RECENSIONI
Amara Lakhous
Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio
E/O, Pag. 190 Euro 12,00
Con un omaggio al nostro Gadda, lo scrittore algerino continua il suo percorso interculturale. Il romanzo, già pubblicato in Algeri con il titolo "Come farti allattare dalla lupa senza che ti morda" e ora riscritto in italiano e pubblicato a Roma, si apre su uno spaccato di piazza Vittorio vivacemente multietnico. Il racconto a più voci mette bene in evidenza la pluralità dei punti di vista e la persistenza dei pregiudizi, attraverso cui si compone una visione della realtà mai univoca.
Si parte da un omicidio, che è però solo un pretesto per azionare la molla di questo presepe vivente. I nativi del quartiere si mescolano agli immigrati interni, come la portiera napoletana, e a quelli che vengono da lontano. Il più diffuso pre-giudizio è quello che ci fa attribuire a ciascuno un'ipotetica terra d'origine in base a qualche caratteristica arbitrariamente assunta ad indizio. Così Parviz l'iraniano è etichettato come albanese dalla portiera, la stessa che attribuisce a Maria Cristina, la colf peruviana, nazionalità filippina. Amedeo, invece, è considerato italiano da tutti, ma il segreto delle sue origini verrà fuori pian piano, insieme ai ricordi di un passato drammatico.
La vicinanza non sempre basta a correggere i pregiudizi, anzi a volte li esaspera, perché per esempio la sparizione di un cane diventa la prova lampante delle pessime abitudini gastronomiche dei cinesi, mentre uno che legge i quotidiani ha automaticamente la patente di cittadino italiano, dal momento che gli immigrati, si sa, leggono solamente "Porta Portese". E' una babele dove il senso delle parole si stravolge in una sfaccettatura di significati arbitrari, di equivoci che si auto alimentano in un moto perpetuo, generando più confusione che comunicazione. Poi, appena si gratta un po' la superficie di questo colorato teatrino, trapelano le ferite di un'umanità dolente, sulle cui spalle gravano storie di insopportabile peso.
E' un romanzo agile, gradevole e ricco di spunti. Certamente vi giocano emozioni sincere. E' però penalizzato dal limite di un intento didascalico che lo fa supporre studiato a tavolino come un abile puzzle. L'effervescenza creativa ne risulta in parte smorzata.
di Giovanna Repetto
Si parte da un omicidio, che è però solo un pretesto per azionare la molla di questo presepe vivente. I nativi del quartiere si mescolano agli immigrati interni, come la portiera napoletana, e a quelli che vengono da lontano. Il più diffuso pre-giudizio è quello che ci fa attribuire a ciascuno un'ipotetica terra d'origine in base a qualche caratteristica arbitrariamente assunta ad indizio. Così Parviz l'iraniano è etichettato come albanese dalla portiera, la stessa che attribuisce a Maria Cristina, la colf peruviana, nazionalità filippina. Amedeo, invece, è considerato italiano da tutti, ma il segreto delle sue origini verrà fuori pian piano, insieme ai ricordi di un passato drammatico.
La vicinanza non sempre basta a correggere i pregiudizi, anzi a volte li esaspera, perché per esempio la sparizione di un cane diventa la prova lampante delle pessime abitudini gastronomiche dei cinesi, mentre uno che legge i quotidiani ha automaticamente la patente di cittadino italiano, dal momento che gli immigrati, si sa, leggono solamente "Porta Portese". E' una babele dove il senso delle parole si stravolge in una sfaccettatura di significati arbitrari, di equivoci che si auto alimentano in un moto perpetuo, generando più confusione che comunicazione. Poi, appena si gratta un po' la superficie di questo colorato teatrino, trapelano le ferite di un'umanità dolente, sulle cui spalle gravano storie di insopportabile peso.
E' un romanzo agile, gradevole e ricco di spunti. Certamente vi giocano emozioni sincere. E' però penalizzato dal limite di un intento didascalico che lo fa supporre studiato a tavolino come un abile puzzle. L'effervescenza creativa ne risulta in parte smorzata.
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