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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Michele Pescina

Scrivi se vuoi. Ok?

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Talvolta ripenso a quelle sere d’agosto. Quando, sdraiati sul prato appena tagliato, restavamo per ore a raccontarci storie sulle stelle che sembravano brillare a intermittenza. Ci piaceva l’odore dell’erba, il rumore del karaoke del vecchio vicino stonato che prendevamo sempre in giro e la sensazione delle nostre mani intrecciate. Pensavo spesso che la maggior parte dei bagliori che vedevo fossero luci di posizione degli aerei, ma mi sbagliavo con facilità. Non ci ho mai visto bene, portavo degli occhiali con lenti spesse come fondi di bottiglia e una montatura tartarugata, già allora mi fidavo più dei tuoi occhi che dei miei.
Ora, quando fisso il soffitto della camera da letto e mi lascio invadere dai ricordi, penso a quanto eravamo spensierati, e belli. Eravamo radiosi. A volte diventavo pensieroso provando ad immaginare quali sarebbero state le mie reazioni quando tutto sarebbe finito. Credo faccia parte del possedere un sentimento così vigoroso, pensare a quando finirà intendo. Ho passato tanto di quel tempo a domandarmi perché la mia testa funzionasse così, volevo anche parlarne con te. Ma poi preferii rinunciare e godermi il momento. Eravamo alla festa di compleanno di Matt se non sbaglio, e tu avevi quegli orecchini strambi a forma di pinguino. Erano buffi, però li ricordo come se li tenessi ora nel palmo della mano, riesco a sentirne il peso. Sembravano leggeri e invece mi stupii di quanto fossero pesanti.
“L’immaginarsi di perdere qualcosa a cui teniamo è sintomo di purezza e autenticità di quel qualcosa.”. L’ho letto tempo fa su uno di quei libri con la copertina vintage, dai colori sgargianti e i caratteri strambi. Me lo ha dato il vecchio Mills, ti ricordi di lui? Credo sia vero comunque, la frase del libro e tutto ciò che c’è racchiuso dentro, sono passati due anni e mezzo, quasi tre e ancora insisto nel tenerti a galla nella mia testa. Mi piacerebbe sapere come stai, se ripensi a me, se hai finito quel quadro a cui stavi lavorando, se il rapporto con tua madre è sempre lo stesso. Però mi convinco della serietà delle circostanze che ci hanno allontanati, e sono tutte, nessuna esclusa, valide motivazioni per non vederci più.
Non so se leggerai mai queste righe, forse hai già dimenticato me, e noi. Forse sei riuscita a rifarti quella vita nuova da cui eri ossessionata e su cui abbiamo discusso notti intere. Penso spesso anche a Jen, eravamo così legati a lei. Quando mi convinco che riuscirò a trattenere la paura, vado a trovarla. Ci sono quasi sempre dei tulipani freschi. Nella sua fotografia lei sorride ancora, tu avevi scattato quella foto, eravate entrambe entusiaste del risultato di quel set. Ci avrà perdonato spero, tu cosa ne pensi? Mi manca Jen, quando incontro i suoi genitori faccio ancora fatica a salutarli senza sentirmi colpevole per quel che le è successo. Ti ricordi quanto era contenta di andare a quel falò sulla spiaggia? Aveva insistito tanto e ci convinse, tu avevi messo quel vestito che avevamo comprato da Keine’s, e io avevo quell’orrendo cappellino bianco con la visiera a becco rossa. Li ricordi anche tu questi particolari?
Comunque non ti scrivo per commemorare Jen o per dirti quanto sono malinconico quando ripenso a quel periodo. Volevo solo sapere come stavi. Il mio indirizzo è sempre lo stesso. Scrivi, se vuoi. Ok?



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