RECENSIONI
Giampaolo Dossena
Mangiare banane
il Mulino, Pag. 110 Euro 10,00
va' da' via el cül, l'infansia
Enzo JANNACCI
Does anyone remember of Umberto Pavia (1921-1968)? No? Peccato. Ma ci si può giustificare. Non ebbe fortuna in vita: prigioniero in Algeria come Vittorio Sereni, è probabile che ne condivise il sentimento di estraneità, d'essere "tardi, troppo tardi alla festa". Impiegato in un ministero, presto si licenzia, vivendo di poco. Pubblica a proprie spese un volumetto di pensieri, vede un suo dramma musicato da un maestro Boccosi in Jesi (e, incidentalmente, pure Dossena la nomina: p. 54), muore per un incidente automobilistico. Postumo (1977), Einaudi pubblica Quaderno dei temi, librìno che testimonia, senza lagne, con un piglio à la Facco De Lagarda, un'infanzia dominata dalla paura e dalla bigotta idiozia. Un'infanzia che, primo il suo Autore, avrebbe stimato da dimenticare.
Forse Dossena bibliopolìta enciclopedico, che non si lascia sfuggire le anomalìe, conosce la sonatina per solo di Pavia. Comunque: in questo suo libretto risuona la medesima aria - e l'identica disistima per il passato (peraltro cadavere ambulante nell'atto del ricordare): al capitolo XXXVII (son brevi le sue partiture, quattro, cinque pagine al più) si tratta di un libro di Benedetto Croce, variamente sottolineato. Fra le varie ed eventuali iffenatùre - il testo è di biblioteca -, anche le sue. Per fortuna, a matita morbida: si possono cancellare, le cancella. Scrive invece a p. 50 "non ricordo con piacere nulla di me fanciullo", e dopo un po' "i vecchi sono spesso assaliti da ricordi". (p. 103) E qui si capisce perché uno che disistima la ricerca del tempo passato si pigli il disturbo d'istituire un libro di ricordi: per difendersene, liberandosene. Oggettivati sulla pagina, condivisi dai Lettori, imprigionati dalla copertina, le rimembranze tramutano il loro valore d'uso personale in valore di scambio sociale: se ne fa portatore un "io" ch'è il personaggio che dice io, procuratore e curatore al quale li intestiamo per non occuparcene più, procurandoci una sindrome amnestica senza cura. Sebbene, tuttavia, la sclerosi terapeutica del tumore-ricordo (esempio più volte abusato (c'avrà preso gusto?): la perla nell'ostrica) via stampa d'un testo non è del tutto efficace, sicché le biblioteche, come le discariche di materiale radioattivo, o in generale della monnezza, restano sempre "zone infette". (cap. XXVI)
Ogni oggetto o situazione diviene allora, nella sapiente regia dell'Autore, un'antimaddalena (cap. XXII) - com'avrebbe forse voluto Pavia: tant'è vero che più d'un luogo nei due libri s'attrae per vis simpatica. L'ottusità dello sfondo comune, fascisticato perché fascistibile (come l'artigiano sceglie il tronco le cui venature già si diramano nel verso che gli faciliterà l'incisione); la grettezza dei rapporti famigliari - in entrambi si racconta di zie che s'appropriano dei poveri beni d'una loro sorella madre morta; (p. 27) l'educazione beghina e terrorizzante del catechismo cattolico e la viriloide e tronfia dell'analoga mussoliniana;(p.20) la vergogna che l'accompagnava; (p. 80) la melensa falsità della scuola (non solo quella "d'antan", vedi p. 39); i bambini trattati come esseri bambineschi da quei bambini maldestri che sono gli adulti, evenienza ben esemplata da una quartina che accompagnava malevola i boyscout: "un gruppo di bambini vestiti da cretini guidati da un cretino vestito da bambino". (p.17)
