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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Daniele Bortoletti

Porto delle scimmie

Halley Editrice, Pag. 167 Euro 11,00
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Questo libro è accompagnato da una postfazione (di Francesco Trento). Utilissima (per me) siccome chiarisce l'ambiente intellettuale e tecnico nel quale il testo ha matrice - e che m'è estraneo, dunque davvero non avrei saputo evocarlo. In origine studio sulle istituzioni totali, si trasforma in narrazione sotto l'egida di Renè Daumal (il "porto delle scimmie" viene da lui, complice Burroughs), e chiamando in causa James Hillman, Jung, Platone - e la buonanima di Milgram, lo psicologo che indagò, con un celeberrimo esperimento qui ricreato nel cap. XIV, quell'ubbidienza che non era più "una virtù", ma "la più subdola delle tentazioni" (don Milani. Chi volesse saperne di più, legga S. Milgram, Obbedienza all'autorità, Einaudi, Torino 2003). La scrittura è densa, come certa pittura bituminosa ove s'ultracaricano i tratti per risaltarli su una campitura già gravida, e viene detta "pornografica" - "lo sguardo psicologico, lo sguardo pornografico" (p. 128) - "nel senso di esatta, concreta". (p. 167) In un'età in cui quelli che mettono due righe a stampa si affrettano a edulcorare, precisare, aggiustare, bowdlerizzare, insomma castrare ogni riferimento a quell'arte cospicua dell'attività umana che consiste nello sboràrghe sóra (Giorgio Baffo) questo è un titolo di credito. A chi legge, la sfacciataggine psicofisica dell'Autore fa tornare in mente il Belli e le sue "rozze e primitive vedute (...) che grandeggiano contro cielo in un favoloso gigantismo che potrebbe anche essere il segreto di una prospettiva dal basso: non dal coturno e dallo zoccolo, ma addirittura da terra, dove posano i piedi scalzi del mimo". (Giorgio Vigolo, in G. G. Belli, Er giorno der giudizzio, Mondadori, Milano 1982, p. 7) E ricordiamo Sade, e l' "homme couteau" di Duvert: (p. 62) ovvero la critica della normalità fatta attraverso le categorie (estenuate, sia pure) della normalità. E' il circolo vizioso per cui l'istituzionalizzato non può vivere senza l'istituzione, ed essa non può esistere senza il vizio che è preposta ad estirpare. (pp. 60-62 - e "Marat-Sade'"?)

L' istituzione "totale" che l'Autore raffigura, è un collegio militare - una partenopea "Castelluccia" - per ragazzi almeno sedicenni. In Italia - a mia conoscenza - sono rarissimi i testi di qualche valore che tràttino dell'argomento (prescindendo dal grottesco del collegio Pierpaolo Pierpaoli di Vamba, e dal patetico-documentario di Sciuscià); mentre all'estero è copiosa e di qualità la letteratura d'ambiente collegio-reggimentale: per non parlare di Dickens, del Kipling di bah bah black sheep! e di Orwell, di Tom Brown's schooldays e di Another country, si potrebbero citare Musil e Törless, (e il film di Fassbinder) Walser e Jakob von Gunten, Sotto la ruota di quel fregnone di Hesse, La città e i cani di MarioVargas Llosa (pellicola di Francisco J. Lombardi) e il convincente e sentito Allons z'enfants di Yves Gibeau (e film di Va-t-enalepechér), e lo statunitense Taps, (da un romanzo, The siege of Bunker Hill, di tal Devery Freeman) tradotto in film da Harold Becker, schierandovi esordienti di prima classe - Sean Penn, Tom Cruise, Timothy Hutton - e un George C. Scott da oscar.

L'insolito soggetto infonde valore letterario allo scritto, dàndogli il peso che ebbe, trattando casi analoghi e diversi con diversa voce, Un ragazzo all'inferno dell'Appignani (sì! Cavallo Pazzo!): ma, come accennato, l'Autore ha trasfuso nella narrativa una competenza parallela, il che ci porterebbe a segnalare e seguire questa, e a esaurirci nel discutere l'interazione fra il vissuto tecnico autoriale e la materia letteraria (ramo collaterale e specialistico dell'inesausta discussione arte-vita), se non fosse che a p. 55 s'incontra dire "l'amore, se ne è reso conto le rare volte che lo ha visto pulsare sulle tempie di una preda, è un sentimento che trova la propria matrice nel terrore profondo: chi smette di incutere paura perde anche la possibilità di essere amato". Questo ci pare il tessuto pulsante del testo: l'uomo senza autorità, senza potere, senza comando, può innamorare di sé? La distruttiva educazione istituzionale, insomma, è l'unica educazione sentimentale (anche relativamente depurata dal sesso, come nei rapporti familiari, nella "ragnatela delle madri", (p. 24) nei "padri di pietra" (p. 59)) possibile qui e ora? Ci si può innamorare, insomma, di chi sarebbe incapace e impotente a schiacciarci? O del trans Yulon, (Bevilacqua direbbe: "estatico Yulon"?) essere che fa sentire "finalmente sotto una donna che dà sicurezza, (...) finalmente dentro un uomo non più indifferente e violento"? (p. 36) Ci si può innamorare di quella parte di sé più debole, meno guappa - e vivere? Si può amare al di fuori dell'istituzione, di quell'istituzione che è l'amore? Si può vivere l'un contro l'altro amati?

Le eventuali risposte sarebbero, nel caso, d'un'altezza che né questo, né altri luoghi se non eccelsi, potrebbero fornire. E' il fato di tanti testi, pure ben congegnati: sollecitare questioni che non possono venir solute che altrove. E forse è il loro pregio.



di Marco Lanzòl


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