RECENSIONI
Veronica Raimo
Niente di vero
Einaudi, pag. 64 euro 18,00
Un romanzo brillante, divertente, a tratti urticante. Niente di vero, entrato nei sette della finale del “Premio Strega” classificandosi quarto, è tutto questo.
Verika (è così che la madre chiama Veronica), la sua storia, mette il dito nella purulenta piaga della famiglia italiana, quella che viene portata in palmo di mano in molti ambiti politici. Ma quella di Verika è una famiglia disastrata: un fratello genietto, che nella sua vita c’è poco, e quando c’è è meglio che non ci sia. Una madre praticamente folle che scambia la sua invadenza per amore, un padre impegnato a costruire muri (muri veri) e ossessionato dall’igiene.
Verika si mostra. Ma sarà un vero mostrarsi, o forse l’unica verità è quella del titolo, che non c’è niente di vero? Insomma uno stress, una lettura faticosa, una specie di specchio che si riflette dentro un altro specchio. Faticosa, ma divertente, perché la Raimo scioglie le follie della sua strana famiglia nell’ironia, un registro che sembra sapere usare molto bene. È così quando racconta tutti i divieti che lei e suo fratello hanno dovuto subire da bambini. Nuotare? Andare in bicicletta? Pattinare? Saltare la corda? Assolutamente no: “(…) era un attimo annegare, spaccarsi il cranio, rompersi una gamba, finire impiccati”.
La famiglia per Verika (Veronica?) è sinonimo di noia e non è che nel periodo delle vacanze le cose cambino. Anzi, sono una specie di corso di perfezionamento alla noia. Insomma quella di Verika è una famiglia penetrante, un’istituzione nella quale la privacy è sconosciuta, così come la libertà, e che si frappone tra l’individuo che ne fa parte e il mondo, mettendolo al riparo dalle brutture, che però sono esperienze quasi necessarie. Forse è per questo che Verika tenta di forzare le regole della casa e cerca di fuggire, impresa che ovviamente sarà destinata al fallimento.
di Marco Minicangeli
Verika (è così che la madre chiama Veronica), la sua storia, mette il dito nella purulenta piaga della famiglia italiana, quella che viene portata in palmo di mano in molti ambiti politici. Ma quella di Verika è una famiglia disastrata: un fratello genietto, che nella sua vita c’è poco, e quando c’è è meglio che non ci sia. Una madre praticamente folle che scambia la sua invadenza per amore, un padre impegnato a costruire muri (muri veri) e ossessionato dall’igiene.
Verika si mostra. Ma sarà un vero mostrarsi, o forse l’unica verità è quella del titolo, che non c’è niente di vero? Insomma uno stress, una lettura faticosa, una specie di specchio che si riflette dentro un altro specchio. Faticosa, ma divertente, perché la Raimo scioglie le follie della sua strana famiglia nell’ironia, un registro che sembra sapere usare molto bene. È così quando racconta tutti i divieti che lei e suo fratello hanno dovuto subire da bambini. Nuotare? Andare in bicicletta? Pattinare? Saltare la corda? Assolutamente no: “(…) era un attimo annegare, spaccarsi il cranio, rompersi una gamba, finire impiccati”.
La famiglia per Verika (Veronica?) è sinonimo di noia e non è che nel periodo delle vacanze le cose cambino. Anzi, sono una specie di corso di perfezionamento alla noia. Insomma quella di Verika è una famiglia penetrante, un’istituzione nella quale la privacy è sconosciuta, così come la libertà, e che si frappone tra l’individuo che ne fa parte e il mondo, mettendolo al riparo dalle brutture, che però sono esperienze quasi necessarie. Forse è per questo che Verika tenta di forzare le regole della casa e cerca di fuggire, impresa che ovviamente sarà destinata al fallimento.
di Marco Minicangeli
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