CLASSICI
Alfredo Ronci
Tra istinto e dovere: 'Il previtocciolo' di Don Luca Asprea.

Uno dei romanzi più belli degli anni settanta, uscito per la collana 'Franchi Narratori' della Feltrinelli, inaugurata da un libro su uno psicopatico e successivamente da un diario di un omosessuale!
'Provocatorio' in qualche modo vuol essere anche questo testo su cui, però, privilegerei la natura dell'istinto a quella della sociologia o addirittura del dovere.
Illuminante a tal proposito una frase tratta dall'introduzione di Franco Cordero, riguardante il tema principale della storia (a suo e mio giudizio): la beatitudine dell'erotismo infantile dovrebbe dimostrare che il peccato non c'era prima che lo introducessero i divieti degli adulti (...) vengono a galla i relitti d'un mondo dominato dall'innocenza del sesso straripante.
Ebbene sì, la prima parte de Il previtocciolo è uno straordinario carosello di tentazioni erotiche fra bimbi, dove l'atto sessuale istintivo e libero trasforma la realtà, pur nella sensazione di un peccato in fieri in una dimensione addirittura ancestrale: Era il primissimo senso di colpa, non verso Dio, a cui non pensavamo nemmeno lontanissimamente, ma verso la gente, verso i nostri, di cui avevamo (benché non ci fosse stato nessun precedente sperimentale) paura. Paura per istinto.
Ma questa paura non impedisce ad un bambino di cinque anni di sperimentare le gioie del sesso e di confrontarsi continuamente con le 'realtà' genitali che, curiosamente, nel libro cambiano genere, perché la fica diventa 'palombello' e il cazzo diventa 'la fiora'.
Il romanzo è una continua epifania di suggestioni, di incontri, quasi di visioni, in un'atmosfera spesso meridiana che ci suggerirebbe agganci alla 'demonologia' di Roger Callois, dove l'accoppiamento, pur infantile e superficiale, può richiamare le tentazioni di un rito primigenio.
Ma stiamo parlando di una prima parte 'esplosiva' che ingloba, necessariamente, aspetti sociologici e storici: una storia che si svolge a Oppido Mamertino, in un territorio devastato in continuazione da terremoti, dove gli insediamenti cambiano a seconda delle tragedie, in una Calabria dunque primordiale fatta di polvere e fango, di urine e deiezioni, di sporcizie e di vite al limite della sussistenza umana, ad un passo dall'animalità più spontanea.
Secondo alcuni questo è l'aspetto più potente del libro: il racconto di una sorta di medievalità alle porte di un millennio che sta quasi per finire, asfissiato poi, come se ci si potesse far mancare qualcosa, da un regime, quello fascista, sempre più incistante e paradossale: Ma la gente sapeva che gli assassini erano alcuni giovani, i quali avevano giocato a bersaglio sparando Peppinello (...). Nessuno scontò la morte di Peppinello. Il Fascismo era occupato ad eliminare quelli che gli facevano ombra e non poteva badare alle sciocchezzuole.
Il previtocciolo è soprattutto un'autobiografia di un uomo difficile, che sceglie la strada più difficile, quella del seminario, combattendo aspramente contro la propria 'vocazione' libertaria (e libertina?) e le proprie sacrosante necessità istintive (bellissimo il passo quando, in procinto di diventare prete scopre, grazie ad un collega, che in alcune zone d'Italia vi sono i preti greci ortodossi che possono avere moglie e figli).
Quindi i piani di lettura son tre (a noi quella più epifanica, se vogliamo): c'è il sociologico ed archetipico, di un mondo cioè rispettoso ed obbediente non alle leggi dello Stato visti come prodotti impuri di malgoverno, ma alla religione e all'ordinamento camorristico (Luca, il protagonista, prima di entrare in seminario, accetta una sorta di iniziazione da un delinquentello del luogo, senza che questo comporti 'scontro'); c'è il religioso, dove la confessione è vista dalla popolazione come elemento indissolubilmente tradizionale e non solo (ancora dalla introduzione di Cordero: In una comunità del genere come si vive la religione? In larga misura come festa rituale senz'altra partecipazione del fedele fuorché quella provocata dal fatto scenico (...) La religione è un fatto visivo), ed è vista dal protagonista come una scelta contraddittoria, perché non riesce ad individuare una possibilità di equilibrio tra la necessità del divino e quella della carne (già chierico, si abbandona di nuovo al piacere del sesso: Ohimé! Di nuovo avevo perduto il sole della grazia. Paolina ancora mi dava ebbrezza col velluto delle sue morbide carni, delle sue sinuosità duramente molli per giovinezza, ed io mi sentivo già abbattuto, affranto di paura e di tristezza. Cosa avrei detto all'abbate Coffé?).
Vi è, come si diceva, l'epifanico terzo piano di lettura, quello a noi più gradito, quello della manifestazione dell'istinto primordiale e animalesco, che si ammanta di grazia (quella sì) e che restituisce san(t)ità alla sessualità infantile.
Per molti anni questo capolavoro della nostra letteratura ha subìto l'oblio: fortuna che, come al solito, una piccola casa editrice, Pellegrini editore, nel 2003 lo abbia ristampato e per altro con notevole successo.
