INTERVISTE
Piergiorgio Paterlini

Come diceva il comico: la domanda sorge spontanea. Perché il cambio del titolo nell'edizione tascabile rispetto alla prima edizione?
Una chiara scelta editoriale che io chiaramente non ho condiviso. L'ho accettata perché c'era già l'edizione maggiore, e che restava in catalogo. E per ottenere il tascabile, che era importante per molte ragioni – fra cui la "durata" del libro – che altrimenti non sarebbe mai uscito. La casa editrice ha dato la "colpa" al primo titolo per un successo annunciato e mai avvenuto del libro (che pure negli "Struzzi" ha fatto la seconda edizione dopo un mese e ha venduto oltre dieci volte più di quanto si venda la saggistica – ma anche la narrativa – in Italia) mancato successo che invece è tutto legato a misteriose scelte o non scelte editoriali. Tant'è che il tascabile – che doveva rappresentare un grande rilancio – è ancora più invisibile – nonostante l'argomento di forte attualità e il titolo fatto apposta per "vendere" – dell'edizione maggiore. Solo a ulteriore conferma di questo, cioè che bastava mettere sul mercato con un grammo di convinzione un titolo qualunque che avesse a che fare con i matrimoni gay, il volume di Laura Laurenzi su dieci coppie gay e lesbiche famose - un bignamino che mi ha scandalizzato, scopiazzatura di biografie edite, tradotte in Italia a decine, tutte conosciutissime – è in classifica dalla prima settimana di uscita... E non mi si dica che il grande pubblico è più interessato a rileggere per la centesima volta dieci paginette su Pasolini e Ninetto Davoli (Laurenzi) e non a conoscere come vive davvero la coppia gay o lesbica che abita nell'appartamento di fronte (Paterlini).
Perché per raccontarci queste storie hai preferito un impianto "letterario autobiografico" piuttosto che uno saggistico?
Due ragioni: il mio personale percorso, che proviene dal giornalismo ma va sempre e sempre più decisamente verso la narrativa, ma anche la convinzione che le storie vere, che ora io chiamo con più verità, credo, "dal vero" raccontino più e meglio della saggistica, anche se le tematiche (s)confinano con l'inchiesta "vecchio stile", con la ricerca sul campo, con il "sociologico". Perfino affrontando un tema come quello dei diritti – e il mio libro lo fa solo attraverso la voce e le esperienze dei protagonisti – mi sono fatto sempre più convinto che il primo dei diritti, l'apripista anche degli altri, sia quello a essere raccontati per come si è davvero, fuori dagli stereotipi dall'ignoranza dal pregiudizio.
Negli ultimi decenni nella letteratura a tematica gay si è anteposto il senso della tragedia a quello del corso degli eventi. Penso ai tantissimi romanzi che hanno per tema l'AIDS e al corredo di accoramento che si portano dietro. Nei tuoi racconti, c'è il dolore, il senso della perdita, ma mai questa insopportabile mestizia che a volte suona come moralistico "mea culpa".
Sì è così. Ed è una sottolineatura che nessuno finora mi pare avesse colto e secondo me è importante, e mi fa comunque piacere (senza giudicare chi ha scelto altre strade, ci mancherebbe). I miei racconti parlano di persone "altre", non sono alter ego dell'autore, non ne rappresentano le diverse sfaccettature. Io non amo assolutamente la letteratura diaristica. Ma, certo, i miei libri mi assomigliano. E molto. Credo senza sovrapporsi alle storie e alle persone/personaggi che racconto, alla loro autonomia di gesti, pensieri, emozioni. Sembra una contraddizione, secondo me non lo è. E' una via stretta che è bello imparare a percorrere.
Nel recente gay pride di Roma, a cui ho partecipato, ho letto un cartello dove s'indicavano come "nemici" non i politici di destra, ma Rutelli, Prodi e il nuovo ministro della pubblica istruzione...
Mi è sempre difficile fare la classifica della pericolosità degli avversari. Perché c'è una pericolosità oggettiva, diciamo così, e una che nasce da una legittima delusione per le posizioni deboli o compromissorie dei politici della propria parte. Direi così: trovo più pericoloso Bossi, ma più deludente Prodi. E aggiungo: un tasso di pericolosità oggettiva la si può trovare però nel centrosinistra perché è più grave – socialmente, per l'opinione pubblica – che non si facciano carico di diritti sacrosanti i politici di sinistra che non quelli di destra da cui te lo aspetti (ovviamente i militanti gay di destra, che ci sono, non saranno d'accordo).