A proposito di bambini: al capitolo XXXVI Dossena c'intrattiene con il movimento di liberazione dei nani da giardino. Massì! Sono quei badòla che fregano gli gnomi di coccio dalle villette geometrili brianzole o toscane, e li portano a svernare nei boschi e nelle fratte, forse nella speranza che s'ingroppìno e fìglino in val d'Arno - ma ci vorrebbe una Biancaneve. Bene: siccome la madre dei balenghi, lei sì, è sempre gravida, "gli ambientalisti, gli etologi, gli zoofili, hanno fatto presente che i Nani sottratti all'aurea prigionia in cui sono stati allevati, si trovano impreparati ai pericoli della "libertà": abbandonati nei boschi, possono morire di fame, di paura, possono essere vittime di animali selvatici o di malintenzionati". (p. 90) Sornione, l'Autore sembra dire: "ma qui ci scappa la metafora!"- non a caso a p. 81 aveva ammesso: "mi sarebbe piaciuto non essare un bravo bambino bensì assomigliare a Pinocchio, a Gian Burrasca, a Tom Sawyer". Come dire, il desiderio infantile è l'angoscia adulta. E però suggerendo che è l'ansia atterrita dei "maturi" a essere un problema, e un problema loro. E come, e quanto: "Cosa succederebbe se in difesa dei Nani da Giardino si formassero milizie di vigilantes, che fanno giustizia sommaria di chi li ruba? Io sono una vecchia signora, ho una casetta con giardino, nel giardino ho le statuette dei Nani; se vengono a rubarmeli (sic), gli sparo dalla finestra. Una bella finestrina con le tendine di pizzo". (p. 92) E il fascismo è pronto da servire in tavola.
E allora sorge il dubbio che voler allontanarsi da una dannata d'annata memoria non sia solo un'operazione di negazione - "via da me, ricordi pravi!" -, bensì pure comporti (e qui c'allontaniamo da Pavia - detta così, sembra la guida del Touring) un legittimo positivo rimpianto: "Perché la vita non m'ha offerto altro da ricordare, che questo ciarpame?".
Chissà. Forse perché il destino è cinico e baro - e allora "non bisognerebbe vivere" (p. 68). O forse perché è vera la frase preferita dal padre del piccolo Umberto, fascista della seconda ora, quindi capomanipolo, che campeggiava nell'ingresso di casa loro, tradotta dal parroco: "qui ovis fit a lupo editur".
E commentò l'Autore del Quaderno, disincantato soldato e spaurito scolaro: "Per qualcuno, si tratta di categorie storiche. Per me, solo di merda".
di Giulio Lascàris
Enzo JANNACCI
Does anyone remember of Umberto Pavia (1921-1968)? No? Peccato. Ma ci si può giustificare. Non ebbe fortuna in vita: prigioniero in Algeria come Vittorio Sereni, è probabile che ne condivise il sentimento di estraneità, d'essere "tardi, troppo tardi alla festa". Impiegato in un ministero, presto si licenzia, vivendo di poco. Pubblica a proprie spese un volumetto di pensieri, vede un suo dramma musicato da un maestro Boccosi in Jesi (e, incidentalmente, pure Dossena la nomina: p. 54), muore per un incidente automobilistico. Postumo (1977), Einaudi pubblica Quaderno dei temi, librìno che testimonia, senza lagne, con un piglio à la Facco De Lagarda, un'infanzia dominata dalla paura e dalla bigotta idiozia. Un'infanzia che, primo il suo Autore, avrebbe stimato da dimenticare.
