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Il Paradiso degli Orchi
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Stefano Torossi

Raccapricci storici

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Appia Antica. La notizia: Nuovo direttore, nuovi progetti, nuove promesse. Titolone sul giornale: “Per l’Appia soldi e fantasia”. Noi la percorriamo spesso sulle due ruote rischiando la pelle per via del traffico da tangenziale e compiangiamo i temerari turisti che ci si avventurano a piedi strisciando lungo i muri come malfattori. Non osiamo immaginare cosa possono pensare di una città che ha la più bella strada del mondo, piazzata in quello che potrebbe essere il più bel parco archeologico del mondo e invece l’ha abbandonata e la lascia usare come una pista di scorrimento veloce, malgrado i basoli romani, dai quali noi ci auguriamo malignamente danni alle sospensioni delle auto insensibili alla bellezza del luogo.

C’è un elemento che ancora racconta la vita passata di queste pietre ormai morte. I solchi delle ruote dei carri che per secoli hanno girato avanti e indietro sempre sugli stessi percorsi lasciando la loro cicatrice. Chi è stato a Pompei si sarà reso conto che non c’è niente che faccia pensare alla vita improvvisamente sospesa di questa città più dei solchi che segnano strade e vicoli. Se poi a uno non va di fare il viaggio, bastava, fino a poco tempo fa, affacciarsi sugli ultimi metri sopravvissuti del selciato originale dell’Appia

A questo proposito siamo costretti, nell’ennesima giornata come oggi, di un autunno che non ha ancora capito che è primavera inoltrata, a descriverne una ben diversa dell’estate di qualche anno fa. Appia Antica. Solito sole a piombo, solite cicale, solito profumo di pini; naturalmente nessuno in circolazione tranne noi. Verso il quarto miglio, una squadra di operai, con il classico fazzoletto annodato in testa, e un piccolo escavatore meccanico. Cosa facevano? Un cartello ce lo ha spiegato: “Recupero e ricollocazione in quota del basolato romano originale”. Nobile iniziativa, abbiamo pensato, e ci siamo fermati a guardare i braccianti sudati, perfetti per un film neorealista italiano, solo che tutti parlavano rumeno.

Forse un operaio dell’Est non è culturalmente portato a sottigliezze sul significato dei solchi sul basolato, forse nessun sovrintendente aveva pensato a dare le relative istruzioni, fatto sta che i pietroni venivano estratti dalla terra, ripuliti e ricollocati su un nuovo letto di sabbia, ma così, come capitava. Nel tratto già sistemato le pietre c’erano tutte, bene accostate, ma la disposizione casuale aveva fatto perdere completamente il racconto dei solchi. Ci immaginiamo lo sconcerto del turista curioso nel vedere quei massi consumati dall’uso e segnati da fessure puntate in mille direzioni.

“Non è affatto vero – si sarà detto – che tutte le strade portano a Roma”.

Via Alessandrina. La notizia: Ritrovata in un muretto testa marmorea imperiale di ottima fattura. Titolo sul giornale: “E così ho guardato Dioniso negli occhi”.

Alla Centrale Montemartini, un museo di scultura romana molto particolare, c’è una sala di statue, una più bella dell’altra, ritrovate a pezzi, usate nel medio evo (esattamente come questa che è finita sul giornale) come volgare materiale di riempimento per i muretti del giardino di Villa Rivaldi, sulla Velia, accanto al Colosseo.

E’ davvero dolorose pensare che gli animali che abitavano la Roma del medioevo, perché definirli umani è troppo, abbrutiti dall’ignoranza, dalla miseria, dalla violenza (e, lasciatecelo aggiungere, dal fanatismo cristiano che aborriva qualsiasi forma di bellezza classica), non si rendessero neanche conto di cosa stavano facendo.

Quindi, evviva se ancora troviamo qualche frammento del passato, ma che dolore per tutto quello che di sicuro abbiamo perso.



Villa Lante al Gianicolo. La notizia: Convegno di studi sulle voci degli evirati cantori nella musica barocca. L’invito: “24 maggio. Mito, storia e sogno di Farinelli”.

Il luogo è uno dei più belli di Roma, con una loggia il cui panorama non ha bisogno di descrizioni. I partecipanti alla tavola rotonda, coordinati da Flavio Colusso, Maestro di Cappella di Santa Maria dell’Anima, sono un gruppo eletto di esperti nel ramo e di interpreti che eseguono oggi (rigorosamente senza interventi chirurgici) il repertorio dei castrati famosi dell’epoca, come, appunto, Carlo Broschi, detto Farinelli.

Si è discusso sull’opportunità per gli interpreti moderni di chiamarsi controtenori o sopranisti o contraltisti (senza poi arrivare a una conclusione), si è raccontato come il Re Sole fosse contrario all’uso dei castrati nell’opera, ma non nella Chapelle Royale, si è appurato che la castrazione dei ragazzi, pratica ipocritamente biasimata, ma sotto sotto tollerata dalla Chiesa, era praticata quasi esclusivamente in Italia, anzi nell’Italia meridionale e anzi, e qui la storia si fa decisamente raccapricciante, soprattutto nella città di Norcia, dove c’era un’ampia scelta di operatori del ramo che davano buone garanzie di successo nell’intervento, avendo fatto solida pratica (da cui la fama dei norcini del posto) sui giovani maiali.

Poi c’è stato un delizioso concerto di eleganze barocche che ha riportato nelle alte sfere i nostri spiriti momentaneamente, come dire, abbacchiati.




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