Quando mi si dice che gli italiani sono omofobi rispondo, con un paragone azzardato, che non erano nemmeno razzisti quando Mussolini promulgò le vergognose leggi razziali.
Io sono sempre più convinto che gli italiani – gli uomini in generale, i ragazzi e le ragazze a maggior ragione – non siano fondamentalmnte razzisti (anche, certo, una parte) ma assai più conformisti. E quindi assai più disposti a sostenere opinioni aperte se non si sentono troppo isolati. Non capire questo è la causa più importante e più grave degli errori – ripetuti: non è vero che la storia insegna – della sinistra. Non solo i politici "seguono" e inseguono la cosiddetta "gente" invece di precederla, ma la seguono male, senza capirla, sotto-valu-tan-do-la odiosamente (anche per la separatezza di casta in cui vivono, i politici dico). Così tutti tremebondi pensano di perdere il Referendum sul divorzio (1974) e invece lo stra-vincono, scavalcati "a sinistra" dalla "gente", anche cattolica. E continuano così da oltre trent'anni... Oggi i Pacs, domani le adozioni per le coppie gay...
Matrimonio gay visto non come scambio di anelli o cerimonie suntuose, che pure ci sono state in alcune manifestazioni pubbliche, anche in Italia, ma condivisione di momenti e di beni Lo stesso dicasi per una "comunità d'intenti" tra coppie e relative famiglie che però sottacendo l'evidenza sfoggiano un'ipocrisia, mi viene da dire, "democristiana. In "L'ospite d'onore" si legge: "Le nostre famiglie ci facevano regali per tutti e due, magari lenzuola matrimoniali. Ma sempre senza una parola, una domanda, nulla".
Capita anche questo, ma capita anche qualcosa di meglio. L'accettazione, la partecipazione, l'orgoglio vero delle famiglie d'origine. Anche nelle storie del mio libro. E a volte è semplicemente una questione di fasi. Il rifiuto, l'accettazione che sembra ipocrita ma spesso è solo il diritto ad avere un po' di tempo per abituarsi alla normalità dell'idea, poi la fierezza e la normalità vere. Io sono più ottimista. E non credo di essere cieco, di non vedere i pericoli, che ancora sono tanti e non sempre dove si crede. Non ho mai amato, ad esempio, l'accettazione superficiale, anzi l'ho temuta e denunciata più del rifiuto e dell'insulto. Però ho anche sempre sostenuto – da anni, e senza alcun eroismo, senza alcuna complicità sadomaso vittima-carnefice – che se gli omosessuali hanno diritto di pretendere di essere capiti, in fondo anche gli eterosessuali hanno diritto di essere capiti dai gay. Oltretutto, il salto di civiltà sarebbe più facile e più ampio. Non è buonismo, è tattica interessata (per me etica, e intelligenza della storia), ma diciamo pure così.
Nella prefazione, riporti l'episodio de "Il Borghese", dove due giornalisti di destra si fingono omosessuali e chiedono di essere sposati a don Marco Bisceglia, allora (siamo nella metà degli anni '70) prete scomodo e contestato per le sue aperture ai diversi. Non ti pare che ci sia una certa affinità col giornalismo scandalistico dei giorni nostri, al di la poi della delicata questione che l'episodio portava alla luce?
E' incredibile come quella storia, così nota, così importante, così "originaria" in tutti i sensi per la comunità e il movimento gay italiani non se la ricordi nessuno. Davvero nessuno, nemmeno gli storici più apprezzati e preparati del movimento gay. Chissà cosa significa. Eppure molti l'hanno vissuta direttamente, persino più direttamente di me.
Venendo alla domanda vera e propria, no, a me non pare che oggi l'omosessualità faccia scandalo allo stesso modo, anzi. Forse in quel mondo è diventata - dico una banalità ma occorre ribadirla – una moda, un vanto, un pezzettino del "lusso" e dei lustrini di cui quel mondo vive.
È vera un'altra cosa: che il giornalismo scandalistico in quanto tale, il giornalismo scandalistico tout-court è rimasto uguale. Ma non può che essere così. qui non siamo davanti a un problema di epoche, ma di DNA, di intenti dichiarati.