Forse Dossena bibliopolìta enciclopedico, che non si lascia sfuggire le anomalìe, conosce la sonatina per solo di Pavia. Comunque: in questo suo libretto risuona la medesima aria - e l'identica disistima per il passato (peraltro cadavere ambulante nell'atto del ricordare): al capitolo XXXVII (son brevi le sue partiture, quattro, cinque pagine al più) si tratta di un libro di Benedetto Croce, variamente sottolineato. Fra le varie ed eventuali iffenatùre - il testo è di biblioteca -, anche le sue. Per fortuna, a matita morbida: si possono cancellare, le cancella. Scrive invece a p. 50 "non ricordo con piacere nulla di me fanciullo", e dopo un po' "i vecchi sono spesso assaliti da ricordi". (p. 103) E qui si capisce perché uno che disistima la ricerca del tempo passato si pigli il disturbo d'istituire un libro di ricordi: per difendersene, liberandosene. Oggettivati sulla pagina, condivisi dai Lettori, imprigionati dalla copertina, le rimembranze tramutano il loro valore d'uso personale in valore di scambio sociale: se ne fa portatore un "io" ch'è il personaggio che dice io, procuratore e curatore al quale li intestiamo per non occuparcene più, procurandoci una sindrome amnestica senza cura. Sebbene, tuttavia, la sclerosi terapeutica del tumore-ricordo (esempio più volte abusato (c'avrà preso gusto?): la perla nell'ostrica) via stampa d'un testo non è del tutto efficace, sicché le biblioteche, come le discariche di materiale radioattivo, o in generale della monnezza, restano sempre "zone infette". (cap. XXVI)
Ogni oggetto o situazione diviene allora, nella sapiente regia dell'Autore, un'antimaddalena (cap. XXII) - com'avrebbe forse voluto Pavia: tant'è vero che più d'un luogo nei due libri s'attrae per vis simpatica. L'ottusità dello sfondo comune, fascisticato perché fascistibile (come l'artigiano sceglie il tronco le cui venature già si diramano nel verso che gli faciliterà l'incisione); la grettezza dei rapporti famigliari - in entrambi si racconta di zie che s'appropriano dei poveri beni d'una loro sorella madre morta; (p. 27) l'educazione beghina e terrorizzante del catechismo cattolico e la viriloide e tronfia dell'analoga mussoliniana;(p.20) la vergogna che l'accompagnava; (p. 80) la melensa falsità della scuola (non solo quella "d'antan", vedi p. 39); i bambini trattati come esseri bambineschi da quei bambini maldestri che sono gli adulti, evenienza ben esemplata da una quartina che accompagnava malevola i boyscout: "un gruppo di bambini vestiti da cretini guidati da un cretino vestito da bambino". (p.17)
A proposito di bambini: al capitolo XXXVI Dossena c'intrattiene con il movimento di liberazione dei nani da giardino. Massì! Sono quei badòla che fregano gli gnomi di coccio dalle villette geometrili brianzole o toscane, e li portano a svernare nei boschi e nelle fratte, forse nella speranza che s'ingroppìno e fìglino in val d'Arno - ma ci vorrebbe una Biancaneve. Bene: siccome la madre dei balenghi, lei sì, è sempre gravida, "gli ambientalisti, gli etologi, gli zoofili, hanno fatto presente che i Nani sottratti all'aurea prigionia in cui sono stati allevati, si trovano impreparati ai pericoli della "libertà": abbandonati nei boschi, possono morire di fame, di paura, possono essere vittime di animali selvatici o di malintenzionati". (p. 90) Sornione, l'Autore sembra dire: "ma qui ci scappa la metafora!"- non a caso a p. 81 aveva ammesso: "mi sarebbe piaciuto non essare un bravo bambino bensì assomigliare a Pinocchio, a Gian Burrasca, a Tom Sawyer". Come dire, il desiderio infantile è l'angoscia adulta. E però suggerendo che è l'ansia atterrita dei "maturi" a essere un problema, e un problema loro. E come, e quanto: "Cosa succederebbe se in difesa dei Nani da Giardino si formassero milizie di vigilantes, che fanno giustizia sommaria di chi li ruba? Io sono una vecchia signora, ho una casetta con giardino, nel giardino ho le statuette dei Nani; se vengono a rubarmeli (sic), gli sparo dalla finestra. Una bella finestrina con le tendine di pizzo". (p. 92) E il fascismo è pronto da servire in tavola.
E allora sorge il dubbio che voler allontanarsi da una dannata d'annata memoria non sia solo un'operazione di negazione - "via da me, ricordi pravi!" -, bensì pure comporti (e qui c'allontaniamo da Pavia - detta così, sembra la guida del Touring) un legittimo positivo rimpianto: "Perché la vita non m'ha offerto altro da ricordare, che questo ciarpame?".
Chissà. Forse perché il destino è cinico e baro - e allora "non bisognerebbe vivere" (p. 68). O forse perché è vera la frase preferita dal padre del piccolo Umberto, fascista della seconda ora, quindi capomanipolo, che campeggiava nell'ingresso di casa loro, tradotta dal parroco: "qui ovis fit a lupo editur".
E commentò l'Autore del Quaderno, disincantato soldato e spaurito scolaro: "Per qualcuno, si tratta di categorie storiche. Per me, solo di merda".
di Giulio Lascàris
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