RECENSIONI
Marco Bosonetto
Requiem per un'adolescenza prolungata
Meridiano Zero, Pag. 124 Euro 10,00
Come cambiano i tempi, e come cambiano i concetti! Di Candido Neve (ça va sans dire), il protagonista, ad un certo punto del romanzo si dice: Una persona cui l'iniquità dei tempi e della società negava un reddito decente, un individuo che anziché piegarsi al pensiero unico che lo voleva incatenato a un'occupazione sottopagata qualsiasi proseguiva la sua ricerca, rifiutandosi di spegnere la coscienza critica.
Nel '68 uno così sarebbe stato almeno un pallido rivoluzionario, un contestatore, anche un figlio di papà borghese, insomma uno di quelli che stavano sulle palle a Pasolini, che si scontravano coi poliziotti, ma solo i poliziotti erano figli di gente umile (aho, sono concetti espressi dal Pierpaolo...).
Ora è etichettato come bamboccione, secondo una definizione dell'ex ministro Padoa Schioppa, che raccoglie un po' il sentire della sociologia e, indefinitiva, del nostro essere italiani.
Lungi da noi la polemica politica (ci basta aver subìto la più brutta campagna elettorale da quando andiamo a votare e la più vuota di contenuti), pretendiamo solo un aggiustamento da un punto di vista linguistico. Bamboccione: accrescitivo da bamboccio, uomo goffo, immaturo, irresoluto, privo di carattere (da Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana).
Al di là di un idem sentire (come direbbe Bossi) popolare che raccoglie banalità ed una sorta di resistenza generazionale, il Candido del romanzo non ci sembra così. Un po'addormentato sulle gambe lo è – non sarebbe mai uno sprinter, al massimo un passista – ma è anche preparato culturalmente. Cita a memoria interi passi de Il maestro e Margherita di Bulgakov, che, mi si permetta un altro raffronto col '68, specimen ben più cazzuto e letterariamente valido dell'allora blocco russo e cinese che alla visionarietà preferiva l'ideologia di stato.
Sbattuto fuori di casa dalla polizia che attua rigorosamente la Campagna per lo Sradicamento dell'Adolescenza Prolungata (siamo nell'Italia del 2013, ma tempo davvero fittizio), il Candido deve arrabattarsi per riuscire a vivere e a sopravvivere.
Inutile raccontar la trama: il libro va letto, pensiamo noi, non per trovarvi riscontri o divertirsi – per carità lecito fare sia una cosa che l'altra, ma sarebbe come porsi di fronte alla realtà in modo superficiale e poi fotografarla con la vecchia Polaroid: insomma ricavarne una sbiadita rappresentazione - ma per ridefinire concettualmente l'età dell'innocenza. Che non è quella che separa la giovinezza dalla maturità, ma quella che nei giorni nostri, deve intendersi come resistenza ad una società unicamente di mercato.
Candido ha la mia solidarietà e non solo: nella sua ingenua indeterminatezza sa anche reinventarsi (leggera la scena dell'iniziazione) un ruolo. Che è di fantasia. Una volta si diceva che la fantasia doveva andare al potere. Si esagerò, perché ci arrivò qualcos'altro di più violento.
Candido non è brutale, anzi, e come il suo omonimo voltairiano, prende solo atto che non si vive nel migliore dei mondi possibili. E per questo ci è simpatico.
di Alfredo Ronci
Nel '68 uno così sarebbe stato almeno un pallido rivoluzionario, un contestatore, anche un figlio di papà borghese, insomma uno di quelli che stavano sulle palle a Pasolini, che si scontravano coi poliziotti, ma solo i poliziotti erano figli di gente umile (aho, sono concetti espressi dal Pierpaolo...).
Ora è etichettato come bamboccione, secondo una definizione dell'ex ministro Padoa Schioppa, che raccoglie un po' il sentire della sociologia e, indefinitiva, del nostro essere italiani.
Lungi da noi la polemica politica (ci basta aver subìto la più brutta campagna elettorale da quando andiamo a votare e la più vuota di contenuti), pretendiamo solo un aggiustamento da un punto di vista linguistico. Bamboccione: accrescitivo da bamboccio, uomo goffo, immaturo, irresoluto, privo di carattere (da Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana).
Al di là di un idem sentire (come direbbe Bossi) popolare che raccoglie banalità ed una sorta di resistenza generazionale, il Candido del romanzo non ci sembra così. Un po'addormentato sulle gambe lo è – non sarebbe mai uno sprinter, al massimo un passista – ma è anche preparato culturalmente. Cita a memoria interi passi de Il maestro e Margherita di Bulgakov, che, mi si permetta un altro raffronto col '68, specimen ben più cazzuto e letterariamente valido dell'allora blocco russo e cinese che alla visionarietà preferiva l'ideologia di stato.
Sbattuto fuori di casa dalla polizia che attua rigorosamente la Campagna per lo Sradicamento dell'Adolescenza Prolungata (siamo nell'Italia del 2013, ma tempo davvero fittizio), il Candido deve arrabattarsi per riuscire a vivere e a sopravvivere.
Inutile raccontar la trama: il libro va letto, pensiamo noi, non per trovarvi riscontri o divertirsi – per carità lecito fare sia una cosa che l'altra, ma sarebbe come porsi di fronte alla realtà in modo superficiale e poi fotografarla con la vecchia Polaroid: insomma ricavarne una sbiadita rappresentazione - ma per ridefinire concettualmente l'età dell'innocenza. Che non è quella che separa la giovinezza dalla maturità, ma quella che nei giorni nostri, deve intendersi come resistenza ad una società unicamente di mercato.
Candido ha la mia solidarietà e non solo: nella sua ingenua indeterminatezza sa anche reinventarsi (leggera la scena dell'iniziazione) un ruolo. Che è di fantasia. Una volta si diceva che la fantasia doveva andare al potere. Si esagerò, perché ci arrivò qualcos'altro di più violento.
Candido non è brutale, anzi, e come il suo omonimo voltairiano, prende solo atto che non si vive nel migliore dei mondi possibili. E per questo ci è simpatico.
di Alfredo Ronci
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