Tasti di scelta rapida del sito: Menu principale | Corpo della pagina

Il Paradiso degli Orchi
Home » Recensioni » Una vita senza conseguenze

Pagina dei contenuti


RECENSIONI

Stephen Elliott

Una vita senza conseguenze

Terre di Mezzo, Pag. 212 Euro 14,00
immagine
Chicago è una città ventosa. Ed è anche la prima città al mondo ove si svolse un corteo per il primo maggio (1886), e dove pochi giorni dopo, per disperdere un'assemblea operaia, fu lanciata una bomba a mano che uccise diversi manifestanti e poliziotti. Precoce, la città fu anche nel dotarsi di un dipartimento di sociologia, che originò la scuola teorica che dalla metropoli prese il nome. (*)

Dico questo, perché il romanzo di cui mi trovo a discorrere, oltre che per gran parte ambientato nella fredda inurbazione sul lago Michigan, che sapevamo di Al Capone e degli "untouchables", e abbiamo iniziato a conoscere quotidiana con E.R., è anche una testimonianza "sociologica", a suo modo, sul sistema che assiste, o ingabbia e stigmatizza, i bambini e i ragazzi "a rischio": orfani, figli indesiderati, bambini problematici o abusati, giovanissimi criminali, quasi adatti o semplici cretini. "Il meglio dell'umanità", secondo don Milani: e Paul, il ragazzino che incontriamo dai poco meno che quattordici ai poco più dei sedici anni, vi appartiene - risarcito dal talento narrativo, sicché è l'"alter ego" dell'Autore. Non starò a tracciarne i casi tristi: un'enumerazione scarna di disgrazie - perdipiù in una temperie che s'accanisce per i più vari motivi sull'infanzia e adolescenza sgarrupate - arrecherebbe all'utente che per suo diletto "uta" questi nostri rimarchi non più che una fastidiosa sensazione di già visto: già visti i disordini familiari della serie "sarà capitato anche a voi, d'avere un casino in famiglia", (**) già visti i terapeuti o i lavoratori sociali assenti, disinteressati o corrotti, già visti i padri abusatori, le madri negligenti, gli adulti che profittano delle cicoriette d'orto - e, a proposito di erba, già visto il corredo di pasticche, spini, poudres e acquaviti che ci viene spampanàto davanti (però con l'attenuante (p. 20) che la terapia farmacologica per i "disturbi comportamentali" o tali descritti, a base di molecole "forti", somministrata nelle "case" non è meno devastatrice della "shit" di strada). Già visto tutto: e proprio, se vogliamo, nell'originale televisivo sui medici in prima linea, che queste e peggio situazioni ammannisce in prima serata.

Quali, dunque, i motivi d'interessarsi a siffatto romanzo? Diversi: innanzitutto, la precisa percezione che hanno i ragazzi protagonisti di essere scarti sociali (chokora, ovvero "monnezza", vengono chiamati i ragazzini di strada a Nairobi). Di fare parte d'un labirinto senza uscita se non quella prevista da una sostanziale disgregazione della personalità: sei un ragazzo/a delle "case famiglia", dunque un essere inferiore destinato alla marginalità, alla delinquenza, al disordine e alla morte precoce. Il che ci fa riflettere sulla saggezza di predicare alle vittime di una qualsiasi violenza che il loro trauma non sarà mai sanato, che la digressione subìta mai potrà venir ricondotta alla diritta via: ""Sono un disastro, non starò mai bene". "Spezzata". "Spezzata"", recita un botta e risposta telefonico tra Paul e una ragazza Maria. (p. 116) E in più d'un luogo il ragazzino di cui si narra ammette "so quanto sono brutto", (p. 26) cogliendo in questa pretesa segnatura fisognomica la traduzione visibile della propria irriducibilità alla norma.

Quindi, la sensazione che l'interesse degli "addetti ai lavori" per la "monnezza umana" che si trovano dinanzi, viri al morboso: "Incontro assistenti sociali, psicologi, e il preside della scuola. (...) Vogliono sapere delle botte, delle negligenze, la cosa li eccita. (...) Credo che la mia storia non sia abbastanza tragica per loro, non abbastanza gustosa per il romanzo che stanno scrivendo nelle loro teste. (...) Mi chiedono di mio padre con gelosia maliziosa. Non riescono a trattenersi. (...) Io recito la mia parte". (pp. 76-7) Quella, appunto, del "minore problematico", l'unico ruolo che la società pare accetti dal giovanissimo Paul - "siate tollerati, saremo tolleranti" (T. Duvert).