Una chiara scelta editoriale che io chiaramente non ho condiviso. L'ho accettata perché c'era già l'edizione maggiore, e che restava in catalogo. E per ottenere il tascabile, che era importante per molte ragioni – fra cui la "durata" del libro – che altrimenti non sarebbe mai uscito. La casa editrice ha dato la "colpa" al primo titolo per un successo annunciato e mai avvenuto del libro (che pure negli "Struzzi" ha fatto la seconda edizione dopo un mese e ha venduto oltre dieci volte più di quanto si venda la saggistica – ma anche la narrativa – in Italia) mancato successo che invece è tutto legato a misteriose scelte o non scelte editoriali. Tant'è che il tascabile – che doveva rappresentare un grande rilancio – è ancora più invisibile – nonostante l'argomento di forte attualità e il titolo fatto apposta per "vendere" – dell'edizione maggiore. Solo a ulteriore conferma di questo, cioè che bastava mettere sul mercato con un grammo di convinzione un titolo qualunque che avesse a che fare con i matrimoni gay, il volume di Laura Laurenzi su dieci coppie gay e lesbiche famose - un bignamino che mi ha scandalizzato, scopiazzatura di biografie edite, tradotte in Italia a decine, tutte conosciutissime – è in classifica dalla prima settimana di uscita... E non mi si dica che il grande pubblico è più interessato a rileggere per la centesima volta dieci paginette su Pasolini e Ninetto Davoli (Laurenzi) e non a conoscere come vive davvero la coppia gay o lesbica che abita nell'appartamento di fronte (Paterlini).
Perché per raccontarci queste storie hai preferito un impianto "letterario autobiografico" piuttosto che uno saggistico?
Due ragioni: il mio personale percorso, che proviene dal giornalismo ma va sempre e sempre più decisamente verso la narrativa, ma anche la convinzione che le storie vere, che ora io chiamo con più verità, credo, "dal vero" raccontino più e meglio della saggistica, anche se le tematiche (s)confinano con l'inchiesta "vecchio stile", con la ricerca sul campo, con il "sociologico". Perfino affrontando un tema come quello dei diritti – e il mio libro lo fa solo attraverso la voce e le esperienze dei protagonisti – mi sono fatto sempre più convinto che il primo dei diritti, l'apripista anche degli altri, sia quello a essere raccontati per come si è davvero, fuori dagli stereotipi dall'ignoranza dal pregiudizio.
Negli ultimi decenni nella letteratura a tematica gay si è anteposto il senso della tragedia a quello del corso degli eventi. Penso ai tantissimi romanzi che hanno per tema l'AIDS e al corredo di accoramento che si portano dietro. Nei tuoi racconti, c'è il dolore, il senso della perdita, ma mai questa insopportabile mestizia che a volte suona come moralistico "mea culpa".
Sì è così. Ed è una sottolineatura che nessuno finora mi pare avesse colto e secondo me è importante, e mi fa comunque piacere (senza giudicare chi ha scelto altre strade, ci mancherebbe). I miei racconti parlano di persone "altre", non sono alter ego dell'autore, non ne rappresentano le diverse sfaccettature. Io non amo assolutamente la letteratura diaristica. Ma, certo, i miei libri mi assomigliano. E molto. Credo senza sovrapporsi alle storie e alle persone/personaggi che racconto, alla loro autonomia di gesti, pensieri, emozioni. Sembra una contraddizione, secondo me non lo è. E' una via stretta che è bello imparare a percorrere.
Nel recente gay pride di Roma, a cui ho partecipato, ho letto un cartello dove s'indicavano come "nemici" non i politici di destra, ma Rutelli, Prodi e il nuovo ministro della pubblica istruzione...
Mi è sempre difficile fare la classifica della pericolosità degli avversari. Perché c'è una pericolosità oggettiva, diciamo così, e una che nasce da una legittima delusione per le posizioni deboli o compromissorie dei politici della propria parte. Direi così: trovo più pericoloso Bossi, ma più deludente Prodi. E aggiungo: un tasso di pericolosità oggettiva la si può trovare però nel centrosinistra perché è più grave – socialmente, per l'opinione pubblica – che non si facciano carico di diritti sacrosanti i politici di sinistra che non quelli di destra da cui te lo aspetti (ovviamente i militanti gay di destra, che ci sono, non saranno d'accordo).
