I Classici

La fantascienza italiana di oggi: “Il quinto principio” di Vittorio Catani.
Diceva Valerio Evangelisti, autore prematuramente scomparso: Il quinto principio è la pietra miliare della fantascienza italiana. L’opera più compiuta che la nostra SF abbia mai espresso.

La fantascienza italiana che sopravvive: “L’estro lebbroso” di Franco Enna.
Ci sono due domande che mi frullano per il cervello per dare l’avvio a questo breve intervento letterario: ma la fantascienza italiana...

Negli anni nulla è cambiato: “La volpe e le camelie” di Ignazio Silone.
Torna, in questa rubrica, Ignazio Silone. I motivi sono molteplici, ma mi piace spiegare lo scrittore abruzzese con un concetto che già abbiamo incontrato in altre circostanze e che, nel bene e nel male, abbiamo cercato, in tutti modi e maniere, di risolverlo.

La maturità letteraria de “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia.
Non è facile parlare di Leonardo Sciascia, nemmeno quando sono passati quasi quarant’anni dalla sua morte.

Il bello e il brutto della giovinezza: “Miramare” di Nico Orengo.
Leggendo questo libro alla fine ci si chiede: ma perché non piacque a Calvino e non lo pubblicò?

Un esordio potente e silente: “Non ora, non qui” di Erri De Luca.
Questo è il tempo in cui in televisione si fa casino. Uno sproloquiare di insulti e di maldicenze. Curioso che in questo bailamme ogni tanto c’è qualcuno che dica qualcosa di giusto e non fazioso senza prendersela con qualcuno o con qualcosa.

Lo “psicologo” altamente letterato: “Centuria” di Giorgio Manganelli.
Cos’è allora Centuria? Rifacendosi a passati letterari fondamentali, possiamo anche azzardare l’ipotesi che il Manganelli si sia ispirato, chissà, alle Centurie astrologiche di Michel de Notre-Dame (Nostradamus)

Stavolta mi espongo: “Angelo” di Dario Bellezza.
L’ho scrissi già in occasione dell’esame di un altro romanzo di Bellezza L’amore felice. Lui non mi è mai piaciuto, non mi sono mai piaciuti i suoi atteggiamenti vittimistici che spesso assumeva durante le sue peregrinazioni televisive

Ma chi era esattamente costui?: “Giochi da ragazzi” di Bino Sanminiatelli.
Questa la devo proprio raccontare. Qualche anno fa, un collaboratore della rivista (in realtà un ottimo e soddisfacente aiuto nella direzione della stessa), parlando della nuova rubrica letteraria che avevamo intenzione di portare avanti (“I classici” appunto)

Sembra sempre la stessa attesa: “Barnabo delle montagne” di Dino Buzzati.
Buzzati non è mai stato un nome che si definisse correttamente. Voglio dire: un Leopardi sì, un Manzoni sì, un Moravia ancora meglio, per non parlare di Pavese o di Fenoglio. Ma Buzzati no. Ma soprattutto perché?
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