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CLASSICI

Alfredo Ronci

Sentire “animale”: “Bestie e noi” di Eva Quajotto.

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Nella collana dedicata al Novecento Italiano, nella edizione Giunti, il responsabile Enzo Siciliano dedicò, ad un certo punto, un libro scritto da Eva Quajotto. Già so la reazione dei nostri lettori: ma chi era effettivamente Eva Quajotto?
Nell’ambiente letterario, in realtà, della pittrice-scrittrice si sa poco, anche perché se si escludono alcune pagine pubblicate su Nuovi Argomenti nel 1994 e facenti parte di un romanzo che poi in effetti non è stato mai editato, il resto si risolve soltanto in questo breve romanzo (che romanzo vero e proprio nemmeno è, ma lo vedremo) che uscì nel 1950 e attirando l’attenzione di alcune teste calde della nostra intelligenza letteraria: Sibilla Aleramo, per esempio, o Emilio Cecchi.
Eva Quajotto fu in realtà una finissima pittrice: a soli ventisette anni si presenta con una personale all’Associazione artistica romana. Presto le mostre collettive e personali si moltiplicano, i suoi quadri vengono acquistati dalla Galleria d’arte moderna e in più partecipa alla ventesima mostra internazionale di Venezia. Non solo, nel suo ambito è assolutamente rispettabile e in più vanta amicizie molto particolari in ambiente letterario: Alvaro, Angioletti, Moravia.
Sono forse questi a convincerla della possibilità di scrivere qualcosa di prezioso ed intimo? Non si sa. Però lei tenta la strada della letteratura, anche se nelle forme un po’ particolari.
Come abbiamo detto Bestie e noi uscì nel 1950 (con aggiunte successive), anche se in realtà alcune cose risalgono a tempi precedenti. Ed è la storia (chiamiamola così) dell’immenso amore della Quajotto per gli animali e della loro particolarità di adattarsi agli umani.
Però c’è un ma, e questo ma è costituito dal personaggio che, in veste di raccontatore, ci elenca tutta una serie di situazioni e di avvenimenti e che, forse per una sorta di timidezza e ritrosia della scrittrice non è la Quajotto, ma Jusfet, angelo stalliere. Ma il fatto e abbastanza raro in qualsiasi caso di narrativa autobiografica, è che la protagonista per un salto di fantasia traduce un documento autobiografico in racconto spostando il soggetto da lei stessa – Eva, la vera protagonista – a un personaggio d’invenzione, il fedele stalliere o fattore, attraverso il quale la scrittrice può liberamente accedere al mondo degli animali con la semplicità non acculturata del suo protagonista e le permette una identificazione che non è solo di sentimenti e di reazioni ma frutto di stile.
E’ Francesca Sanvitale, la prefatrice del libro comparso anni più tardi  per Giunti, che ci accompagna con sentimento e con il dovuto tatto alla scoperta di questa scrittrice invisibile. Dico invisibile perché in tutto quello che scrive (o cerca di scrivere, perché il linguaggio che usa, è assolutamente relativo al personaggio che lei ha deciso di portare avanti) c’è una predisposizione al naturale (addirittura, trasforma il suo raccontatore in un sorta di “cavaliere dei sentimenti” … Quando la padrona mi chiamò al suo servizio per via della bambina, lascio allora i miei di famiglia e le stalle e sento una gran nostalgia ma per un poco di tempo soltanto perché poi m’affeziono ai padroni che mi pare che sono loro la mia famiglia) che riesce poi alla fine a coinvolgere il lettore.
In questi brevi racconti ci sono un sacco di animali, ovviamente quegli animali che vivono o possono vivere in un ambiente a loro dedicato: cavalli, mucche, cani, gatti, oche, colombe, maiali (c’è pure un orso, ma è una storia tutta da considerare) e ci sono anche i topi… Io che la credevo morta già da tante ore, so che la sorcetta non ha voluto morire senza rivedere la sua padrona, e quando l’ha riveduta (come la guardava Dio mio; e pare che le dicesse, perché mi hai abbandonato?) s’è lasciata morire, pareva che trattenesse nei suoi piccoli pugni chiusi ancora ancora un filo della sua vita, ma poi li ha schiusi i piccoli pugni e la vita s’è sfuggita via. Con queste vostre bestie, ci dicevano i genitori di Eva, avete sempre dei dispiaceri. E’ vero, rispondevamo noi, è vero, ma non sapevamo star senza bestie intorno a noi, proprio non sapevamo starci.
E’ un mondo, quello della Quajotto, che sembra addirittura sfidare le leggi della natura, ma è assolutamente vero che nelle vicende da lei raccontate c’è una esperienza così rara da lasciar quasi tramortito il lettore.
Sono passati decenni e decenni e il silenzio ha ricoperto Bestie e noi. Trovare Eva Quajotto come scrittrice è assolutamente raro (su Internet non c’è mai il silenzio, ma quello che ne esce fuori è di una portata sconvolgente). Lascerà un romanzo rimasto inedito, Delfina, che nessuno, per ovvi motivi, ha mai letto. Peccato.



L’edizione da noi considerata è:

Eva Quajotto
Bestie e noi
Mediterranea



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