Ancora: "da piccolo non ero povero", (p. 205) rammenta l'attore principale del dramma. Ricordando al suo pubblico che si può venir cacciati dal paradiso terrestre, ovvero dalla società affluente. Non esiste, in un mondo che ricalchi con esattezza il modello capitalista "avanzato", una sicurezza di status: ognuno è in caduta libera, disconnesso dagli altri, che sono concorrenti e rivali - non molto dissimili dagli "adulti" che l'Autore descrive senza pietà: "Quando sei un ragazzo scappato di casa devi sempre evitare gli adulti. (...) Gli adulti ti molestano, ti palpeggiano, ti portano via tutto quello che hai. Sono come i leoni nella giungla e i bambini sono pezzi di carne cruda abbandonati perché loro li divorino". (p. 126) La struttura del capitalismo contribuisce alla formazione dell'individuo, alla sovrastruttura psicologica umana - il che è un bene da un punto di vista e del necessario distacco dalla società-mamma e dell'assunzione di responsabilità che sancisce il passaggio dal suddito al cittadino; ma l'individualismo esasperato genera il "tutti contro tutti", l'annichilimento dell'uomo animale sociale, e, di rimbalzo, la generazione del grande Leviatano previsto da Hobbes e realizzato dai totalitarismi - e l'opportunità gira in ostacolo.

Fin qui, bene. Cosa, allora, ci pone in sospetto, leggendo le pagine di Elliott? Il suo doppio testuale racconta una sua esperienza con un uomo, che lo attira con la scusa di un passaggio, si apparta con lui, "dice che non è gay", però gli chiede di mostrargli le pudenda, per dieci dollari. Il ragazzino ci pensa, si nega, e l'uomo "mi ha portato alla stazione e mi ha dato un dollaro e cinquanta". "Avresti dovuto farlo", commenta la sua amica Tanya. E lui: "Già. Vorrei incontrarlo di nuovo". (p. 62) L'episodio, tramite l'uso del termine p. c. per indicare i froci, è ambiguo: da un lato, esibisce una disponibilità priva di scrupoli che, essendo opposta alla corrente opinione su quel che dovrebbero pensare i ragazzini (anche di strada) di tali incontri, può risaltare e risultare sincera. Per contro, riferire una situazione del genere - attraverso l'accenno alla "gayezza" del tentatore - ad una categoria che la correttezza politica indica quale ingiustamente discriminata, fa sorgere il dubbio che si voglia accarezzare la tendenza odierna, smussando ciò che, ascritto a meno riabilitati campioni d'umanità, risulterebbe deleterio: la corruzione di minori.

A favore di quest'ultima interpretazione, però, giocano diversi luoghi del testo: ovvero, troppi giudizi attribuiti al giovanissimo Paul collimano con quello che penserebbe un adulto "corretto" nella medesima circostanza. E ciò accade pure quando in fin dei conti la materia del contendere è di minima entità: "Eric sta diventando alto. Ormai ha dodici anni. L'altro giorno mi ha chiesto se è giusto masturbarsi. Gli ho risposto che forse prima è meglio imparare a leggere". (p. 150) Dàndo credito alla possibilità d'un cotale consiglio, stante l'inclinazione letteraria del protagonista, quant'è probabile in un mondo ove dar lezioni al cazzo - fra stupri, scopate, bocchini nei vicoli e profferte da dieci dollari nei parcheggi - non è certo un sentito problema di coscienza? Ai pòsteri...

Così, il romanzo di deformazione (abbildungsroman) che l'Autore ci reca, s'arena proprio dove dovrebbe essere più convincente: nel regresso che propone nella coscienza di un ragazzo "al limite" - e dire che quel ragazzo, in gran parte, è lui, dato che la storia è ben autobiografica. Elliott pecca di "boldinismo": (***) contenutisticamente offre al Lettore una vita, ma si dimentica di procurargli una forma consona. Si potrebbe malignare dunque che il regresso c'è, ma non nel personaggio, bensì nello stile: Hubert Selby jr. e persino Bukowski (compiaciuto com'era) dànno un'idea di più adeguata modernità - al paragone Elliott sembra una nonna senza speranza, confrontato poi con testi che viaggiano ormai per gli "anta". E ci offre sì qualcosa senza conseguenze: ma è (temo) il suo lavoro.



*****

(*) riassumo da Ulf Hannerz, Esplorare le città, il Mulino, Bologna 2006, cap. III;

(**) canzonaccia maliziosa della mia lontana giovinezza, nella quale si prospettava - capiscarichi ch'eravamo! - un gruppo familiare nel quale (absit...) "il padre s'inc... la figlia, la madre in bikini fa li bocch..., la nonna in sottana fa la put...." e piacevolezze del genere, parodia cochon d'una sigla, Sarà capitato anche a voi, della Canzonissima '68, condotta da Walter Chiari, Mina e Paolo Panelli (dirigeva l'orchestra ritmica della RAI il maestro Bruno Canfora);

(***) vedi Umberto Eco, Apocalittici e integrati, Bompiani, Milano 1978, pp. 108-15.



di Giulio Lascàris


icona
Mangiabile

CERCA

NEWS

RECENSIONI

ATTUALITA'

CINEMA E MUSICA

RACCONTI

SEGUICI SU

facebookyoutube