A conferma che, al di là di presunte o meno provocazioni, la qualità, altissima, alla fine paga comunque.
L'edizione da noi considerata è:
Don Luca Asprea
Il previtocciolo
Franchi Narratori/Feltrinelli - 1971
'Provocatorio' in qualche modo vuol essere anche questo testo su cui, però, privilegerei la natura dell'istinto a quella della sociologia o addirittura del dovere.
Illuminante a tal proposito una frase tratta dall'introduzione di Franco Cordero, riguardante il tema principale della storia (a suo e mio giudizio): la beatitudine dell'erotismo infantile dovrebbe dimostrare che il peccato non c'era prima che lo introducessero i divieti degli adulti (...) vengono a galla i relitti d'un mondo dominato dall'innocenza del sesso straripante.
Ebbene sì, la prima parte de Il previtocciolo è uno straordinario carosello di tentazioni erotiche fra bimbi, dove l'atto sessuale istintivo e libero trasforma la realtà, pur nella sensazione di un peccato in fieri in una dimensione addirittura ancestrale: Era il primissimo senso di colpa, non verso Dio, a cui non pensavamo nemmeno lontanissimamente, ma verso la gente, verso i nostri, di cui avevamo (benché non ci fosse stato nessun precedente sperimentale) paura. Paura per istinto.
Ma questa paura non impedisce ad un bambino di cinque anni di sperimentare le gioie del sesso e di confrontarsi continuamente con le 'realtà' genitali che, curiosamente, nel libro cambiano genere, perché la fica diventa 'palombello' e il cazzo diventa 'la fiora'.
Il romanzo è una continua epifania di suggestioni, di incontri, quasi di visioni, in un'atmosfera spesso meridiana che ci suggerirebbe agganci alla 'demonologia' di Roger Callois, dove l'accoppiamento, pur infantile e superficiale, può richiamare le tentazioni di un rito primigenio.
Ma stiamo parlando di una prima parte 'esplosiva' che ingloba, necessariamente, aspetti sociologici e storici: una storia che si svolge a Oppido Mamertino, in un territorio devastato in continuazione da terremoti, dove gli insediamenti cambiano a seconda delle tragedie, in una Calabria dunque primordiale fatta di polvere e fango, di urine e deiezioni, di sporcizie e di vite al limite della sussistenza umana, ad un passo dall'animalità più spontanea.
Secondo alcuni questo è l'aspetto più potente del libro: il racconto di una sorta di medievalità alle porte di un millennio che sta quasi per finire, asfissiato poi, come se ci si potesse far mancare qualcosa, da un regime, quello fascista, sempre più incistante e paradossale: Ma la gente sapeva che gli assassini erano alcuni giovani, i quali avevano giocato a bersaglio sparando Peppinello (...). Nessuno scontò la morte di Peppinello. Il Fascismo era occupato ad eliminare quelli che gli facevano ombra e non poteva badare alle sciocchezzuole.
Il previtocciolo è soprattutto un'autobiografia di un uomo difficile, che sceglie la strada più difficile, quella del seminario, combattendo aspramente contro la propria 'vocazione' libertaria (e libertina?) e le proprie sacrosante necessità istintive (bellissimo il passo quando, in procinto di diventare prete scopre, grazie ad un collega, che in alcune zone d'Italia vi sono i preti greci ortodossi che possono avere moglie e figli).
Quindi i piani di lettura son tre (a noi quella più epifanica, se vogliamo): c'è il sociologico ed archetipico, di un mondo cioè rispettoso ed obbediente non alle leggi dello Stato visti come prodotti impuri di malgoverno, ma alla religione e all'ordinamento camorristico (Luca, il protagonista, prima di entrare in seminario, accetta una sorta di iniziazione da un delinquentello del luogo, senza che questo comporti 'scontro'); c'è il religioso, dove la confessione è vista dalla popolazione come elemento indissolubilmente tradizionale e non solo (ancora dalla introduzione di Cordero: In una comunità del genere come si vive la religione? In larga misura come festa rituale senz'altra partecipazione del fedele fuorché quella provocata dal fatto scenico (...) La religione è un fatto visivo), ed è vista dal protagonista come una scelta contraddittoria, perché non riesce ad individuare una possibilità di equilibrio tra la necessità del divino e quella della carne (già chierico, si abbandona di nuovo al piacere del sesso: Ohimé! Di nuovo avevo perduto il sole della grazia. Paolina ancora mi dava ebbrezza col velluto delle sue morbide carni, delle sue sinuosità duramente molli per giovinezza, ed io mi sentivo già abbattuto, affranto di paura e di tristezza. Cosa avrei detto all'abbate Coffé?).
Vi è, come si diceva, l'epifanico terzo piano di lettura, quello a noi più gradito, quello della manifestazione dell'istinto primordiale e animalesco, che si ammanta di grazia (quella sì) e che restituisce san(t)ità alla sessualità infantile.
Per molti anni questo capolavoro della nostra letteratura ha subìto l'oblio: fortuna che, come al solito, una piccola casa editrice, Pellegrini editore, nel 2003 lo abbia ristampato e per altro con notevole successo.
A conferma che, al di là di presunte o meno provocazioni, la qualità, altissima, alla fine paga comunque.
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Franchi Narratori/Feltrinelli - 1971
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