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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Luciano Bianciardi

Ai miei cari compagni

Stampa Alternativa, Pag.163 Euro 10,00
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Scriveva Oreste del Buono in una vecchia edizione BUR: Luciano Bianciardi era più amareggiato e stanco di un altro immigrato toscano, Luciano Chiarugi, quando non segnava goal perché Rivera gli aveva negato un passaggio utile. «Caro Oreste, leggilo tutto e salutami rivera (minuscolo) Luciano» rileggo nella dedica di Aprire il fuoco. Luciano è stato uno dei pochi arrabbiati italiani sinceri. Arrabbiati per cosa? Via, non siamo ingenui. Non c'è che l'imbarazzo della scelta.

Figurarsi, aggiungiamo noi, se vivesse in questi tempi di tonitruante nullità, di vuoto pneumatico come direbbe Verdone.

Ma arrabbiato lo sono anch'io, ma per tutt'altri motivi: voglio prendermela con il curatore di questo volume, Ettore Bianciardi, figlio dello scrittore grossetano. E perché direte voi?

Perché nell'introduzione al libro, non so se volutamente o no, l'estensore evita di fare il collegamento con Aprire il fuoco. Delitto direi, perché le due cose sono inscindibili. Si limita a dire a proposito de Ai miei cari compagni che alcuni brani sono inediti ed altri non furono mai pubblicati, ma mi furono trasmessi in altro modo. (Dichiarazione sibillina alquanto).

Mi pare ovvio che se un neofita di Branciardi prende in mano il presente volumetto, lo legge appassionatamente e si diverte pure, ma un lettore che ha avuto in precedenza incontri ripetuti col suddetto, non può non chiedersi quanto di Ai miei cari compagni sia disgiunto da Aprire il fuoco e viceversa. Perché le due opere sono una l'estensione dell'altra.

Ma Bianciardi figlio non cita nell'introduzione Aprire il fuoco, e non si capisce il perché (e non mi si venga a dire che lo si dà per scontato. In una società come questa d'inane superficialità, nulla mi sembra scontato), ma non cita nemmeno La battaglia soda che rappresenta direi quasi un unicum con gli altri due scritti.

Si conoscono, in parte, le vicende legate a Bianciardi: la Fondazione che porta il suo nome, "gestita" dalla figlia Luciana, ha già operato un sistematico riordino dell'opera dello scrittore pubblicando, con le edizioni ISBN, i due volumi degli antimeridiani (giustamente, in un'occasione pubblica, la Luciana faceva notare come i Meridani Mondadori abbiano già classificato come autore classico Andrea Camilleri, e in tutti questi anni abbiano sistematicamente ignorato il Bianciardi de La vita agra), nello stesso tempo l'Ettore, con l'ausilio di Baraghini di Stampa Alternativa, ogni tanto se ne esce con inediti e chicche che sembrano rendere eterna la "querelle" attorno al padre.

Insomma non una brutta storia, ma nemmeno edificante.

Torniamo ai contenuti: ma alla fine, di questo libro che si deve fare? Proprio perché risulta gran parte inedito non può non far compagnia, come si diceva prima, ad Aprire il fuoco e a La battaglia soda. Le avventure delle cinque giornate di Milano e le imprese dei garibaldini per l'indipendenza degli italiani meritano attenzione. Perché poi, e finalmente il sottotitolo del presente volume, diario inedito di un neo-garibaldino, ne è la conferma, vi è nella prosa del Bianciardi, che mischia presente e passato, personaggi di ieri e di oggi in un unico calderone, una traccia d'inquietudine sempre attuale, nonostante la verve ironica e vetriolinica: quel neo, davanti a garibaldino, è il segno di una modernità fuori dalle mode e dagli schemi. E ha fatto bene, il Bianciardi figlio, a metterlo in evidenza. Almeno quello.



di Alfredo Ronci


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Gustoso


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