DE FALSU CREDITU
Adrian Levis
Sushi, mon amour!
Nottus Editore, Pag. 350 Euro 17.00![immagine](uploads/tx_orchidata/falsi_42_fotoprincipale.jpg)
Parafrasando il celebre film di Alain Resnais, il romanzo non è assolutamente una storia d'amore, ma uno dei più raccapriccianti esempi di serial-killeraggio che la letteratura noir statunitense abbia potuto partorire.
L'autore, di origine ebrea – lo si intuisce perfettamente dal cognome – confessa in un'intervista come i racconti delle persecuzioni e dello sterminio nei campi di concentramento nazista abbiano prodotto nella sua psiche quello che gli psicanalisti, soprattutto freudiani, chiamano "elaborazione secondaria" cioè il rimaneggiamento del sogno, e in questo caso degli incubi – aggiungiamo noi – destinato a presentarlo sotto forma di una trama relativamente coerente e comprensibile.
Dunque l'orrore che in qualche modo si presenta quasi reale.
Sushi, mon amour! Non è il suo primo noir, ma le precedenti storie, divise un po' tra la tradizione del giallo inglese con finale a sorpresa e la deriva splatter e sanguinolenta alla Tarantino – pensiamo soprattutto a Let'go (pubblicato in Italia da Mondadori col titolo – e dio solo lo sa – Fatti più in là) presentavano un autore solo fino ad un certo punto audace ed eccessivo.
Qui, in queste trecentocinquanta pagine gravide di sangue, Levis abbatte ogni sorta di ostacolo e presenta una storia agghiacciante e oseremmo dire, fuori da qualsiasi canone di genere.
Chi pensava che il fenomeno del serial-killer fosse ormai sorpassato e demodè - soprattutto dopo i fasti di qualche tempo fa dovuti ai grandi del noir soprattutto statunitense, Harris, Deaver, ma anche il francese Chattam - dovrà ricredersi. Nelson Riddle, il pluriomicida protagonista del libro di Levis, passerà alla storia letteraria e nera come uno dei più efferati ed immorali assassini del nuovo secolo. Colui il quale, attraverso la capacità di ogni parte del proprio corpo di essere fonte di eccitazione sessuale, cioè di comportarsi come zona erogena (anche qui Levis ricorre, non sappiamo se volutamente o no, alla psicanalisi. Il fenomeno in questione infatti viene definito dagli esperti come "Erogenicità"), compie delitti inenarrabili, conditi (e mi si passi il termine, adattissimo alla circostanza) con la più sfrenata e sanguinaria voglia di riscatto.
Il sushi infatti è la pietanza attraverso la quale il "mostro" realizza il suo affrancamento. In pratica: uccide le sue vittime, uomini o donne indifferentemente, anche se con una leggera predilezione per individui giovani e atletici e poi le da in pasto agli avventori di un ristorante giapponese.
Non voglio aggiungere altro per non togliere la sorpresa ai lettori (che sono già milioni, solo negli Usa il libro ha superato la soglia delle sei milioni di copie). Mi preme sottolineare però la presenza di un altro personaggio singolare, ma "azzeccato", quella dell'ispettore Raymond Dick, appassionato di haute cuisine che, proprio grazie al suo palato fine, riuscirà a "decifrare" il gusto acidulo e "passato" di una pietanza e a sbrogliare la matassa apparentemente inestricabile. Insomma, pur se in tempi diversi, una sorta di Philo Vance del nuovo secolo. Ed ennesima dimostrazione dell'attaccamento di Levi anche alla tradizione anglosassone del giallo.
L'autore, di origine ebrea – lo si intuisce perfettamente dal cognome – confessa in un'intervista come i racconti delle persecuzioni e dello sterminio nei campi di concentramento nazista abbiano prodotto nella sua psiche quello che gli psicanalisti, soprattutto freudiani, chiamano "elaborazione secondaria" cioè il rimaneggiamento del sogno, e in questo caso degli incubi – aggiungiamo noi – destinato a presentarlo sotto forma di una trama relativamente coerente e comprensibile.
Dunque l'orrore che in qualche modo si presenta quasi reale.
Sushi, mon amour! Non è il suo primo noir, ma le precedenti storie, divise un po' tra la tradizione del giallo inglese con finale a sorpresa e la deriva splatter e sanguinolenta alla Tarantino – pensiamo soprattutto a Let'go (pubblicato in Italia da Mondadori col titolo – e dio solo lo sa – Fatti più in là) presentavano un autore solo fino ad un certo punto audace ed eccessivo.
Qui, in queste trecentocinquanta pagine gravide di sangue, Levis abbatte ogni sorta di ostacolo e presenta una storia agghiacciante e oseremmo dire, fuori da qualsiasi canone di genere.
Chi pensava che il fenomeno del serial-killer fosse ormai sorpassato e demodè - soprattutto dopo i fasti di qualche tempo fa dovuti ai grandi del noir soprattutto statunitense, Harris, Deaver, ma anche il francese Chattam - dovrà ricredersi. Nelson Riddle, il pluriomicida protagonista del libro di Levis, passerà alla storia letteraria e nera come uno dei più efferati ed immorali assassini del nuovo secolo. Colui il quale, attraverso la capacità di ogni parte del proprio corpo di essere fonte di eccitazione sessuale, cioè di comportarsi come zona erogena (anche qui Levis ricorre, non sappiamo se volutamente o no, alla psicanalisi. Il fenomeno in questione infatti viene definito dagli esperti come "Erogenicità"), compie delitti inenarrabili, conditi (e mi si passi il termine, adattissimo alla circostanza) con la più sfrenata e sanguinaria voglia di riscatto.
Il sushi infatti è la pietanza attraverso la quale il "mostro" realizza il suo affrancamento. In pratica: uccide le sue vittime, uomini o donne indifferentemente, anche se con una leggera predilezione per individui giovani e atletici e poi le da in pasto agli avventori di un ristorante giapponese.
Non voglio aggiungere altro per non togliere la sorpresa ai lettori (che sono già milioni, solo negli Usa il libro ha superato la soglia delle sei milioni di copie). Mi preme sottolineare però la presenza di un altro personaggio singolare, ma "azzeccato", quella dell'ispettore Raymond Dick, appassionato di haute cuisine che, proprio grazie al suo palato fine, riuscirà a "decifrare" il gusto acidulo e "passato" di una pietanza e a sbrogliare la matassa apparentemente inestricabile. Insomma, pur se in tempi diversi, una sorta di Philo Vance del nuovo secolo. Ed ennesima dimostrazione dell'attaccamento di Levi anche alla tradizione anglosassone del giallo.
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