Quando mi si dice che gli italiani sono omofobi rispondo, con un paragone azzardato, che non erano nemmeno razzisti quando Mussolini promulgò le vergognose leggi razziali.
Io sono sempre più convinto che gli italiani – gli uomini in generale, i ragazzi e le ragazze a maggior ragione – non siano fondamentalmnte razzisti (anche, certo, una parte) ma assai più conformisti. E quindi assai più disposti a sostenere opinioni aperte se non si sentono troppo isolati. Non capire questo è la causa più importante e più grave degli errori – ripetuti: non è vero che la storia insegna – della sinistra. Non solo i politici "seguono" e inseguono la cosiddetta "gente" invece di precederla, ma la seguono male, senza capirla, sotto-valu-tan-do-la odiosamente (anche per la separatezza di casta in cui vivono, i politici dico). Così tutti tremebondi pensano di perdere il Referendum sul divorzio (1974) e invece lo stra-vincono, scavalcati "a sinistra" dalla "gente", anche cattolica. E continuano così da oltre trent'anni... Oggi i Pacs, domani le adozioni per le coppie gay...
Matrimonio gay visto non come scambio di anelli o cerimonie suntuose, che pure ci sono state in alcune manifestazioni pubbliche, anche in Italia, ma condivisione di momenti e di beni Lo stesso dicasi per una "comunità d'intenti" tra coppie e relative famiglie che però sottacendo l'evidenza sfoggiano un'ipocrisia, mi viene da dire, "democristiana. In "L'ospite d'onore" si legge: "Le nostre famiglie ci facevano regali per tutti e due, magari lenzuola matrimoniali. Ma sempre senza una parola, una domanda, nulla".
Capita anche questo, ma capita anche qualcosa di meglio. L'accettazione, la partecipazione, l'orgoglio vero delle famiglie d'origine. Anche nelle storie del mio libro. E a volte è semplicemente una questione di fasi. Il rifiuto, l'accettazione che sembra ipocrita ma spesso è solo il diritto ad avere un po' di tempo per abituarsi alla normalità dell'idea, poi la fierezza e la normalità vere. Io sono più ottimista. E non credo di essere cieco, di non vedere i pericoli, che ancora sono tanti e non sempre dove si crede. Non ho mai amato, ad esempio, l'accettazione superficiale, anzi l'ho temuta e denunciata più del rifiuto e dell'insulto. Però ho anche sempre sostenuto – da anni, e senza alcun eroismo, senza alcuna complicità sadomaso vittima-carnefice – che se gli omosessuali hanno diritto di pretendere di essere capiti, in fondo anche gli eterosessuali hanno diritto di essere capiti dai gay. Oltretutto, il salto di civiltà sarebbe più facile e più ampio. Non è buonismo, è tattica interessata (per me etica, e intelligenza della storia), ma diciamo pure così.
Nella prefazione, riporti l'episodio de "Il Borghese", dove due giornalisti di destra si fingono omosessuali e chiedono di essere sposati a don Marco Bisceglia, allora (siamo nella metà degli anni '70) prete scomodo e contestato per le sue aperture ai diversi. Non ti pare che ci sia una certa affinità col giornalismo scandalistico dei giorni nostri, al di la poi della delicata questione che l'episodio portava alla luce?
E' incredibile come quella storia, così nota, così importante, così "originaria" in tutti i sensi per la comunità e il movimento gay italiani non se la ricordi nessuno. Davvero nessuno, nemmeno gli storici più apprezzati e preparati del movimento gay. Chissà cosa significa. Eppure molti l'hanno vissuta direttamente, persino più direttamente di me.
Venendo alla domanda vera e propria, no, a me non pare che oggi l'omosessualità faccia scandalo allo stesso modo, anzi. Forse in quel mondo è diventata - dico una banalità ma occorre ribadirla – una moda, un vanto, un pezzettino del "lusso" e dei lustrini di cui quel mondo vive.
È vera un'altra cosa: che il giornalismo scandalistico in quanto tale, il giornalismo scandalistico tout-court è rimasto uguale. Ma non può che essere così. qui non siamo davanti a un problema di epoche, ma di DNA, di intenti dichiarati.
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