RECENSIONI
Patrick Fogli e Ferruccio Pinotti
Non voglio il silenzio
Piemme, Pag. 539 Euro 19, 50
La storia delle stragi italiane dei primi anni '90 del secolo scorso non poteva che essere raccontata con un romanzo. Lo ha fatto magistralmente Patrick Fogli, uno degli autori italiani contemporanei più interessanti, coadiuvato dal giornalista d'inchiesta Ferruccio Pinotti. La trama alla base del libro è un pretesto per raccontare l'Italia di Tangentopoli, delle stragi di Capaci e via D'Amelio e, purtroppo, di quello che ci è capitato in sorte fino ai nostri giorni. Il figlio di Adriano, un famoso giornalista ormai in pensione, decide di riavvicinarsi al caso che stava seguendo sua moglie Elena. Lo fa a distanza di tempo dall'incidente d'auto che ha causato la morte di Elena e l'invalidità permanente del padre, lasciando lui illeso ma sconvolto.
Il viaggio alla scoperta dei segreti di Elena lo condurrà a svelare il vaso di pandora dei poteri forti e istituzionali che tengono le sorti dell'Italia (e non solo) e che, di fatto, come un Giano bifronte, mostrano un lato lecito e celano in qualsiasi modo quello più importante, l'illecito. Non voglio il silenzio, con una scrittura secca, graffiante, perfetta, ci trasporta in Sicilia, terra ufficiale di Cosa Nostra, a Milano, terra non dichiarata di Cosa Nostra, a Roma, a Firenze, in un'isola misteriosa oltre oceano. Ci fa comprendere meglio di qualsiasi inchiesta tacitata dai mass media che dopo l'89, crollato il Muro di Berlino, la funzione anti-comunista della Mafia che aveva spadroneggiato indisturbata viene meno. Ci racconta che i boss si sentono minacciati da apparati dello Stato che li hanno usati e che intendono scaricarli. Per cui avvertono: il giudice Falcone salta per aria con un coup de theatre a Palermo. Attenti e guardate di cosa siamo Capaci. Ma l'eredità del giudice viene presa da Paolo Borsellino che era uno che non si teneva niente dentro e voleva domandarsi a voce alta: chi l'ha usata Cosa Nostra? Davvero i Corleonesi, i Provenzano e non magari qualche altra famiglia che mai compare sui giornali (i Capobianco) sono i responsabili unici di siffatti misfatti? Davvero l'economia di una parte dello Stato è così lontana da quella illecita delle cosche? Ecco che allora, per silenziare quest'altro temerario con la toga, scende direttamente in campo lo Stato italiano. Il giochetto è semplice, lo si uccide, ma prima si prepara la scena del delitto, si organizzano i responsabili (ricordate Kennedy?). Tutti diranno ancora: è stata la Mafia, ci sono le prove. Inaspriamo le pene. Dagli al carcere duro.
L'abilità di Fogli è quella di aver costruito un romanzo che pur essendo storico contemporaneo scorre come un thriller. In cui l'attualità spicciola da cronaca televisiva scompare di fronte all'intensità del vissuto dei singoli personaggi, buoni o cattivi che siano. Viene in mente il James Ellroy di Sei Pezzi da Mille; le atmosfere spesso cupe e introverse sposano a meraviglia il dramma sociale, politico e culturale che si vuole raccontare. Ogni personaggio (qualcuno inventato, qualcun altro reale) è solo con le sue paure, le sue ricerche, le sue fughe, nel tentativo maldestro di salvarsi da una fine più o meno nota. E ciò che rimane è uno scenario che evoca impotenza, rassegnazione, afflizione. Inevitabilità. Lo Stato non combatte la Mafia, fa capire il romanzo. Lo Stato si serve della Mafia così come avviene il contrario (tutt'oggi). E quando l'uno si stufa dell'altro tutto è lecito pur di servirsi sul piatto più forte una vendetta chirurgica. Indolore, che non lasci tracce. Che poi Stato e Mafia equivalgano a macro sistemi economici (Borse e colletti inamidati), bè, va da sé che non è più quello il punto (di non ritorno).
di Adriano Angelini Sut
Il viaggio alla scoperta dei segreti di Elena lo condurrà a svelare il vaso di pandora dei poteri forti e istituzionali che tengono le sorti dell'Italia (e non solo) e che, di fatto, come un Giano bifronte, mostrano un lato lecito e celano in qualsiasi modo quello più importante, l'illecito. Non voglio il silenzio, con una scrittura secca, graffiante, perfetta, ci trasporta in Sicilia, terra ufficiale di Cosa Nostra, a Milano, terra non dichiarata di Cosa Nostra, a Roma, a Firenze, in un'isola misteriosa oltre oceano. Ci fa comprendere meglio di qualsiasi inchiesta tacitata dai mass media che dopo l'89, crollato il Muro di Berlino, la funzione anti-comunista della Mafia che aveva spadroneggiato indisturbata viene meno. Ci racconta che i boss si sentono minacciati da apparati dello Stato che li hanno usati e che intendono scaricarli. Per cui avvertono: il giudice Falcone salta per aria con un coup de theatre a Palermo. Attenti e guardate di cosa siamo Capaci. Ma l'eredità del giudice viene presa da Paolo Borsellino che era uno che non si teneva niente dentro e voleva domandarsi a voce alta: chi l'ha usata Cosa Nostra? Davvero i Corleonesi, i Provenzano e non magari qualche altra famiglia che mai compare sui giornali (i Capobianco) sono i responsabili unici di siffatti misfatti? Davvero l'economia di una parte dello Stato è così lontana da quella illecita delle cosche? Ecco che allora, per silenziare quest'altro temerario con la toga, scende direttamente in campo lo Stato italiano. Il giochetto è semplice, lo si uccide, ma prima si prepara la scena del delitto, si organizzano i responsabili (ricordate Kennedy?). Tutti diranno ancora: è stata la Mafia, ci sono le prove. Inaspriamo le pene. Dagli al carcere duro.
L'abilità di Fogli è quella di aver costruito un romanzo che pur essendo storico contemporaneo scorre come un thriller. In cui l'attualità spicciola da cronaca televisiva scompare di fronte all'intensità del vissuto dei singoli personaggi, buoni o cattivi che siano. Viene in mente il James Ellroy di Sei Pezzi da Mille; le atmosfere spesso cupe e introverse sposano a meraviglia il dramma sociale, politico e culturale che si vuole raccontare. Ogni personaggio (qualcuno inventato, qualcun altro reale) è solo con le sue paure, le sue ricerche, le sue fughe, nel tentativo maldestro di salvarsi da una fine più o meno nota. E ciò che rimane è uno scenario che evoca impotenza, rassegnazione, afflizione. Inevitabilità. Lo Stato non combatte la Mafia, fa capire il romanzo. Lo Stato si serve della Mafia così come avviene il contrario (tutt'oggi). E quando l'uno si stufa dell'altro tutto è lecito pur di servirsi sul piatto più forte una vendetta chirurgica. Indolore, che non lasci tracce. Che poi Stato e Mafia equivalgano a macro sistemi economici (Borse e colletti inamidati), bè, va da sé che non è più quello il punto (di non ritorno).
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