da Montale, che tentò un razionamento del significato della noia, e quindi dell’amore, avendo letto la storia prima ancora dell’uscita, a Giacomo Debenedetti che tentò una sorta di confronto, ma anche di scontro, tra il Dottor Zivago di Pasternak e La noia, a Sanguineti che giocò invece sulla diagnosi che Moravia fece della società capitalistica.
La noia, se vogliamo, è un romanzo che ripropone i conflitti individuali (psicanalisi e molto altro) e sociali così vicini a quelli odierni, rilancia questioni e domande ancora oggi pronte per cercare di chiarire e spiegare il nostro Occidente chiuso e globalizzato.
Ma forse lo scandalo che in qualche modo accompagnò l’uscita del romanzo, al di là di tutte le questioni politiche e letterarie, e di tutti gli schiamazzi della critica più affermata, risiede nella figura nuova di Cecilia, la protagonista. Che senza ulteriori complicazioni, e senza far caso alle problematicità di chi le sta accanto, procede alla realizzazione di una via a tre, che nel corso degli anni poi, soprattutto alla fine degli anni sessanta, prese piede e consistenza.
L’edizione da noi considerata è:
Alberto Moravia
La noia
Bompiani
Il trentenne, che sembra un disfattista ma in realtà è solo annoiato, decide invece di affittare un appartamento in via Margutta e qui conosce un altro pittore (secondo il protagonista… un pessimo pittore) che a sua volta ha una storia con una ragazza molto attraente. Il pessimo pittore muore all’improvviso e la giovincella comincia a frequentare il pittore ragazzo che, secondo le parole dello stesso, non si innamora ma lascia che le cose prendano un verso “borghese”.
Dopo un po’ di tempo la giovincella confessa al giovane di essersi innamorata di un attore scapestrato, ma nello stesso tempo confessa di non riuscire ad abbandonare il protagonista il quale, morso da sentimenti poco borghesi, ma del tutto naturali, con la macchina decide di farla finita.
Andrà dritto contro un albero, ma non morirà. E dal letto di un ospedale deciderà che la storia con la giovincella, nonostante tutto, continuerà.
Questa, con parole prive di decenza, è la storia di un romanzo che Alberto Moravia pubblicherà nel 1960 e che per molti versi costituirà un vero e proprio scandalo (il fatto da tale romanzo sia stato fatto anche un film con Catherine Spaak, per la regia di Damiano Damiani, non costituisce né un pesò né un aggravio per la nostra storia), ma che raccontato ai nostri giorni fa solo che sorridere e meriterebbe la vergogna se pubblicato.
Ma vediamo un po’ le ragioni che portarono allo scandalo (forse sarebbe meglio dire alle precipue attenzioni) del romanzo La noia. Prima di tutto pensiamo al fatto che esso, più di qualsiasi altro scritto, determina la frattura totale col neorealismo. Per carità, nel corso degli ultimi anni del decennio cinquanta, molti furono gli scrittori che in qualche modo anticiparono la rottura: mi vien da pensare ad Alberto Arbasino con Le piccole vacanze, a Goffredo Parise con Il ragazzo morto e le comete, o al falso neorealismo di Giovanni Comisso con Un gatto attraversa la strada o addirittura al deviante Ottiero Ottieri con Donnarumma all’assalto.
Cosa c’era dunque di insolito ne La noia? C’era il significato stesso della parola. Si dice all’inizio del romanzo: “Per me, invece, la noia non è il contrario del divertimento; potrei dire, anzi, addirittura, che per certi aspetti essa rassomiglia al divertimento in quanto, appunto, provoca distrazione e dimenticanza, sia pure di un genere molto particolare. La noia, per me, è propriamente una specie di insufficienza o inadeguatezza o scarsità della realtà”.
E in una intervista dell’epoca Alberto Moravia aggiunge: “Tutti i sentimenti individuali hanno origini, diciamo così, sociali. La noia che ho cercato di descrivere nel mio libro è certamente il prodotto di una determinata società”.
Società che non era più dunque post bellica, ma che doveva affrontare linee e progetti di una nuova fase post-industriale.
Sul significato del romanzo ci si fiondarono praticamente tutti: da Montale, che tentò un razionamento del significato della noia, e quindi dell’amore, avendo letto la storia prima ancora dell’uscita, a Giacomo Debenedetti che tentò una sorta di confronto, ma anche di scontro, tra il Dottor Zivago di Pasternak e La noia, a Sanguineti che giocò invece sulla diagnosi che Moravia fece della società capitalistica.
La noia, se vogliamo, è un romanzo che ripropone i conflitti individuali (psicanalisi e molto altro) e sociali così vicini a quelli odierni, rilancia questioni e domande ancora oggi pronte per cercare di chiarire e spiegare il nostro Occidente chiuso e globalizzato.
Ma forse lo scandalo che in qualche modo accompagnò l’uscita del romanzo, al di là di tutte le questioni politiche e letterarie, e di tutti gli schiamazzi della critica più affermata, risiede nella figura nuova di Cecilia, la protagonista. Che senza ulteriori complicazioni, e senza far caso alle problematicità di chi le sta accanto, procede alla realizzazione di una via a tre, che nel corso degli anni poi, soprattutto alla fine degli anni sessanta, prese piede e consistenza.
L’edizione da noi considerata è:
Alberto Moravia
La noia
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