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Il Paradiso degli Orchi
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ATTUALITA'

Stefano Torossi

Traslochi.

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La Santa Casa
10 Maggio 1291: I Mammelucchi invadono la Palestina. C’è da salvare da quei senzadio la casetta di Giuseppe, Maria e Bambinello. Niente paura, il settore aereo della ditta “Angeli & C. - Traslochi” interviene con la consueta efficienza, e in men che non si dica, la piccola monocamera con veranda viene trasportata a Tersatto, dalle parti di Fiume. La località non dev’essere tanto per la quale, perché dopo soli tre anni, l’irrequieto domicilio emigra di nuovo in un bosco vicino a Recanati. Tranquilli? Macché. La zona risulta frequentata da ladroni e briganti. Si rende necessario un nuovo trasloco, stavolta a poca distanza, in un podere di proprietà di due fratelli, che cominciano subito a litigare per la destinazione dell’immobile: uno vuole farci il deposito attrezzi, l’altro la tavernetta. Ultima chiamata alla ditta Angeli & C. che acconsente a trasferire quella che ormai, a forza di viaggi, è diventata una fatiscente baracca; ma per l’ultima volta. Non ne possono più di clienti con le idee tanto confuse. Così la depositano in mezzo alla strada, e se ne vanno facendo perdere le proprie tracce.
I contadini della zona le arrangiano una tettoia provvisoria, poi ci costruiscono sopra una chiesetta, finché interviene il papa, e allora finalmente nasce il barocco, sontuosissimo Santuario della Madonna di Loreto.
A parte alcuni dettagli un po’, come dire, fantasiosi, è una bella storia.
Alla quale, a quanto pare, credono in molti.
Noi da quelle parti ci siamo passati, e abbiamo visto torme di fedeli, tra cui parecchi su sedie a rotelle, che, piadina alla mano, cantavano, pregavano, suonavano le inevitabili chitarre e sembravano in pace e felici di essere lì.
La stiamo prendendo alla larga per arrivare al trasloco di oggi. Dal Santuario della Madonna di Loreto al:
Venticinquesimo Festival di Musicultura
Che si manifesta, come tutti gli anni, nella terza settimana di giugno a pochi passi da Loreto, per la precisione, a Macerata, e per essere ancor più specifici, nel suo magnifico Sferisterio.
La prima metà dell’evento, quella culturale, si estrinseca nella Controra, una serie di incontri pomeridiani di poesia e letteratura in cortili e piazze della città. Informali, brevi e interessanti. Dai peggiori di noi sono vissuti anche come alibi intellettuale per un’assoluzione preventiva in vista della cerimonia che segue immediatamente: il Negroni al Bar di Piazza Mazzini. Opportunamente corroborati, qualcuno anche malfermo, si va poi per lo spettacolone allo Sferisterio, dove c’è la rutilante metà musicale.
Grande palco, grandissima platea, pubblico sterminato. Quest’anno temperature clementi, per fortuna. In passato abbiamo avuto serate da pelliccia.
Otto concorrenti, tutti piuttosto buoni. Vince meritatamente i bei ventimila euro del primo premio Dante Francani con “Tuta blu”.
Il resto delle serate è riccamente farcito di illustri ospiti, quasi tutti, tranne poche eccezioni, canuti: la Premiata Forneria Marconi, Mango, gli Area, Gino Paoli. Non ancora nonni, comunque di mezza età anche loro, Luca Carboni e Tony Esposito. Coincidenza, proprio negli stessi giorni va in scena a Roma un evento anagraficamente simile, anche questo basato su quattro rugosi lucertoloni ultrasettantenni: i Rolling Stones al Circo Massimo. Che succede, abbiamo esaurito i giovani?
C’è un momento particolare di sabato sera. La poetessa Tiziana Cera Rosco, personaggio multiforme, legge con grande padronanza della voce e bella presa sulla scena, una poesia della Szymborska, emergendo in cima a un cono di stoffa di vari metri, un sottanone da lei stessa progettato e realizzato, cospargendosi tutta di stucco. Potrebbe sembrare una trovata furba, invece è un atto sentito e pensato, secondo noi, e crediamo anche secondo il pubblico, a cui è piaciuto molto.
Torniamo indietro un momento a questo Francani, il vincitore, che è un tipo strano. Perfino sul suo nome di battesimo ci sono due scuole di pensiero: è Dante sul programma di sala, Daniele sulla stampa. Si presenta come semplice (anzi, in certi momenti, addirittura sempliciotto) operaio di un paesino in Abruzzo. Su di lui è già leggenda: dice che è stato iscritto al concorso, a sua insaputa (questo ci ricorda qualcosa?), dalla moglie. Non siamo riusciti a riconoscere la sua vera faccia fra quelle che propone. O è davvero un grande ingenuo che si offre al pubblico con la più assoluta innocenza (“non vorrei essere qui sul palco stasera…sono pronto a dividere il premio se qualcuno prende il mio posto”) o un furbissimo, superlativo attore che fa la parte dello smarrito, ma così bene da ingannare tutti e da mantenere intera la simpatia verso il suo personaggio, un metalmeccanico un po’ sfigato, sacrificato nell’arena con la sua tuta blu. Ma che importanza ha? E’ bravo, comunicativo, funziona, e in più la canzone è azzeccata. Infatti ha vinto; ed eravamo d’accordo quasi tutti.

Il viaggio di ritorno, più rustico di quello di andata fatto sulla A 24, si srotola lungo strade secondarie che attraversano l’Appennino. Ci rendiamo conto di quanto sia cambiato il panorama. Siamo abbastanza stagionati da ricordare, come cronaca, ma senza la senile nostalgia dei bei tempi andati, le distese di grano quasi maturo. In seguito abbiamo fatto l’occhio alle nuove, sterminate piantagioni di girasoli e di soia. Ultimamente quello che vediamo sempre più spesso è molto diverso. I tempi sono cambiati e i campi luccicano di specchi solari.
E’ chiaro che il contadino, che magari non avrà più le scarpe grosse, ma mantiene il cervello fino, ha capito che la coltivazione di energia rende più di quella delle graminacee.





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