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CLASSICI

Alfredo Ronci

Uno Strega “mancato”: “La grande sera” di Giuseppe Pontiggia.

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La questione è vecchia da quando è nato: ma il premio Strega è attendibile? Meglio ancora, il premio è davvero così importante da offrire al pubblico una scelta “definitiva” delle opere editoriali? Anche la risposta mi sembra essere vecchiotta: ma nemmeno per idea. Innanzi tutto perché esistono, in Italia, altri premi letterati, ca va sans dire, e poi si sa, soprattutto in questi ultimi tempi, lo Strega è parte esclusiva delle più fornite casse editoriali del settore.
Sempre la questione non era assolutamente assente nei decenni precedenti: non è che un Volponi, un Moravia, un Soldati o un Bassani, tanto per citarne qualcuno, fossero del tutto esenti dal problema (naturalmente intendiamo le case editrici che sponsorizzavano gli scrittori); c’era, al di là di tutto, una situazione diversa, benché, accuse nemmeno tanto marginali, colpirono a più riprese la Bellonci e chi le stava dietro.
Perché ho fatto questa introduzione? Semplice, perché il premio Strega che fu assegnato nel 1989 a Giuseppe Pontiggia, dopo vari anni, ci sembra una onorificenza del tutto sbagliata. Intendiamoci, nessuno sta mettendo in dubbio le qualità narrative, e non solo, di Giuseppe Pontiggia (tra l’altro ha già fatto parte dei nostri classici con Il giocatore invisibile del 1978), rimane però un perfetto esempio di una narrativa borghese, sempre che il termine possa essere giusto e corretto, languida, superficiale e retorica. Della serie: se il romanzo fosse uscito negli anni della contestazione editoriale (dal 1963 al 1965, tanto per dare un esempio) sarebbe stato dato alle fiamme.
Di cosa parla in definitiva La grande sera? Della scomparsa di un professionista e dell’angoscia (a volte anche no) delle persone a lui care. Tutto qui. E’ logico però che la situazione si complica e vengono alla luce progetti e situazioni che l’assente aveva messo in pratica prima della scomparsa, e soprattutto le dinamiche esistenziali tipiche dell’ambiente. E quindi anche le vite degli altri, di coloro cioè che presero parte attivamente alla vita dello scomparso.
E qui la questione (un’altra!) si complica. Vanno bene le descrizioni di corna che avvengono tra di loro, vanno bene i movimenti bancari, presi senza la partecipazione alcuna, dello scomparso, vanno bene ancora di più le drammatiche vicende vitali dei protagonisti ma, al di là di queste sacrosante rivendicazioni a volte, nel romanzo, si scende ad un livello di pochezza intellettuale da far inorridire il lettore. Come per esempio il caso degli hobbies della moglie dello scomparso. Tra i quali quello degli incontri di poeti dilettanti.
Qualche anno fa, e adesso lo possiamo rivedere anche sul pc o sul cellulare, Gigi Proietti, in uno dei suoi soliti interventi, prendendo in giro i poeti dilettanti e un certo tipo di ascoltatori frustrati, recitò il Lonfo (che tra l’altro, a quanto pare, fu scritta da Fosco Maraini nel lontano 1978).
                                     Il Lonfo non vaterca né gluisce
                                     e molto raramente barigatta,
                                    ma quando soffia il bego a bisce bisce 
                                    sdilenca un poco e gnagio s’archipatta…
Non finisce qui, ma noi ci fermiamo. Pontiggia invece è andato oltre, ma a questo punto ci chiediamo se quello che ha scritto era parte di un’ironica messa a punto (ma ahimé noi lettori non lo crediamo) oppure un’incredibile e borghesissima presa di posizione intellettuale.
Non soddisfatto di ciò, in un’edizione pocket del libro (esattamente Oscar Mondadori), scusandosi con i lettori per gli innumerevoli difetti, non marginali, del testo, che tra l’altro enumerava… Ridondanze di colorito retorico (tra cui l’ossimoro), aforisticità insistita (!) e infine sentenziosità dei dialoghi, annunciava di aver lavorato oltre un anno alla correzioni degli stessi.
Risultato? Secondo noi un brutto romanzo (privo, così dice l’autore, di certe deficienze) che chissà per quale strano motivo riuscì a prevalere sugli altri finalisti del premio Strega (era anche l’anno di Le nozze di Cadmio e Armonia di Roberto Calasso).
A questo punto preferiamo quello che disse Waler Pedullà su Pontiggia in un piccolo saggio su Storia generale della letteratura italiana: … nel Giocatore invisibile la lingua si comporta come una regina; non solo perché padroneggia tutte le situazioni con ferma e cortese autorità ma anche perché sa procedere con ogni velocità e direzione di marcia.
Direzione di marcia che ne La grande sera Pontiggia sembra aver perso quasi definitivamente.



L’edizione da noi considerata è:

Giuseppe Pontiggia
La Grande sera
Mondadori




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