Tasti di scelta rapida del sito: Menu principale | Corpo della pagina

Il Paradiso degli Orchi
Home » Attualità » Gaetano Donizetti 1797-1848

Pagina dei contenuti


ATTUALITA'

Stefanon Torossi

Gaetano Donizetti 1797-1848

immagine
Troppe opere, troppe romanze, troppi quartetti, troppo di corsa, troppa musica! E non sempre capolavori. Tanto è vero che a un certo punto cominciano a chiamarlo “Dozzinetti”.
La fretta; il fatto è che ha sempre fretta, specialmente negli ultimi anni. Il Don Pasquale lo scrive in dieci giorni; la Maria di Rohan in otto. Corre a Vienna, lascia Napoli, si catapulta a Parigi. E’ come se sapesse che il suo tempo sta per finire. E infatti, dopo una serie di emicranie e febbroni, si avvia inesorabilmente verso la pazzia. Ha contratto quella che è la maledizione più comune per coloro che all’epoca facevano vita sregolata: la sifilide.
La crisi finale lo prende a Parigi nel 1846. Prima i medici lo dichiarano incapace di intendere e di volere, poi, con la complicità del nipote che gli fa credere si tratti di un albergo, lo ricoverano nell’Istituto per malati di mente dove rimane un anno e mezzo passando da stati di delirio a momenti di disperazione.
Finalmente l’intervento di amici influenti riesce a fare annullare il decreto di segregazione. Lo tirano fuori dalla gabbia e gli permettono di tornare a Bergamo. E qui trascina gli ultimi mesi della sua vita completamente fuori di sé, fino a morire l’8 aprile del ‘48.

Gaetano nasce a Bergamo quinto di sei figli del poverissimo guardiano del Monte dei Pegni Andrea e della altrettanto miserabile tessitrice Domenica. Vivono tutti insieme ammassati in un “triste tugurio ov’ombra di luce non mai penetrò”.
A sette anni è ammesso insieme al fratello Giuseppe alle lezioni caritatevoli di musica tenute da Simon Mayr. Naturalmente è un bambino prodigio, altrimenti non ne parleremmo, e si fa notare subito, tanto è vero che il suo maestro gli procura la commissione per un’opera al teatro San Luca di Venezia.
Da questo momento comincia la galoppata. Un contratto con l’impresario Barbaja lo impegna a scrivere quattro opere l’anno: per lui, velocista della composizione, una sciocchezza. Ha anche il tempo di inventarsi una nuova disposizione degli archi nell’orchestra: a semicerchio davanti al podio.
Entra in competizione di successi con Bellini, che lui ammira profondamente, per niente ricambiato dall’altro (avrà comunque la soddisfazione, quando Vincenzo muore nel 1832, di scrivergli un bel Requiem).
Da Parigi Rossini gli commissiona un’opera per il Teatro Italiano: il Marin Faliero. Diventa direttore artistico del Teatro San Carlo di Napoli, dove vedono la prima esecuzione ben diciassette opere sue, fra cui, con grandissimo successo, la Lucia di Lammermoor, scritta in trentasei giorni (ecco di nuovo la sua fretta). In questo periodo muoiono suo padre, sua madre e la sua seconda figlia, seguiti in un funereo corteo dalla terza figlia e dalla moglie “Senza padre, senza madre, senza figli, per chi lavoro dunque? Tutto, tutto ho perduto”. Ma intanto continua a comporre, a mettere inscena, ad avere successo.
Lascia Napoli e si precipita a Parigi dove il suo trionfo diventa immenso e internazionale, anche se all’amico Tommaso Persico scrive: “Immaginati come sto io, che soffro di nervi orribilmente. Oh se sapessi cosa si soffre qui per montare un’opera. Gl’intrighi, le inimicizie, il giornalismo, la direzione…auff!”, ma rimane e va avanti, sempre di corsa. E corre, corre, corre…
Nel 1875 riesumano la sua salma, ma il cranio non si trova. Si investiga fra gli otto medici che avevano effettuato l’autopsia e si scopre il reperto presso il nipote ed erede di uno di loro. Dopo vari giri, la preziosa reliquia è ricollocata nella tomba e fino a questo momento è ancora lì.
La storia di Gaetano ha una ramificazione curiosa in quella di suo fratello maggiore Giuseppe. Il quale, musicalmente dotato come lui, nel 1808 si arruola nell’esercito di Napoleone e lo segue in tutte le sue campagne fino a Waterloo.
Napoleone fuori combattimento, torna in Italia, entra nell’esercito piemontese e diventa direttore della banda musicale del reggimento di Casale, poi si sposta a Genova e lì, non sappiano come e perché, dal Sultano turco Mahmud II riceve la nomina a “Istruttore Generale delle Musiche Imperiali Ottomane”. Parte per Istambul e appena arrivato si trova a capo della banda imperiale Mizikay-Humayun.
E qui comincia la sua fantasmagorica e trionfale cavalcata come istruttore, compositore, direttore e soprattutto innovatore perché riesce a rivoluzionare la struttura musicale dell’Impero Ottomano, facendo adottare la notazione e i ritmi occidentali e organizzando nei teatri della capitale una nutrita stagione musicale con un ricco cartellone di opere italiane, fra cui parecchie del fratellino.
E, diversamente dalla tragica fine di Gaetano, anche lui a un certo punto muore, ma dopo aver vissuto in piena salute una lunga, felice, e ricca esistenza in Turchia.






CERCA

NEWS

RECENSIONI

ATTUALITA'

CINEMA E MUSICA

RACCONTI

SEGUICI SU

facebookyoutube