Tasti di scelta rapida del sito: Menu principale | Corpo della pagina

Il Paradiso degli Orchi
Home » Recensioni » Puzzle di tre

Pagina dei contenuti


RECENSIONI

Gian Conti

Puzzle di tre

Nicolodi, Pag. 431 Euro 14,00
immagine
Com'è un "bel brutto libro"? Così: come quest'operina lunga di Gian Conti. Con i pregi e i difetti che si dànno in una grafìa talvolta incontrollata, e allora troppo sicura di sé. Buona per i cultori d'una narrativa sul modello, però di qualche grado inferiore, d'ella d'un Farinetti: lussuosa negli ambienti, curata nei dettagli, dalle psicologie fustellate, ma godibili infine. E organizzata su un plot che non sfigurerebbe come sceneggiatura d'una buona miniserie tv.

Quello dell'Autore - nella manchette si rappella di lui che fu dirigente d'industria, indi restauratore di strumenti musicali - è un modo di scrivere che non dà sorprese: si trova la qualunque al posto giusto. C'è un Matteo brianzolo, per dire (p. 25): il quale non può che avere una corporatura sana e robusta (come si dà nei certificati, detti appunto di sana e robusta costituzione fisica), ed è un gran lavoratore, simpatico e cordiale, anche se poco fantasioso - ma va'! E a p. 27 viene messa in scena una coppia, bella ed elegante (e come, se no?): lei yuppie "dagli occhi verdi e caldi", (1) lui opzionato "Marlon Brando". Ancora; a p. 62 lei "sgranò le lanterne verdi": una frase che renderebbe orgoglioso qualsiasi sceneggiatore di Un posto al sole - vedi anche i dialoghi francamente televisivi di p. 69. E gli scambi verbali alla "come parli, frate?": soggetto, verbo, complementi, e frasi quali "non evacua segatura di tarli" (p. 29) - in un testo che si pretenderebbe sciolto e fresco, in particolare quando aspira ad essere spregiudicato nei fatti della vita. Per non dire che - essendo il romanzo ambientato su due piani temporali, il '700 e il fine '900 - i personaggi delle due epoche parlano, pensano e agiscono nella stessa maniera (vedi pp. 197, 420).

Infine, il tono dell'enunciazione è "la mia vita è un romanzo": intralcio nella stragrande maggioranza dei casi, e vantaggio in alcuni. Se del poeta è il fin la meraviglia, bisogna dire che Gian Conti (nelle sue pagine il vezzo di ripetere nomi e cognomi dei personaggi nei dialoghi è ulteriore indice di scrittura cinetelevisionarda) riesce a meravigliare il suo avventore per le tante evenienze del suo scritto - fosse stato americano, avrebbe potuto aspirare ad un successo da Codice Da Vinci, e lo affermo senza ironia. Poiché la storia fila, e la materia c'è. Intendo l'incrociarsi di situazioni che conducono il Lettore senza sforzo da una pagina alla successiva, e quell'insieme di dati, nozioni e dimostrate competenze che arricchiscono un testo, sollevandolo dall'anonimato. Dove gli oggetti non sono mai "il coso e la cosa", e non perché abbiano il marchio o l'etichetta, bensì qualificandoli tramite uno stile e una fisionomia che li rende funzionali in genere a caratterizzarli, e, nei casi più fortunati, a caratterizzare la narrazione. Il Nostro, ch'ha lo spirito del Fusco minore, (2) invoglia il Lettore a seguirlo con una tecnica da cantastorie, moltiplicando gli effetti mediante una pluralità di semplicismi, con una condotta delle parti da "grossi" haendeliani, o di Locatelli e Geminiani. E' il principio (l'ho adombrato) della narrativa popolare statunitense, di cui E.R. è un succoso sperimento: trame semplici, protagonisti abbozzati, e dominio approfondito della documentazione. Non ricordo dove l'ho letto (forse in Beniamino Placido), ma un assiduo della rivista Selezione dal Readers' Digest - ovvero "selezione da selezione" - dava come pregio delle sue frequentazioni il fatto che, sfogliando un romanzo compulsato che trattava, vedi caso, d'un policlinico, poteva apprendere, divertendosi coi casi umani del personale e dei pazienti, la vita d'un grande spedale. Utile e dilettevole. Senza contare che, assieme ad una condotta delle voci soddisfacente, l'Autore offre talvolta delle notevoli prove di ritmo e d'inventiva: bella e possibile è la scena del cane alle pp. 260-2, mentre l'insistenza (pp. 175, 328 e 382) sulla falsità delle accuse più gravi al solo fine d'incastrare meglio uno dei deuteragonisti, conferma la linea di eclettica scioltezza eletta dall'Autore nel suo rubricare. Pare invece oltremodo mal risolta e fumettistica la soluzione del romanzo - e sinceramente dispiace, siccome s'intravede nel Nostro una simpatica, colloquiale, disinibita vena di raccontatore pop, o di sceneggiatore Raiset.



1) doppia aggettivazione di stampo tamariano, cfr. Penna Rossa, Pornografia del cuore, Kaos edizioni, Milano 1998;

2) mi riferisco (mi riF(er)usco?) a In viaggio con Bubù (Sellerio, Palermo), e alle storie "marsigliesi";



di Giulio Lascàris


icona
Mangiabile

CERCA

NEWS

RECENSIONI

ATTUALITA'

CINEMA E MUSICA

RACCONTI

SEGUICI SU

facebookyoutube